martedì 7 aprile 2020

6) Diario personale, dal convento, nei giorni del coronavirus



Giovedì 19 – Sabato 21 marzo 2020

Ci sono elementi che accomunano le impressioni di questi giorni. Per noi in convento vi è una quotidiana routine, che già esisteva come in tutte le famiglie e le vite di ciascuno anche prima dell’avvento del “tempo coronavirus”; ma che è diventata ancora più forte a causa dell’isolamento e del divieto di uscire quando non strettamente necessario. In questo siamo addirittura più fortunati di tante categorie di lavoratori, che non possono permettersi la lussuosa noia di rimanere a casa, evitando maggiori rischi di contagio. Gli “incontri” sono virtuali. Ci unisce a tutti la preghiera e la preoccupazione per la salute di ognuno; ma quanto ci mancano gli occhi di ciascuno di voi, le strette di mano, gli abbracci!! Alla fine di tutto mi suoneranno dolci anche gli assurdi pettegolezzi e le liti frivole della nostra comunità e della cittadinanza.
La mia giornata è fatta di: preghiera, lettura, scrittura del commento al vangelo del giorno e del diario, tempo dedicato agli altri attraverso i socials, un poco di attività fisica. Un paio di mattine le ho dedicate alla pulizia del terrazzo dal guano dei piccioni, e dal muschio ed erba cresciuti nelle zone d’ombra, dove l’umidità permane. Ancora non ho finito... A volte arrivo a sera senza nemmeno essere riuscito a fare tutto quello che mi ero poposto. Mi sento un privilegiato rispetto a tanti altri. Pur provando una altalena di sentimenti, come tutti, tra forza e debolezza, aspettative e delusioni, pazienza e rabbia.

Giovedì 19 abbiamo ricordato i papà e festeggiato l’onomastico di padre Giuseppe, con le modalità che questa situazione ci permette. Essendo chiuse le pasticcerie, Daniela, la cuoca, ha preparato un dolce (lo spumante non ci manca...). Nel pomeriggio la famiglia Spagnolo ci ha regalato e fatto recapitare 2 zeppole preparate dal grande Marcolino (5ª elementare). Certo, non il numero addirittura eccessivo degli anni passati, né tantomeno il gusto delle professionali; ma abbiamo potuto assaporare una tradizione oggi ridotta e rimandata, e dare sapore al giorno di San Giuseppe. La sera, alle 21, su indicazione della CEI, abbiamo esposto un lenzuolo bianco al finestrone che dà sulla piazzetta e recitato il rosario insieme a tutti i cristiani d’Italia. Un flashmob spirituale.

In questi giorni è salito in maniera impressionante il numero dei contagiati e dei morti. Ogni sera si aspetta con ansia il bollettino ufficiale della giornata. Finora le cifre hanno scoraggiato ogni aspettativa. Serpeggia un certo pessimismo sui tempi di recupero dal contagio e dalle sue conseguenze economiche. L’Italia è il nuovo epicentro, anche se il virus si sta estendendo a macchia d’olio in tutto il mondo. Il Signore ci liberi da questa peste e ci dia la forza per affrontarla e vincerla. Un amico infermiere a Milano ha fatto sapere che là è una guerra vera e propria, e dà pena veder morire tanta gente. Mia cugina, responsabile farmaceutica dell’ospedale di Lecco, da tre settimane esce di casa alle 7.30 per andare al lavoro e vi ritorna alle 21 circa, compresi sabato e domenica. In pratica non riposa mai!! Sono degli eroi. I santi della porta accanto, come li definisce il nostro splendido Papa. E che dire delle 8.000 domande arrivate al Ministero dopo l’appello a costituire una task force di 300 medici per i luoghi più bisognosi?!? Vi è una Italia di cui siamo davvero orgogliosi. Una umanità che fa sperare in un futuro per l’uomo. A fronte dei soliti stupidi che non riescono a capire la gravità della situazione. Pochi ciechi, ma estremamente, e spero inconsciamente, pericolosi.
Se si fermassero a considerare la scena dei camions dell’esercito, che portano via le bare dei morti a Bergamo perché non vi è più posto nel cimitero, se sono uomini della specie umana, dovrebbero almeno sentire un po’ di pietà, piangere come hanno fatto tanti, e avere uno scatto di responsabilità sociale. Se poi riflettessero allo strazio di quelli che muoiono di coronavirus e dei loro familiari, impossibilitati a tenersi la mano, a stare vicini in un momento così forte di separazione definitiva, allora dovrebbero solo vergognarsi per la loro superficialità nel vivere questa pagina drammatica della storia italiana e mondiale. Se è vero che si nasce e si muore da soli, è vero anche che non si nasce e si muore soli, vi è sempre qualcuno vicino, o così è bene, giusto, umano che sia. Purtroppo in questi casi non è così. Prego che almeno ognuno senta vicino la mano del suo angelo custode e il soffio di vita eterna di Dio. Tuttavia, non si possono trattenere le lacrime ascoltandole storie di chi vorrebbe, e non può nemmeno per telefono, salutare le persone care; dire alla propria moglie, ai figli, ai genitori, agli amici quanto li amano e sono grati per aver condiviso con loro la vita terrena, che stanno abbandonando.

Termino con questa canzone del gruppo spagnolo “La oreja de Van Gogh”, composta, come hanno fatto anche altri artisti, tra cui Giuliano Sangiorgi, per invitare a stare a casa e vivere con responsabilità questo tempo, valorizzando spazi, attività e sentimenti a volte trascurati nel tran tran di tutti i giorni.
Un forte abbraccio a tutti... debito fisico di tempi migliori, passati e futuri.

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