domenica 25 aprile 2010

Uscire da se stessi per incontrare l’altro


Il presente post è per condividere con voi un articolo scritto per la rivista "Milizia Mariana". La prima reazione è stata quella di rifiutare l'invito e accampare qualche scusa, visto il titolo piuttosto impegnativo: "Uscire da se stessi per incontrare l'altro"; poi mi sono detto che potevo anche raccogliere la sfida e accogliere la richiesta di Angela, amica di sempre e direttrice della rivista. Il risultato è l'articolo che segue. A voi la lettura e il giudizio, che non mi interessa conoscere a tutti i costi, però è normale che ciascuno se ne formi uno al leggerlo. È un modo "diverso" stavolta di aggiornamento del blog.


“Il Signore concesse a me, frate Francesco, di iniziare in questo modo a fare penitenza; in effetto, vivendo tra i peccati, mi sembrava molto amaro vedere lebbrosi. E il Signore stesso mi condusse tra loro, e usai con loro misericordia. E, al separarmi da loro, quello che mi sembrava amaro, si trasformò in dolcezza d’anima e di corpo; e, dopo di questo, aspettai un poco di tempo e uscii dal mondo” (Testamento di S. Francesco, 1-3). Così Francesco d’Assisi descrive il momento fondante della conversione, rileggendo la sua esperienza di vita poco prima della morte.

Si direbbe un itinerario di “uscite” ed “incontri”: l’incontro con Cristo e l’uscita da se stesso per incontrarsi con i lebbrosi, mondo sconosciuto e temuto. Incontro dalle valenze insospettate e inattese, che cambia radicalmente la sua visione delle cose, lo porta ad uscire da un mondo senza l’orizzonte Dio, per ridare spazio a Dio e a se stesso in Dio (la penitenza); recuperando, allo stesso tempo, la propria e altrui umanità, in un processo di inclusione e non di esclusione (usare la misericordia).

In fondo la medesima dinamica della Bibbia: Dio esce verso all’uomo, per invitarlo a uscire incontro a Lui e all’altro, in una modalità generativa includente e non escludente, riflettendo l’immagine stessa di Dio e ritrovando la propria identità nella prospettiva di famiglia e fraternità. Il camminare di Dio verso l’uomo è “rivelazione”, che permette a questi di scoprire l’Altro, altrimenti sconosciuto, e la sua “prossimità” nelle creature. L’incontro con l’Altro e gli altri si trasforma in itinerario necessario per incontrare se stessi e dare il senso, la direzione appropriata alla propria vita. Come Francesco d’Assisi e tutti quelli che si lasciano incontrare dal Signore. Incontro unico e fondamentale in un momento determinato della esperienza umano-cristiana, ma che richiede continui esodi quotidiani, nella ricerca constante del proprio ruolo nel mondo e nel disegno di Dio.

Nel mio caso di religioso francescano, un momento fondante di esodo da me stesso e di radicamento in Dio e nell’incontro con l’altro, assunto come fratello, è costituito dalla professione religiosa (in altri dalla risposta vocazionale a Dio, che sempre chiama a “uscire” per essere veri discepoli). Una “uscita” che ti colloca nel luogo dell’esodo-pellegrinaggio verso la terra promessa, intuita e anelata, con le sue risposte quotidiane alle sfide della vita, che ti spingono a rinnovare l’adesione a Dio, nella necessaria dinamica di penitenza-uscita e misericordia-incontro. In tal senso il voto di obbedienza diventa la provocazione di Dio a uscire da se stessi per incontrare l’Altro e gli altri. Esperienza naturalmente dolorosa nei suoi momenti iniziali (lasciare una realtà, un mondo, abitudini, relazioni e affetti, i propri schemi…); gioiosa e arricchente se ci si dispone a farsi incontrare e accogliere. Obbedienza difficile e foriera di pienezza, nella sua accezione fondante e/o quotidiana di interpellanza alla conversione, al cambio di direzione da sé all’altro.

Sempre mi è costato obbedire, uscire. Non ho cambiato molti luoghi nei miei 25 anni di frate; ruoli e scenari di presenza sì. Di certo, il cambio più radicale è stato quello che mi ha portato dove sono attualmente: il Venezuela. Dio solo sa quanto mi sia costato abbandonare la realtà pugliese e le persone di là, per abbracciare, almeno mentalmente, una cultura, un mondo e un impegno del tutto nuovi rispetto agli abituali. Mi sono “voluto” fidare di Dio, forte delle esperienze esodali già vissute, esperimentate come cammino di ricchezza nell’incontro e di rinnovata gratitudine verso la generosità traboccante di Dio, malgrado titubanze e opposizioni. E non mi sono sbagliato. Continuo nelle mie infedeltà e dubbi umani; ma quando lo Spirito riesce a parlare più forte del sottoscritto, mi rendo conto che lo spazio sottratto a me (dolorosamente a volte) e dato a Dio e al fratello, diventa il luogo della identità ritrovata e rinnovata, della gioia vera e della vita piena. In questo senso non abbiamo sempre da imparare, preceduti e guidati dall’esempio di Maria e dei nostri santi, instancabili camminatori dello Spirito, ricercatori assidui di vita e identità, pellegrini nell’itinerario verso Dio e l’uomo?!?

lunedì 12 aprile 2010

Settimana Santa 2010

Son passati sette giorni da quando sono ritornato al seminario, dopo l’esperienza, in verità prolungata, della pastorale durante la Settimana Santa. Anche stavolta sono stato a Venegara, la aldea vicino a La Grita, che avete imparato a conoscere dai miei reportage, visto che da due anni i momenti di missione natalizi e pasquali li vivo lì. I miei alunni diocesani mi prendono in giro e mi dicono che ormai io sono il parroco di Venegara. E così, nello scherzo, la notte di Pasqua, ringraziando tutti per l’affetto che mi dimostrano ogni volta che ci vado, mi sono autonominato “Viceparroco” per la zona di Venegara. Cosa che ho comunicato anche al parroco, con il quale c’è un ottimo rapporto e che si è fatto una bella risata. Di fatto, però, è normale che si intensifichino amicizia e relazioni, visto che ogni tanto ci vado anche per bussare a verdura per il seminario. E così mi invitano, sempre più spesso, a celebrare eventi della “aldea”: nozze, prime comunioni, funerali...

Il problema è che questo sta succedendo anche con altri due villaggi di montagna più piccoli (Babuquena e Palenque), dove vado ad aiutare, pur non appartenendo alla stessa parrocchia. Essi sono meno esigenti, però mi preoccupo, quando vado, di celebrare o aiutare anche da loro. E la voce si sparge, di questo padre “senza fissa occupazione”, per cui già da un altro villaggio la responsabile pastorale mi ha chiamato perché vada una domenica a celebrare Messa e visitare gli infermi. Questi ultimi villaggi, di fatto, vedono il sacerdote una volta al mese, e quasi sempre di corsa.

Ma torniamo alla Settimana Santa.

Il lavoro pastorale è iniziato il venerdì precedente alla Domenica delle Palme, quando si celebra in tutta la parrocchia la “Vergine dei dolori”, un’antica devozione, pare di origine spagnola, abolita dopo il Concilio Vaticano II, perché un doppione della festa dell’Addolorata in settembre. Partito alle tre del pomeriggio dal seminario e arrivato a Venegara alle 17.30, alle 18.00 inizio la S. Messa. Alla fine della quale una delle animatrici della cappella mi dice che il giorno dopo dovrei celebrare un funerale a La Grita, per Neimar, una giovane di 27 anni, tutti vissuti in un letto, capace di muovere solo gli occhi e ascoltare. Mi ospita la famiglia amica di Antonio e Mirian, coi loro due figli Javier e Neimar, in una stanza con bagno – un vero “lusso” per una esperienza di missione – approntata per il figlio Miguel, seminarista che sta studiando teologia a Roma.

Sabato mattina vado a trovare p. Melquiades, il parroco, nella sede centrale della parrocchia in Sabana Grande. Ci si saluta e mi annuncia che ha invitato una religiosa e alcuni laici del movimento “Verbum Dei”, tre dei quali staranno con me a Venegara. Nel pomeriggio celebro alle 15.00 il funerale, con la chiesa di “S. Maria de los Ángeles” gremita di fedeli. Mentre alle 20.00, nel santuario-parrocchia del S. Cristo, celebro il matrimonio di Francy, giovane catechista di Venegara. Scrivo in mattinata un sms a fray Jesus Alexer, rimasto in seminario per una Pascua Juvenil, per chiedergli come va e dirgli del funerale e matrimonio. Mi risponde ironico: “In fondo sono la stessa cosa!!!”, e mi da lo spunto per l’omelia del matrimonio.

Domenica delle Palme, per aver deciso di dare una mano a Babuquena e Palenque, celebro tre Messe, con rispettive benedizioni e processioni: alle 10.00 a Palenque; alle 14.00 a Babuquena e alle 17.00 in Venegara.

Il lunedì santo lo dedico intero alla comunità di Palenque e il martedì a quella di Babuquena, con un medesimo orario: mattina visita agli ammalati, pomeriggio confessioni e Celebrazione eucaristica. Dalle 8.30 circa alle 13.30 visita agli ammalati, che non vivono vicini tra loro e bisogna spostarsi in camionetta. Dalle 15.00 confessioni, che si prolungano fino alle 21.15 in Palenque e alle 22.30 in Babuquena, con la sola mezz’ora di interruzione per la Messa, alle 19.00.

Mercoledì del Nazareno, celebro alle 7.30 in Babuquena e mi trasferisco definitivamente a Venegara. Alle 10.00 mi aspettano per andare a benedire una cappella rurale in montagna (le foto si riferiscono a questo). Mezz’ora circa di sterrato in salita spesso ripida, con due camion 4x4, per arrivare in cima con tutta la gente della famiglia padrona del terreno. Una bella passeggiata ecologica e un momento di riposo. Nel pomeriggio, alle 14.30, Via Crucis verso la parrocchia di Sabana Grande (un’ora di cammino) e S. Messa comunitaria del Nazareno alle 16.00. In realtà inizierà alle 17.30 e io, che ho già celebrato, confesso per più di due ore.

Il Triduo Santo si svolge nella sua normalità liturgica e pastorale: celebrazioni, Via Crucis per il villaggio, confessioni, visite agli ammalati. Devo dire che la presenza dei laici di “Verbum Dei” è stata di grande utilità nell’animazione della gente e delle liturgie. Ai tre della prima ora si sono aggiunti due altre durante i giorni del Triduo. Con loro – Ciro, Elubia, Kaira, Yainet e Laura – si è creato un bel rapporto da subito e un bel condividere, al di là dell’aspetto prettamente pastorale.

Domenica di Pasqua, celebrata la Messa alle 10.30 del mattino, sono rimasto a La Grita, per permettere al parroco del S. Cristo di prendersi un paio di giorni di riposo. Qui ho confessato durante la Eucaristia della sera e, alle 19.30 sono andato a celebrare una ultima Messa di novenario di defunto nella casa della famiglia di questa. Il giorno dopo mi sono toccate quattro Messe, di cui l’ultima ancora una volta di novenario. Martedì, dopo la celebrazione al mattino, sono tornato in seminario.

In definitiva dieci giorni impegnativi, ma belli. Non saprei come definirli diversamente. È che questi posti nominati, che prima per me erano semplici nomi senza senso, ora fanno parte della mia vita e dei miei affetti, insieme alle persone che li abitano. Condividere con loro parte del mio tempo, mi fa sentire bene, un po’ più “a casa”, e conferisce maggiore pienezza alla mia esperienza e alla mia consacrazione.