domenica 15 marzo 2020

3) Diario personale, dal convento in epoca, di coronavirus



Sabato, 14 marzo 2020

Quando tutto questo è cominciato, la prima domanda che mi è venuta in mente è stata: “Come farò a far passare le giornate, costretto a rimanere in casa?!?”. Mi sono accorto di avere meno tempo per me di quanto ne avevo prima, almeno fino ad oggi. Sarà per il cambio di vita forzato, imposto dalle autorità per il bene personale e comune; sarà per il senso di smarrimento iniziale da esso determinato; sarà per la voglia accresciuta di relazioni, come succede spesso per tutte quelle cose che ci vengono tolte o ridotte; sarà per il volersi sentire vicini ai nostri fedeli costretti a casa, magari attraverso i mezzi a disposizione... di fatto le ore della giornata finora sono quasi volate. Abbiamo scoperto che i mezzi di comunicazione sociale possono essere una grande risorsa, se usati bene e per il bene, e non soltanto inutili perdite di tempo, a volte addirittura pericolose o illegali.
Alle 18 di nuovo il flashmob organizzato da Silvano e Francesca per i dirimpettai della piazzetta di San Giuseppe. Questa volta il “pubblico” è stato più numeroso (ho contato circa 15 presenti) e partecipativo. Il nostro padre Giuseppe ha apprezzato molto l’iniziativa. Stasera ci è toccato Toto Cotugno con il suo “Italiano”, e Celentano con “Azzurro”. Mentre dalle parti della Chiesa Madre un altro altoparlante ha trasmesso canzoni per una buona mezz’ora. Canzoni che vogliono far alzare il livello di stima e l’orgoglio di essere nati e appartenere a questa meraviglia che si chiama Italia. Altre tese a mantenere viva la fiammella della speranza e gettare lo sguardo oltre l’ostacolo, invitando a considerare una bellezza mai scontata, ma vissuta talvolta con distratta superficialità.
A notte la notizia di una impennata dei casi di coronavirus a Copertino: 15 positivi, 170 in quarantena e 30 denunce per inadempienza delle norme stabilite dal governo e dalla giunta comunale. Mi fa specie soprattutto questo ultimo numero, che ritengo la punta di un iceberg. Non ci si rende conto del momento che si sta vivendo? Si pensa solo a se stessi e a soddisfare voglie non necessarie né urgenti? Cerco di capire le difficoltà del momento, ma la campagna “Io resto a casa” va presa sul serio. E da sacerdote vorrei ricordare che non adempiere una legge che intende salvaguardare la salute del prossimo, è peccato grave. Un applauso al nostro Giuliano per il video che promuove la suddetta campagna del governo.

Vangelo di oggi, domenica 15: Gv 15,4-42 (Gesù e la samaritana)
Al pozzo di Giacobbe si incontrano due seti, di Gesù e della donna samaritana, di Dio e dell’umanità. Una sete di amore, di relazioni, di obbedienza a Dio, che accompagnerà Gesù fin sulla croce, e alla quale l’uomo spesso risponde con una spugna imbevuta di aceto, che è vino andato a male. Il sogno di Dio per l’uomo, perché sia felice attraverso l’accoglienza del suo amore e del suo regno; spesso disatteso nella fatica inutile di scavare cisterne screpolate.
Alla fine di questa “triste storia”, di questa ora tragica per l’Italia e il mondo intero, saremo riusciti a incontre e far nostra la sete di Dio? La Chiesa è chiamata a sedersi presso il pozzo lungo la strada, per annunciare e testimoniare questo sogno, senza superiorità, senza scandalizzarsi degli smarrimenti altrui. Come e con Gesù.

2) Diario personale, dal convento in epoca, di coronavirus

Venerdì, 13 marzo 2020

Una delle prime cose che faccio al mattino è ascoltare il giornale radio delle 6.30, per poi scendere ad aprire la chiesa. Nella trasmissione in cui è inserito, viene proposto ogni giorno un tema e tre canzoni che ne fanno riferimento; gli ascoltatori sono invitati ad eleggere la migliore. Naturalmente in questi giorni i temi proposti sono attinenti alla epidemia da coronavirus. Il tema di oggi era la fiducia, ed ha vinto “Mi fido di te”, di Jovanotti. Mi è sempre piaciuto parecchio il ritornello: “La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare. Mi fido di te... cosa sei disposto a perdere?”. Di questi tempi è ancor più indispensabile potersi fidare degli altri, dei loro atteggiamenti e comportamenti corretti. E far sì che gli altri si fidino di noi.
Nel radiogiornale la notizia delle dichiarazioni shock (poi corrette in giornata da altri organismi della UE) della Lagarde, presidente della BCE, che hanno letteralmente fatto crollare la borsa italiana e quelle europee. Mi sono chiesto in che Europa viviamo, quali sono i cardini di questa unione. Se prima ero del parere che bisogna rivedere o attuare meglio le leggi dell’unione, oggi ne sono fermamente convinto. In questo modo non ci  si può meravigliare se cresce un sentimento antieuropeista. Non basta solo combattere le derivazioni sovraniste; occorre trasmettere la gioia di appartenere a una Europa unita, attraverso politiche comuni di solidarietà, mettendo al centro l’uomo e il progresso dei popoli tutti, senza preferitismi e mezze misure. Spero che il Covid 19 ci insegni almeno ad essere uniti. Ora lo siamo nella diffusione del virus, che ha toccato ormai ogni paese europeo; speriamo in seguito di esserlo nella stima e promozione reciproche... dopo aver combattuto e battuto insieme questo nemico insidioso.
Termino questo diario con un accenno al flashmob convocato per le 18.00. Ero in terrazza e stavo leggendo finalmente il primo capitolo de “I promessi sposi”, quando ho sentito voci dalla terrazza vicina di Silvano e Francesca, che insieme ai loro due figli stavano preparando un altoparlante per trasmettere l’Inno di Mameli all’ora stabilita. Come è avvenuto. L’inno è risuonato nella piazzetta quasi deserta di San Giuseppe, ma è stato un bel momento. Alla fine si sono levati gli applausi delle 6-7 persone presenti all’evento... a debita distanza. Si ha bisogno di farsi sentire, di rompere un silenzio assordante, di far sapere che siamo vivi e vogliamo continuare ad esserlo, pur nel rispetto di tutte le regole del caso. Aver ascoltato il proprio inno nazionale, in questo momento di “guerra” contro un nemico subdolo perché invisibile, è un bel modo per commuoversi e rinnovare la voglia e l’impegno a combattere. Anche per me, che amo poco gli inni nazionali, pur commuovendomi quando ascolto quello italiano e il venezuelano.


Vangelo di oggi, sabato 14: Lc 15,11-32 (parabola del padre misericordioso)
Tre protagonisti e una casa. In epoca di coronavirus: un figlio che resta a casa; uno che va via senza una certificazione corretta; un padre nel mezzo. La parabola è un invito a scoprire il vero volto di Dio come padre, e l’altro come fratello. Nonché la gioia di avere una casa “condivisa” (famiglia, paese, nazione, mondo).
Quando tutta questa esperienza sarà finita, avremo percorso un tratto in più di questo cammino? Ci sarà servito, o ci sarà rabbia tra coloro che sono rimasti in casa e gli incoscienti che non lo hanno fatto come avrebbero dovuto? Avremo voglia di sentire il nostro paese come casa comune, dove vivere la gioia della familiarità umana e della solidarietà mutua? Il condividere maggiormente gli spazi della casa, anche in modo forzato, sarà servito ad accrescere la conoscenza, il dialogo e l’amore? Speriamolo!!

1) Diario personale, dal convento,in tempo di coronavirus


Giovedì, 12 marzo 2020

Come premessa c’è da ricordare che da martedì tutta l’Italia è in una specie di quarantena collettiva. Le celebrazioni sono sospese, anche se le chiese possono essere aperte per la preghiera personale. La nostra comunità si è data il seguente orario di preghiera, durante il quale portiamo davanti a Dio le necessità del popolo italiano, dei nostri fedeli, dei copertinesi e del mondo intero: ore 7.00 – 11.30, apertura del santuario; ore 7.30, recita in cappella dell’Ufficio di letture e delle Lodi; ore 12.00, celebrazione della Eucaristica in chiesa e recita dell’Ora media; ore 16.30 – 19.00, apertura del santuario; ore 19.30, celebrazione dei Vespri (e della Corda pia il mercoledì, della Via Crucis il venerdì). Il Rosario e la meditazione sono lasciate al singolo frate.
Oggi la nostra comunità ringrazia Dio per il dono della vita di fra Giovanni. Stamattina, dopo la preghiera, gli abbiamo fatto gli auguri. C’è stato un attimo di incertezza sulla “forma”, dovuto a quello che stiamo vivendo e alle raccomandazioni fatte dalle autorità mediche. Alla fine glieli abbiamo fatti nel modo classico: abbraccio e bacio sulle guance. A pranzo abbiamo tagliato una gustosa torta fatta in casa (da oggi sono chiuse anche le pasticcerie...) e aperto una bottiglia di spumante.

Nel pomeriggio mi sono recato al vicino medico ortopedico per la seconda infiltrazione alla spalla. Ero il solo senza guanti e mascherina! Oggetti che appartengono ormai al panorama quotidiano. Se non si trattasse di una tragica realtà, parrebbe quasi di essere parte di un reality alla “The Truman show”. Poi sono salito sul terrazzo, sia per stare un po’ all’aria aperta, sia per cominciare a leggere, meglio rileggere dopo il ginnasio, “I promessi sposi”. Forse perché è un libro che parla di una situazione di epidemia, facendo emergere valori umani e cristiani.
Non sono riuscito a finire neanche il primo capitolo, a causa di alcune telefonate arrivate. In questi giorni infatti il convento sembra essersi trasformato in una specie di “call center” dello spirito. Da ogni camera si sente uscire la voce del frate che parla con qualcuno a telefono. A volte si è confusi, scoraggiati, si ha bisogno di parlare, e allora ci chiamano. Il cellulare, insieme ai socials, in questo tempo di isolamento forzato, è un utile strumento di vicinanza al nostro popolo e ai nostri familiari. Si tratta di un modo moderno e opportuno di fare pastorale e di far sentire la vicinanza di Dio attraverso i suoi pastori. Il Signore ci illumini e ponga sulle nostre labbra parole sagge, piene di misericordia e consolazione, e che aiutino a non perdersi d’animo.
Coraggio, andrà tutto bene!!

61 anni… in epoca di coronavirus


È passato poco più di un mese dal mio compleanno, ma sembra davvero che abbia compiuto gli anni in un’altra epoca, quella di quando il contagio da coronavirus era lontano da noi, quando ci sembrava pessimistica e catastrofica la sola l’ipotesi che potesse attecchire e diffondersi nel nostro paese, tutt’intorno a noi e dentro di noi, come poi è accaduto e sta accadendo. Per cui il mio tradizionale scritto sul compleanno allora avrebbe avuto toni differenti da quelli di oggi. I toni di una banalità, di una quotidianità e leggerezza di cui abbiamo oggi tutti tanta nostalgia. A quei toni vorrei però, in certo qual modo, attenermi, non per superficialità, ma per rispetto a uno stile di vita che tornerà ad appartenerci, speriamo arricchito da questa esperienza, accolto come dono non scontato nei suoi “banali” risvolti quotidiani, con gratitudine (proprio mentre scrivo questo, la mia playing list di Youtube sta passando “Wish you were here”, suonata con chitarra acustica da David Gilmour e gruppo. Un gioiello).

Fai rumore – Ogni anno cerco sempre di fare riferimento a una o più canzoni che caratterizzino il mio compleanno. Spesso l’ho fatto con una di Sanremo, vista la vicinanza dei due eventi: festival e compleanno. Quest’anno, l’11 febbraio, chiamandomi per farmi gli auguri, G., alla quale piace lanciarmi sfide e rimproveri, spinta da un bene grande e spontaneo, fuori da ostacoli e filtri, nato quando l’ho conosciuta bambina, vivo ancora ora che è giovane, mi ha sfidato appunto a mettere la canzone vincente di Sanremo (Fai rumore, di Diodato) in questo mio post del compleanno, e a giustificarne la presenza.
Fai rumore qui, e non lo so se mi fa bene, se il tuo rumore mi conviene. Ma fai rumore sì, che non lo posso sopportare questo silenzio innaturale...”. Il contrasto tra “rumore” e “silenzio” rispecchia però più la situazione italiana che si è venuta sviluppando dopo il mio compleanno, a causa del coronavirus. Intorno a noi vi è molto “silenzio innaturale”, forzato. Strade vuote e paura di contagio, che ci svuotano a volte di energie, rischiano di limitare gli orizzonti della speranza, ci costringono a silenzi che fanno molto rumore dentro. Allora c’è bisogno di “rumore”, di reagire, non con il chiasso e il disordine, di rompere l’assedio, l’alito mortifero di questo “silenzio”. Magari fare di questo rumore armonia e musica. È l’invito rivolto da autorità e amici, dalla nostra stessa fede in Dio e/o nella vita. Ma non è facile!! È una lotta!! Però c’è anche tanta solidarietà e voglia di lottare insieme. Papa Francesco esorta a fare rumore, a non rimanere silenziosi, passivi di fronte al male del mondo, a costruire una umanità nuova. Ci auguriamo di uscire al più presto da questa epidemia, magari avendone imparato alcune importanti lezioni di vita (“... e non ne voglio fare a meno oramai, di quel bellissimo rumore che fai”).

Gli anni più belli – I primi di febbraio ci hanno ammorbati con la data palindroma del 02/02/2020. Allora ho pensato di leggere al rovescio gli anni compiuti: 61 diventano 16. Spinto anche dal fatto che il 24 dicembre scorso è nato un gruppo di WhatsApp di tutti gli amici e amiche di infanzia e adolescenza del rione di Sant’Oronzo (il “Santronz Amarcord”), prima che la vita ci portasse su strade differenti. Questo ha creato la voglia di raccontarci, nei limiti di un gruppo; di rivederci magari in agosto, quando la maggior parte facciamo tappa al paesello; di rimpiangere un po’ quei tempi belli, senza piangere su quelli successivi... Per questo la canzone di Claudio Baglioni, uscita in prossimità del mio compleanno.
16 anni... 1975. A luglio del ’75, Anno Santo, sono tornato a casa dopo la esperienza in seminario a Bari. Esperienza bella per gli amici che la hanno condivisa con me e per i rettori che ci hanno accompagnato; traumatica per la solitudine del luogo appartato e il senso di silenzio vuoto sperimentato, dopo la pienezza di vita del quartiere e del paese.
A ottobre inizio il liceo, ritrovando gli amici del IV ginnasio e tutti gli altri. È però anche l’anno in cui mi accorgo che alcuni amici del rione sono costretti a lasciare il paese per cercare lavoro, ed altri si stanno preparando. Una adolescenza matura che porta a intraprendere cammini a volte differenti e lontani, ad allargare il cerchio delle amicizie e degli interessi, ad aprirsi al mondo del lavoro e dell’impegno politico. La cosa bella è che quella amicizia nata, vissuta, cresciuta, consolidata nella chiesa e oratorio di San Francesco, nei pomeriggi di interminabili partite a pallone, nelle serate di racconti sul “muridd d Nannin” o sulle scale della chiesa, negli sfottò tra ragazzi e ragazze... non è poi mai venuta meno. E ogni incontro è stato e continua ad essere una gioia disinteressata e grata per quanto ci è stato donato di vivere, pur in situazioni di una certa “sobrietà imposta” e a volte di precarietà economica. Ma le pezze ai vestiti o alle scarpe non ci hanno tolto la voglia di vivere e camminare.
La canzone di Baglioni è bella. La chitarra, strumento principe della nostra adolescenza e giovinezza, ti entra nello stomaco ed attraversa il cuore. Alcune parole potrebbero invitare a riflettere in modo poetico sulla situazione passata e presente, con immagini efficaci (Volevamo fare nostro il mondo... Ma il destino aspetta dietro un muro, e vivere è il prezzo del futuro... Passeggeri persi nel passato...). Io però faccio piuttosto mie e del gruppo queste parole: E quel tempo è un film di mille scene, non si sa come è la fine. Se le cose che ci fanno stare bene sono qui, proprio qui, forse no, forse sì...”.
Forse sì. Quelle cose sono qui. Ce le siamo portate dietro, sempre. E sono quelle che ci fanno ancora stare bene.