giovedì 18 giugno 2009

Zoryam e la politica


Non sono contento della politica italiana e venezuelana, che hanno vari punti di contatto, anche se qui la situazione è senz’altro peggio per assenza di garanzie democratiche elementari. Purtroppo, mi rendo conto che in Italia non si sa quasi niente del Venezuela e di quello che sta accadendo. Magari è normale. Non si può sapere tutto di tutti. Ma almeno si abbia la decenza di tacere quando non si conosce la realtà per non viverla, invece di dare giudizi positivi o negativi che sono più frutto di ideologie che di esperienze sul posto.
Fatte salve le differenze storico sociali, che pendono la bilancia verso il basso (abismo?!?) più in questa parte sud del mondo, il teatrino è molto simile: ricerca di un partito forte che possibilmente sia unico; richiesta di poteri sempre più forti per chi governa; culto della personalità e identificazione del partito con il leader, con conseguente servilismo o appoggi opportunistici; convinzione inscalfibile di essere sempre e comunque nel giusto, e l’altra parte nel torto, per cui se vuole avere voce deve parlare come me; ridicolizzazione delle opposizioni e intento di farle sparire; linguaggi da caserma e osteria; minacce, per remare contro, ai mezzi di comunicazione e alle menti libere (e la Chiesa, fatta di cristiani e vangelo, checché se ne dica e con tutte le critiche che le si possono rivolgere, chissá perché, dappertutto è tra le istituzioni più bersagliate. Ci sarà un motivo?!?...).
La foto che pongo qui è bellissima (naturalmente non per la mia presenza...) e mi pare riassumere ció che servirebbe alla nostra società: la freschezza innovativa dei fanciulli, con la loro carica di affetto e speranza; la canizie dell’anziano, con tutti i valori evangelici che il suo abito francescano rappresenta. Potrebbe essere la gestazione di un mondo nuovo nella sua carica di speranza, dove il sorriso diventa luogo ed espressione delle condivisioni.
Ah, dimenticavo: Zoryam è il nome della bimba.

Giorni movimentati


Nell’ultimo post facevo accenno al fatto che, da due mesi e mezzo a questa parte, i miei fine settimana sono stati alquanto “travagliati”, nel senso più spagnolo del termine, con riferenza al “lavoro” (=“trabajo”). Stavo notando che in tutto questo tempo, a partire dalla domenica precedente a quella delle Palme (5 aprile), solo una domenica ho celebrato in seminario. Tutte le altre volte sono stato fuori, per aiutare nei nostri conventi o qualche sacerdote in difficoltà. Non è propriamente comodo vivere così e non è “normale” (la normalità è l’altra), però mi pare giusto non chiudersi a tali richieste di aiuto pastorale. Per di più, come dicevo nel precedente post, questo incontro con il popolo di Dio nelle sue realtà esistenziali, mi gratifica umanamente e sacerdotalmente. Addirittura mi sembra di peccare un po’ di egoismo, accettando richieste incomode ma che so già gratificanti.
Le ultime “uscite” sono state a Venegara, a fine maggio, per la festa del santo patrono, Isidro labrador (Isidoro il contadino); al santuario del S. Cristo a La Grita, la settimana seguente; e a Caracas, sabato e domenica passati.
A Venegara ho celebrato due S. Messe “complesse”. Sabato sera si celebravano, in una volta: chiusura del mese di maggio, vigilia di Pentecoste e ringraziamento per i 15 anni di una ragazza (già ho scritto dell’importanza di questa ricorrenza nella vita di una donna; è la sua entrata in società). Domenica mattina c’erano: festa di Pentecoste; celebrazione del Santo Patrono e prime comunioni. Insomma, un bell’equilibrismo per farci entrare tutti.
A La Grita sono arrivato il sabato successivo alle 17.15 e un quarto d’ora dopo ero sull’altare per la prima Messa. Ci sono sceso alle 20.00, dopo tre messe consecutive. Il giorno dopo, solennità della Trinità, prima messa, radiotrasmessa, alle 8.00; quindi alle 10.00 e funerale alle 11.30. Ripartenza alle tre del pomeriggio, dopo aver pranzato e chiacchierato un momento con un anziano originario di Molfetta. Viaggio accompagnato da una pioggia battente e in mezzo alle nuvole basse del Paramo del Zumbador. Uno spettacolo novembrino...
Infine, la settimana scorsa sono andato a Guanare per salutare Eugenio, Elisabetta e le bimbe, prima del loro ritorno definitivo in Italia. È stato bello trascorrere con loro un paio d’ore, giocando con le figlie e ascoltando il loro stato d’animo, misto di allegria per il ritorno, e di malinconia per la partenza. Ho avuto occasione anche di conoscere un paesano di Monte S. Angelo, incontrato per caso da Eugenio, che vive in Venezuela dal 1957 ed ha un negozio di scarpe nella città. I miei conoscevano bene la sua famiglia, visto che il papà era sarto, come mio nonno e mio padre. Quindi a Caracas per incontrare i due frati che si preparano per il sacerdozio e stilare un programma di formazione minima. Naturalmente è stata l’occasione per condividere alcune ore con i miei parenti che non vedevo da circa un anno. In entrambi i casi non è mancata l’occasione, addirittura cercata, di aiutare i frati nella loro pastorale parrocchiale.