martedì 8 dicembre 2015

Dieci anni in Venezuela

7 dicembre 2015, Sant’Ambrogio... Dieci anni dal mio arrivo in Venezuela, carico di volti, storie, nostalgie. Dopo dieci anni, ancora volti e storie e affetti. La mia splendida schizofrenia affettiva. Grato a Dio per il presente e per il passato. Ancorato con corpo e cuore alla mia attuale realtà venezuelana; aggrappato con la memoria e il cuore alle mie origini e al percorso di vita in Italia. Bel dilemma decidere dove e come voler continuare e terminare i miei giorni...

Elezioni parlamentari - Oggi qui è stato un giorno particolare. Il day after delle elezioni parlamentari, che dopo 17 anni hanno decretato, in modo forte e quasi inaspettato nelle sue proporzioni, la sconfitta del partito al governo. Da ieri notte, fino a stamattina, e poi di nuovo oggi pomeriggio, si sono susseguiti cortei di auto e moto per celebrare la vittoria. È un’allegria come non si vedeva da tempo. I volti manifestano speranza e non si ha più paura di dire che si pensa diversamente. Spesso ho ascoltato l’angoscia di chi perderebbe il lavoro, o lo ha perso, solo perché non conforme con la politica del governo. Parecchie volte mi è stato detto di minacce o ricatti del partito al potere verso chi andava a votare.
Venezuela vive un momento forte e difficile, sotto tutti i punti di vista. Il socialismo del secolo XXI si è presentato con bellissimi programmi e proclami in favore del popolo e dei poveri, ma si è poi limitato a una politica assistenzialista grazie ai soldi del petrolio, senza nessuna lungimiranza in quanto a investimenti per favorire la produzione nazionale, il lavoro e la dignità della persona. I nodi sono venuti al pettine dopo il crollo del prezzo del petrolio. A questo si aggiunge un forte appesantirsi dell’apparato burocratico; una serie di privilegi verso la classe politica al governo e i militari; esclusione, minacce verbali e fisiche verso chi dissente, quasi sempre in modo pacifico; una inflazione assurda, con prezzi schizzati alle stelle e che aumentano di giorno in giorno; scarsità di qualsiasi tipo di prodotti, visto che si deve importare tutto (ma davvero tutto!!!), e pagando in dollari, perché il bolivaro non è quotato in nessun mercato monetario; una corruzione senza limiti in quantità e diffusione; una insicurezza sociale spaventosa (circa 25.000 morti ammazzati all’anno!!!). Insomma, un socialismo del secolo XXI che è risultato essere la copia quasi esatta di quello ormai sbiadito e anacronistico del secolo XX.
Forse però le aspettative dei venezuelani in un cambio potrebbero ora essere esagerate. Per rialzarsi ci sarà bisogno di tempo. Non ci sono formule magiche dagli effetti immediati. Magari si pensasse a un piano di solidarietà, conciliazione e coalizione nazionale, finalizzato al bene vero dei cittadini!! Purtroppo i primi segnali postelettorali sembrano non presagire niente di positivo in tal senso, almeno a giudicare dalle prime reazioni a caldo del partito del presidente. La colpa della sconfitta, da parte del presidente e del suo partito, è stata data alla guerra economica e alla controrivoluzione, con un appello all’unità e alla lotta indirizzato ai “patrioti”, come se il 60% di venezuelani che hanno votato contro non fosse costituito da persone che amano questa stessa patria e meritano rispetto e considerazione!! Il solito gioco infantile di dare la colpa agli altri o a fattori esterni, senza mai porsi in questione sulle politiche e attuazioni proprie. Per me la controrivoluzione l’hanno fatta coloro che la rivoluzione l’hanno tradita già da tempo. Non bastano le belle parole. Un progetto è valido se può contare su idee fondate e persone idonee per portarlo avanti. Bene, la seconda parte è mancata parecchio o del tutto, facendo fallire cosí anche il progetto stesso, o rendendolo inviso alla maggioranza dei venezuelani, che prima l’avevano accolto con certo entusiasmo.
Coloro che hanno vinto le elezioni parlamentari sono il meglio che ci si possa aspettare?!? Una rivista gesuita di analisi politica diceva che forse no, che ci sarebbero un po’ di cose da correggere; tuttavia rappresenta l’unica scommessa plausibile per sperare in un cambio, visto che il partito ufficialista avrebbe continuato nella sua ottusa ideologia, che ci ha portato fino all’orlo dell’abisso. Ed adesso fatica molto ad accettare e digerire la sconfitta elettorale, dopo 16 anni di egemonia assoluta e derive anti democratiche. Ci sarà un vero cambio?!? Come detto sopra, sarebbe necessaria la collaborazione di tutti i soggetti politici, ufficialismo ed opposizione.

Camminata a La Canoa - Ma cambiamo registro e ritorniamo al 7 dicembre. È una bella giornata, soleggaiata e con un cielo terso. Allora propongo a fray Wilmer (fray Evelio è assente per essere andato a votare a Guanare) di fare una passeggiata sui monti circostanti, magari andando a conoscere la località “La Canoa”. Così, terminata la colazione, ci avviamo nel jeep Toyota a casa della signora Liboria, per chiederle che ci indichi il sentiero che da casa sua porta su alla Canoa.
Un po’ sorpresa per la richiesta, ci affida a suo nipote Bryan di nove anni perché ci faccia da guida. Neanche Bryan è molto esperto, ma ne sa più di noi. Per cui, dopo un’ora circa si salita per sentieri che sono più per capre che per uomini, arriviamo a La Canoa. Lo spettacolo è stupendo. Si tratta di un piccolo avvallamento tra i monti, percorso da un limpido e freddo ruscello. Qui ci godiamo lo spettacolo e ci concediamo un po’ di riposo, prima di intraprendere la strada del ritorno. Bryan ci invita a scendere per un’altra direzione, che è molto più comoda e diretta. Si tratta di una strada sterrata che le moto percorrono, e anche alcune macchine munite di doppia o quadruple trazione.

Prima di mezzogiorno siamo a casa sua e la madre ci offre un caffé caldo e dolce. Poi ci affida a sua figlia di 11 anni per riportarci, attraverso una scorciatoia-sentiero, a casa della nonna, dove si trova la nostra macchina. Arrivati, siamo invitati a pranzo, e non c’è verso di rifiutare, perché sarebbe offensivo. Mangiamo riso bianco, con carne e insalata. Dopo averci offerto un po’ di piante per il té e bietole, ritorniamo al convento.

Mi è piaciuta parecchio la passeggiata. Mi è sembrato un bel modo di celebrare questo anniversario significativo. La sera poi ho celebrato messa, accompagnato da un frastuono assordante da parte di coloro che, nella piazza antistante, festeggiavano ancora la vittoria elettorale. Mi sono sentito bene durante la messa, anche se sono stato costretto quasi a gridare nel microfono perché i presenti potessero sentirmi. Il frastuono non è riuscito ad infastidirmi né a distrarmi; non gliel’ho permesso. L’ho considerato e vissuto così come la colonna sonora del mio ringraziamento. 

giovedì 12 novembre 2015

Un mese a Pueblo Llano



11 novembre 2015, San Martino di Tour. Giorno di intensa pioggia, che ha portato un po’ più di freddo. Il mio pensiero, oggi, come sempre in questa data, va nostalgicamente a Copertino e alla maniera bella di celebrare questo giorno in comunità, attorno a una ricca tavola e un buon vino.

Un mese fa, l’11 ottobre, ha avuto inizio ufficiale la mia esperienza a Pueblo Llano, con la presentazione ai fedeli nella messa domenicale. Il giorno dopo abbiamo celebrato il nostro primo capitolo conventuale, insieme ai miei due compagni di avventura cristiana, fray Evelio e fray Wilmer, con all’ordine del giorno l’approvazione dell’orario e la ripartizione degli uffici conventuali e parrocchiali. In ogni caso, siamo ancora in fase di conoscenza della realtà, di sperimentazione e inserzione.

Esterno della chiesa
Il viaggio – Ma torniamo indietro di qualche giorno rispetto all’11. Il viaggio di ritorno in Venezuela è iniziato forse già il 2 ottobre, quando ho lasciato Monte Sant’Angelo diretto a Bologna. Qui ho vissuto dei giorni belli e pieni, ma già ormai, irrimediabilmente, proiettato verso l’America Latina.
Il 7 mattina, accompagnato da Leo e Lina, sono andato all’aeroporto di Bologna, e alle 10.30 ero in volo verso il ritorno, con destinazione Cúcuta, Colombia, ai confini con il Venezuela. Scalo a Francoforte e Bogotà, arrivo a Cúcuta alle 22.00 ora locale (le 5 del mattino in Italia: 22 ore da quando ho lasciato la casa di mia sorella). Qui, insieme al tipico caldo afoso della città, mi accoglie la sorella di fray Evelio, ospite suo per questa notte, visto che la frontiera con il Venezuela è chiusa da circa due mesi (e lo è ancora al momento del mio resoconto, senza che si intravvedano soluzioni prossime). Dopo aver cenato, a mezzanotte circa vado a coricarmi, con un provvidenziale ventilatore puntato verso il letto. Altrimenti, impossibile dormire per il caldo.
Interno della chiesa
Dopo una nottata così così per il fuso orario, al mattino faccio colazione e in taxi raggiungo il ponte internazionale che divide i due paesi confinanti. Timbro il passaporto in uscita dalla Colombia e mi dirigo al posto di blocco venezuelano, a metà del ponte, che è lungo 300 metri circa. Qui mi tocca vivere una scena quotidianamente surreale. Coloro che hanno i documenti in ordine possono passare, ma non raggiungere l’altra parte del ponte. Devono aspettare un autobus che viene a prenderli. Essendo il primo della fila, mi tocca aspettare circa mezz’ora, visto che l’altra corsa è partita appena io sono arrivato. Con me ci sono un paio di persone in carrozzella. Chi può, si ripara dal sole sotto un improvvisato tendone. Poi arriva l’agognato autobus che ti porta per i rimanenti 150 metri a marcia indietro, perché non c’è nemmeno lo spazio per fare inversione. Per cui: metti sopra valigie e carrozzelle, fai 150 metri e ridiscendi. A piedi si impiegherebbero un paio di minuti, se hai valige con te. Assurdo e grottesco!!! Con la giustificazione ridicola che si fa per la dignità del cittadino, mentre a me pare una umiliante perdita di tempo, che si è costretti a ingoiare senza protestare, pena l’essere rimandato indietro. Se fosse per il bene del cittadino, mi chiedo perché allora non lo si trasporta fino al posto dove si timbra il passaporto in entrata, distante 15-20 minuti a piedi!?!
Dall’altra parte del ponte mi attende, finalmente, il caro fray Franklin, rettore del seminario, dove arriviamo per pranzo. Il pomeriggio lo dedico a rimettere a posto la stanza dove ho abitato l’ultimo anno e mezzo, e a impacchettare ciò che non sono riuscito a mandare a Pueblo Llano. Mi fa piacere e mi commuove rivedere i seminaristi con i quali ho passato giorni molto belli in questo luogo logisticamente stupendo. Il 9, dopo colazione, fray Alirio mi porta in macchina a Pueblo Llano, dove giungo verso sera. Il 10 mi dedico a mettere a posto le mie cose. E dell’11 già ho scritto.
Cosa dire del viaggio?!? Senz’altro lungo e un poco avventuroso, anche se, grazie a Dio, senza inconvenienti, a parte quelli già previsti.

Interno del convento
Pueblo Llano –  Come ho già detto ad alcuni in Italia, Pueblo Llano è un paese dedito completamente all’agricoltura, in grandissima prevalenza alla produzione di patate e carote. Il convento si trova all’inizio del paese, a circa 2.300 metri di altezza, mentre il resto delle case e del municipio si sviluppa verso l’alto, fino credo a circa 3.000 mt. La popolazione totale si aggira sui 17.000 abitanti. Il panorama è parecchio bello. Sono in montagna, nella zona andina. Peccato che non ci sia, in tutta Venezuela, la cultura del trekking, per cui sono pochi i sentieri e del tutto assenti quelli segnati. Mi hanno detto che ci sono bei posti da vedere. Vedremo... spero di poterli conoscere, poco a poco.
Finora posso dire che mi trovo a gusto, sia con i frati che con i fedeli. È gente buona, alla quale non è difficile voler bene. È vero che non posso ancora dire di conoscere molto del posto e delle persone, ma questa è l’impressione che ho. Mi sto riabituando a temperature più rigide rispetto a quelle degli altri conventi. Mi sto riabituando a un lavoro pastorale più continuo e sistematico, come è quello di una parrocchia, rispetto all’esperienza precedente in seminario o come custode. A Gravina, in parrocchia, mi sono trovato ottimamente; qui spero avvenga lo stesso.
Chiostro del convento
Altri aspetti del luogo. I cattolici sono la stragrande maggioranza; tuttavia, la presenza di sette o di chiese protestanti è parecchia. La gente ha una cultura religiosa legata a forme di devozione popolare, che avrebbe bisogno di essere evangelizzata. A volte, o spesso, affiora una mentalità sincretista, dove la cultura ancestrale si mischia a credenze cristiane e al devozionismo. Inoltre, ci sono problemi sociali piuttosto radicati nella gente: mentalità di tipo machista; violazioni; matrimoni tra consanguinei; imbarazzi precoci; alto numero di suicidi o di morti causate da incidenti, soprattutto di persone giovani; alcool e droga, con tutti i problemi che comporta. I giovani che frequentano la parrocchia sono relativamente pochi. Mi sembra che manchino ideali alti ai quali appoggiarsi, nonché proposte formative alternative a un quotidiano spesso vissuto come piatto e monotono. Mi da pena vedere che la unica alternativa al bere, o insieme a esso, lo “sport” preferito è dare giri attorno alle due strade principali e alla piazza centrale del paese, in macchina o in moto, con canzoni a tutto volume. Un triste bisogno di visibilità a tutti i costi. I sacramenti sono vissuti come eventi sociali, tappe dovute dello sviluppo di una persona, non come mezzi per un cammino spirituale alto. La parola di Dio, gli ideali evangelici, si perdono spesso tra la musica a tutto volume degli altoparlanti di macchine e camion, e il nonsenso di ciò che si vive. La vita pare a volte avere molta poca importanza.

Vista dalle porte della chiesa
Malgrado questo, ripeto che ci sono molte positività, in persone e ideali, in desideri di eternità e belle testimonianze di fede. Mi rendo conto che ho molto da imparare e amare. Dio mi aiuti a vederlo e farlo presente nella mia vita e in quella di coloro che la sua Provvidenza ha voluto donarmi, qui, a Pueblo Llano.

Vacanze 2015

2 ottobre – 2 novembre 2015. Oggi si compie un mese dalla mia partenza da Monte Sant’Angelo, una mattina autunnale, molto presto, appena inizia ad albeggiare, dopo il saluto ai miei genitori, usuale ormai da dieci anni, ma sempre con la stessa dose di camuffato disagio e nascosta straziante nostalgia. Se tutto va bene, ci rivedremo tra circa un anno.
Ma anche il saluto al paese, a questo luogo madre che mi ha dato i natali e mi ha visto crescere, mi ha svezzato prima di consegnarmi al mondo, dopo avermi consegnato alla vita e alimentato con i valori e la cultura che ancora e sempre mi porto dietro. Ogni volta provo un sano orgoglio e commossa gratitudine verso coloro, amici e parenti e conoscenti, che hanno accompagnato questo percorso di iniziazione e che rivedo con gioia. Alcuni non ci sono più, e il giorno di oggi rinnova il ricordo del pezzo di vita condiviso e la commozione per quanto ricevuto.
Certo, il panorama umano e geografico attuale è parecchio cambiato rispetto a quello della memoria e degli affetti di un tempo; fa male al cuore passare per vie e vicoli, guardato da porte chiuse che forse non ritorneranno ad aprirsi, mai più. È forte incontrarsi d’estate, per pochi giorni, con amici che provano la stessa insoddisfatta nostalgia, costretti dalla vita e le circostanze ad abitare altri luoghi, dove ormai sono “di casa”, ma che il contatto con il paese restituisce alla loro “estraneità”. Siamo fatti così noi montanari, capaci di appropriarci di un termine generico e trasformarlo in identità. Monte è poco più di una collina; ma il senso di forte, ottusa, gelosa, emozionata appartenenza è propria di chi vive l’esperienza tutta particolare del “montanaro”.
Ancora una volta ho provato la gioia di rivedere amici e parenti, accolto con amore come figlio e figura del luogo. Ho condiviso tempo e presenza con i miei genitori, in semplicità e gioia. Ho rivissuto l’esperienza spirituale della grotta dell’Arcangelo e l’infantile emozione della festa patronale. Mi sono sentito fratello con i miei frati del convento, dai quali sempre ricevo francescana accoglienza e tratto amabile. Ho rivisto il crocifisso della parrocchia, la più veramente “mia”, a cui spesso ho rivolto lo sguardo da ragazzo e dal quale mi sono sentito sempre amorevolmente visto, guardato, accolto. Ho camminato strade e posti conosciuti, ma capaci ancora di rapirti e riempirti. Ho ricevuto e fatto visite che hanno dato maggior pienezza e colore ai miei giorni montanari.

Oltre che a Monte, sono stato a Sasso Marconi, Gravina e Copertino. Dappertutto divinamente bene. Ma prima vorrei ricordare gli incontri con i mie fratelli frati, nelle differenti comunità per le quali sono passato. Dappertutto è stata una festa l’incontrarsi. La distanza non altera l’affetto, lo approfondisce.
Sono arrivato e ripartito da Bologna, il che mi ha dato la possibilità di fermarmi alcuni giorni da mia sorella Lina a Sasso Marconi. Alcuni suoi amici lo sono da tempo anche miei e mi fa piacere rivederli. In parrocchia mi sento adottato e ricevuto con gioia, come uno di famiglia, oltre che dai parrochiani storici, anche da parte del nuovo parroco don Paolo, succeduto al caro don Dario, morto sulla breccia oltre i novant’anni. Inoltre è tradizione dedicare un giorno ai vecchi amici di postulato in Assisi che vivono a Sant’Agata Bolognese: Massimo Z., Massimo e Marco G. Qui ci raggiunge Claudio da Brescia, e quest’anno anche Mauro da Salsomaggiore. È una bella rimpatriata, organizzata dalla regia caciarona e commossa di Massimo Z. Quest’anno, al mio arrivo, mi sono recato a trovare Pinuccio e Rosaria all’ospedale Rizzoli. Mi ha fatto piacere rivedere subito questi miei amici fraterni di Gravina, malgrado il motivo della loro presenza fosse di malattia. Sulla strada del ritorno a Bologna, per riprendere l’aereo per il Venezuela, mi sono fermato un giorno a Porto Recanati, per una dovuta e voluta visita ai miei zii Leonardo e Gloria, a mio cugino Lino e alla sua famiglia. Ne ho approfittato per andare ad Osimo, dove mi sono rivisto con Liviana e Annamaria, alle quali mi lega una bella e antica amicizia, presenze preziose durante il mio anno di noviziato. Lo spazio di un giorno è risultato essere poco, ma l`ho vissuto con pienezza e piacere.

A Gravina in Puglia e Copertino ci sono andato da Monte, come da tradizione. Che aggiungere a quanto vado scrivendo ogni anno?!? Sono luoghi dove ho vissuto anni bellissimi e mai sarò sufficientemente grato a Dio e alle persone che mi ha donato per il tanto bene ricevuto. Quest’anno poi ci sono stati due avvenimenti che sono stati per me motivo di incontri e commozioni particolari, fino alle lacrime, in un misto di gioia e nostalgia. Il matrimonio di Mariagrazia e Giacomo, a Gravina, con il contorno dei loro amici, giovani appartenenti al mio vecchio gruppo di dopocresima e altri, che amo come se fossero miei nipoti; abbiamo riso, sorriso, pianto insieme e ci siamo raccontati. Mi piace ricordare anche la visita a Mariella, insieme a fra Mario. La sua fede semplice e profonda e la sua forza mi erano sconosciute; ne sono uscito con una lezione di fede e di vita che mi hanno fatto bene. A Copertino la professione solenne di fra Vito alla Grottella, che mi ha permesso, insieme alla partecipazione al primo giorno della novena di San Giuseppe, di rivedere di botto un sacco di questa mia gente, alla quale mi lega un profondo, grato e ricambiato affetto.

Naturalmente, come ogni anno, gli incontri sono stati numerosi e tutti belli e arricchenti, sia a Monte che negli altri luoghi visitati. Non posso raccontarli tutti, ma vi assicuro che sono ben presenti nella mia mente e nel mio cuore, in quanto a circostanze e volti. Il Signore vi benedica e abbia cura di voi! Il Signore vi dia pace!

martedì 21 aprile 2015

Settimana Santa 2015 a Puente Real


Chiesa parrocchiale: altare del Giovedí Santo
Per la Settimana Santa del 2015 sono tornato alla stessa parrocchia dove ho trascorso la novena di Natale. Si tratta della chiesa del “Buen Pastor”, in un quartiere popolare della città di San Cristóbal, zona ancora considerata come “rossa”, nel senso di pericolosa, anche se al momento è molto più tranquilla di una volta. Qui ci sono un parroco e un vice, ma c’è sempre bisogno di aiuto, soprattutto per le confessioni, alle quali mi dedico con piacere, mentre loro sono impegnati per l’organizzazione delle celebrazioni. Io celebro la sera nella cappella de “La Popa”, distante dieci minuti di macchina. Qui mi aiutano due postulanti francescani, impegnati ad animare la comunità durante il giorno. È una zona costituita da una strada principale più larga, che corre sul crinale di una altura, mentre le case sono costruite su una falda, quasi tutte in forte pendenza. Le salite di Monte Sant’Angelo sono dolci rispetto a queste. Lo stesso succede per la città, con pendenze che ricordano quelle viste nei film ambientati a San Francisco.

Dovuto alle numerose confessioni, questa esperienza mi ricorda di più gli anni di Copertino e 
Cappella de La Popa
Gravina. Inoltre, alcune tradizioni legate alla Settimana Santa qui si possono vivere meglio e in maniera più intensa, rispetto a quando mi sono trovato a “missionare” in zone rurali. Una molto forte è quella della visita alle sette chiese, che inizia già la mattina del giovedì santo, fino al primo pomeriggio del venerdì, accompagnata dalla recita di 33 credo. La mattina di questi due giorni mi sono reso disponibile per confessare in una parrocchia centrale molto frequentata da tali “pellegrini”, dalle 9.30 alle 12.30, e non mi è mancato il lavoro. Quello delle confessioni è un ministero che mi piace ed edifica tanto, e ho imparato ad apprezzarlo fin dalla prima esperienza sacerdotale a Copertino.

Rispetto alla chiesa parrocchiale centrale, grande e molto frequentata, le liturgie della piccola cappella sono state più povere e con meno gente. Tuttavia, mi sono piaciute per il clima di familiarità, anche se certe improvvisazioni spesso hanno costituito motivo di distrazione. Le gente è buona e collabora per il possibile. C’è da dire che è forse la prima volta che si vive una Settimana Santa completa, con un sacerdote e seminaristi dedicati a questo; per cui la comunità si è trovata anche un attimo impreparata.

Il ricordo più forte?!? Il via crucis lungo un paio di chilometri della strada principale, venerdì santo, al pomeriggio. Un gruppo di bambini ha rappresentato le scene delle varie stazioni, con “costumi” preparati da alcune mamme, con materiali poveri e bella fantasia. A metà del percorso è venuto giù un acquazzone incredibile. Abbiamo terminato completamente fradici. Subito dopo c’era l’adorazione della croce. Al mio invito – molto italiano – ad andare tutti a casa ed eventualmente annullare la cerimonia, tutti mi hanno detto che preferivano continuare e lasciare che i vestiti si asciugassero addosso. Il più fortunato forse sono stato io, insieme ad alcuni previdenti che avevano portato degli ombrelli (oggetto generalmente molto poco usato...). In sacrestia mi sono tolto la tonaca e la maglietta, bagnatissimi, e ho indossato camice e casula. I postulanti mi avevano invitato a togliermi anche i pantaloni, ma mi sono fatto vincere da un certo pudore... La celebrazione si è svolta con assoluta normalità e senza alcuna fretta o impazienza da parte di nessuno. Li ho ringraziati per l’esempio di fede dimostratomi.

La veglia del sabato santo l’ho celebrata alle 19.00 nella cappella de La Popa. Normalmente in Venezuela le celebrazioni previste per la notte si anticipano per motivi di sicurezza. Quando erano quasi le 22.00, sono rientrato in parrocchia, dove stava per iniziare la messa della vigilia animata dalle comunità neocatecumenali, la cui presenza è significativa per numero e servizio. Visto che era presto per andare a dormire, ho deciso di partecipare, almeno fino a tutta l’omelia, così, per vivere una liturgia pasquale della Parola in modo più lungo e approfondito. È stata una esperienza bella e positiva, terminata all’una e mezza del mattino, quando mi sono ritirato in camera mia, prima dei battesimi e del resto della messa, durata fino alle tre e mezza. Quello che mi è piaciuto di meno?!? Il canto di vittoria di Maria, la sorella di Mosé, e di tutto il popolo d’Israele dopo la lettura del passaggio del Mar Rosso. A Gravina mi dava i brividi ascoltare il Canto del Mare di Frisina, se non erro. Qui quello catecumenale mi è sembrato ridicolo, e molto meno solenne degli altri salmi cantati dopo le letture. Ma si sa, i gusti sono qualcosa di personale e indiscutibili... La mattina di Pasqua ho celebrato alle 9.00 nella cappella e il pomeriggio sono tornato in seminario.

E veniamo al lunedí dell’Angelo, a pasquetta. È stato un giorno molto particolare. Mi sono svegliato con la voglia di riposare e fare qualcosa di piacevole. Un giorno alla italiana insomma, anche se qui è lavorativo. E invece... Subito dopo colazione, dalle 9.00 alle 12.00, c’è stato da usare il coltello per separare dalle ossa e comporre la carne di un vitello che ci avevano regalato, per porre il tutto a congelare prima che andasse a male. Lo stesso motivo ha portato a pelare due sacchi di yucca nel pomeriggio, dalle 15.00 alle 18.00. Questo è un tubero di forma allungata, la cui buccia è dura, e molto più difficile da pelare che le patate. Non c’è che dire: una pasquetta davvero originale e inattesa!!! In fondo, però, una bella esperienza di lavoro per la comunità insieme ai postulanti presenti.

Colombia e Ecuador, 23 gennaio-7 febbraio 2015


 

23 gennaio 2015 – Ogni anno, normalmente a gennaio, si tiene l’assemblea della Falc, cioè dei responsabili dei frati minori conventuali in America Latina. Quest’anno si è svolta a Quito (Ecuador), dal 26 al 31 gennaio. Per raggiungere la capitale ecuadoregna sono partito da Cúcuta (Colombia). Da quando sono cominciati i problemi tra il governo e le compagnie aeree, non è più possibile comprare biglietti in bolivares, solo in dollari. E non attraverso le agenzie venezuelane, ma per internet. Vista la valutazione enormemente esagerata della valuta estera rispetto al bolivar, si cerca di risparmiare al massimo sui passaggi. Spulciando e cercando, ci siamo accorti che partire da Cúcuta costa molto meno rispetto a Caracas. Inoltre, il seminario, dove vivo attualmente, si trova ai confini con la Colombia, poco distante da quella città. Un problema sono le code in entrata ed uscita. Ma questo è un discorso lungo, che riguarda vari aspetti politici e sociali della Venezuela di oggi...
Ho l’aereo domenica 25, alle 6.30 del mattino. Decido di partire con i nostri 5 giovani che vanno al noviziato in Paraguay, il cui aereo è alle 5.00 di sabato. Dovrò fermarmi un giorno a Cucuta, ospite di una famiglia amica. Arriviamo all’aeroporto senza grossi problemi, intorno alle 17.00, e ci predisponiamo a passare la notte lì, fino alle 2.00, quando aprono il check in. Ma la famiglia che mi ospita insiste perché andiamo tutti a mangiare a casa loro, per poi riaccompagnare i novizi all’aeroporto intorno alle 2.30. Naturalmente accettiamo volentieri, dopo una certa resistenza dovuta al fatto che non vogliamo dare loro fastidio. Ho sottovalutato la ospitalità latina.

24 gennaio – Passo tutto il giorno in casa, mentre i miei giovani amici sono al lavoro. Ne approfitto per terminare alcuni lavori al computer e giocare con il loro nipotino di 5 anni. La sera mangiamo un hamburger, e subito noto che cade pesante sul mio stomaco

Ecuador: Chiesa de la Virgen del Quinche
26-31 gennaio: Assemblea Falc a Yaruqui – L’agenda degli argomenti è piuttosto fitta. L’orario prevede circa otto ore di sedute assembleari, al di là dei momenti di preghiera e dei pasti. Il clima però è quello fraterno e allegro di sempre, per cui è un piacere condividere tempo con questi miei confratelli di altre circoscrizioni. Ne esco ogni volta incoraggiato ed edificato. Bella la casa di ritiro a circa 40 kilometri da Quito. Le suore vincenziane che la gestiscono sono di una gentilezza e disponibilità uniche. Ci mettono subito a nostro agio, in un clima molto familiare.
Sono il primo ad arrivare. Il viaggio è andato bene; ma sento che non ho digerito niente da ieri sera. Dopo pranzo mi corico un momento, ma lo stomaco lo sento davvero pesante e ho rigurgiti di vomito. Mi costringo a vomitare. Vomito come mai in vita mia. Mi sento alleggerito, ma evidentemente perdo anche troppi liquidi. Durante la messa della sera, in una parrocchia vicina, dove le suore mi hanno invitato a celebrare per aiutare il parroco che ogni domenica celebra cinque messe, al momento della consacrazione mi sento venir meno. Mi vedo costretto a sedermi e fino alla fine non riesco a rimettermi in piedi. Il parroco termina la messa e io concelebro come posso, seduto. Il malore è dovuto alla disidratazione e all’altura (siamo a circa 2.700 metri). Una flebo e il té di coca mi rimettono in sesto. Dopo un paio di giorni con piccoli malesseri, mi sento di nuovo completamente recuperato. Oltre le riunioni, un giorno e mezzo sono dedicati a escursioni turistiche.

Ecuador: Chiesa de la Virgen del Quinche
28 gennaio: Otavalo e dintorni  – Subito dopo colazione inizia questo giro che ci porterà alla cittadina di Otavalo, famosa per il suo mercato di artigianato ecuadoregno, e ad altri posti nei dintorni. Dopo una ventina di minuti entriamo a visitare il santuario de la Virgen del Quinche. Un gruppetto, nel quale fortunatamente mi trovo anch’io, si imbatte nel sacerdote responsabile del santuario, il quale ci porta in una stanza superiore dietro l’altare (“camarín de la Virgen”), dove possiamo arrivare a vedere molto da vicino la statua e ad accarezzarla. Ognuno dei presenti sale una piccola scala e si ritrova faccia a faccia con l’immagine della Madonna. È un momento toccante. Alcuni frati si commuovono 
profondamente, fino alle lacrime, per il privilegio inaspettato che ci è stato concesso. Io, europeo razionale, resto un po’ più freddo. Ma ammiro e mi commuove la fede bella, semplice e popolare dei miei confratelli. Avverto che mi manca qualcosa...

Otavalo e altri due paesi sono caratteristici per l’artigianato, come dicevo. Ma passo veloce per negozi e mercato, e mi dirigo a visitare le vie e il centro. Cosa che mi piace di più. Bella la visita al lago vulcanico di Cuichoa, con le sue due caratteristiche isolette.


Quito: Vista della città dalla altura de la Virgen del Panecillo
Quito: Chiostro convento S. Francesco















31 gennaio: Quito – Al pomeriggio visitiamo il centro storico della capitale. Partiamo a piedi dalla Iglesia de la Consagración, in bello stile neogotico, per proseguire attraverso la via che ci porta alla chiesa dei gesuiti, alla piazza della cattedrale, alla chiesa e convento di San Francesco. Una camminata che mi piace molto. Mi piace passeggiare per i centri storici, camminare storia e volti. E quello di Quito è un gioiellino. Le due chiese poi, dei gesuiti e dei francescani, sono uno splendore. Quasi a fine pomeriggio ci rechiamo in bus alla altura della Virgen del panecillo, la cui enorme statua domina sulla città sottostante, e da dove si gode un panorama stupendo su Quito. Aspettiamo il tramonto, per ammirare dall’alto le prime luci illuminare la città e i suoi preziosi monumenti architettonici. La visita meriterebbe più tempo, e mi pento già di non aver previsto di fermarmi un paio di giorni ancora dopo l’assemblea.




1 febbraio: Latitudine 0º – La domenica, per chi non ha già la partenza, è prevista una visita al “centro del mondo”, alla latitudine 0º. Vi è una parte un po’ più turistica, precedentemente considerata la linea dell’equatore, secondo calcoli del 1700. Con i nuovi strumenti ci si è accorti che l’equatore passa poco distante, dove è nato un interessante museo e dove ci si diverte a vedere gli effetti della latitudine 0 a livello di fisica.

Al pomeriggio, i pochi rimasti ci ritroviamo nel convento dei frati a Quito. Nasce imprevista la proposta del guardiano di andare in macchina a un centro termale vicino. In verità si trova a più di un’ora di distanza. Alcuni preferiscono fermarsi a riposare. Sono stanco. Ma le suore della casa di ritiro, che dopo il malore mostrano di avermi preso sotto la loro ala protettrice, e dove siamo tornati per lasciare alcuni e cercare pantaloncini, mi spingono ad andare. Alla fine i partecipanti siamo cinque. La strada sale fino a quota 4.000 metri, per poi scendere verso il paesino con le acque termali provenienti dal vulcano. È un’esperienza rilassante e divertente a un tempo.

Bogotà: strada del centro storico
2-7 febbraio: Bogotà – Ci arrivo ancora una volta pentito di non aver previsto una sosta più lunga a Quito. Siccome il mio volo prevede uno scalo in Bogotà, ho deciso approfittarne per conoscere la città e condividere alcuni giorni con i frati di questa comunità. Qui si trova il postulantato della Custodia di Colombia. Sono accolto molto bene e la condivisione è molto bella, semplice e fraterna. Mi sento subito in famiglia.
Bogotà: Chiesa di S. Francesco
Due mezze giornate sono dedicate al turismo; il resto del tempo lo passo in convento, lavorando al computer, leggendo e vivendo i momenti comuni con i frati e i formatori. Le escursioni turistiche sono organizzate per me da fray Alexander. Tutti gli spostamenti sono a piedi e in bus pubblici, perché i frati, da ormai dieci anni, non hanno macchina. La mattina del 3 ci rechiamo a Zipaquirá, per visitare le miniere con le loro opere architettoniche e plastiche in sale. Al di lá di esse, è suggestivo addentrarse nel ventre della terra. Mi piace anche il centro della città, soprattutto la cattedrale con la piazza adiacente. Il pomeriggio del 4 saliamo in funivia alla chiesa della Virgen de Monserrate. La vista d’occhio sulla città in basso è la cosa migliore del posto. La chiesa, anche se non eccezionale, non è male. Una volta scesi, ci addentriamo a piedi nella parte antica di Bogotà. Anche questa non è male. Ci sono angoli suggestivi in stile coloniale. La chiesa di San Francesco e il Museo de la Moneda, con le opere di Botero, sono interessanti. Però Quito è ad un altro livello.
La mattina del 6, mi reco con fray Julian, a celebrare alle clarisse. In bus ci impieghiamo un’ora per arrivare. La messa e la colazione offerta dalle suore mi restano come un ricco ricordo. Infine il giorno 7 mattina riparto per Cucuta e per il Venezuela.


Zipaquirá: Chiesa nella miniera di sale
Che dire di questi giorni?!? Sono grato a Dio e ai confratelli per le belle esperienze fatte. Una considerazione quasi spontanea uscendo dal Venezuela è sulla situazione di questi paesi rispetto al nostro. Ormai ciò che attira e affascina il venezuelano all’estero non sono solo le bellezze paesaggistiche o artistiche, i luoghi di divertimento o i cibi. Sempre più spesso, almeno a me capita, si guarda con invidia e ammirazione alla sicurezza sociale; al poter camminare per strada senza la compagnia di un timore indeterminato che ti succeda qualcosa; all’economia abbastanza stabile; alla possibilità di accedere a beni di prima necessità senza fare file assurde; alla varietà e abbondanza dei prodotti di consumo a prezzi non esorbitanti rispetto al salario minimo; alle infrastrutture meglio tenute e curate. E stiamo parlando di paesi latinoamericani, certamente con meno risorse rispetto al nostro. La tentazione che ti assale, a volte, è di rimanere, unita a perplessità, dubbi e rabbie.