mercoledì 28 gennaio 2009

Un inizio di 2009 molto particolare


Locaina del Niño Jesús (1 gennaio)
É legata a una tradizione molto antica, e di tipo familiare, nel senso che appartiene a una famiglia particolare, ma coinvolge tutto il paese. Si collega alla “locura” (=pazzia) – da cui “locaina” – che, secondo la tradizione, afferrò coloro che a Betlemme non diedero ospitalità alla Sacra Famiglia, soprattutto quando si resero conto che non avevano avuto la disponibilità per far nascere il Figlio di Dio, in casa propria. I membri della Locaina “impazziscono” il 24 di dicembre, e per una settimana parlano in modo strano ed esprimono concetti al rovescio, però compiendo opere buone, come visitare e onorare i defunti. Il giorno 1 di gennaio celebrano una messa per ringraziare Dio del recupero della ragione nella fede rinnovata, e per pregare per i loro defunti.
Nell’omelia ho parlato loro del concetto di “pazzia” biblica: Dio “pazzo” di amore per l’umanità e che annuncia concetti al rovescio rispetto alla mentalità umana (il primo, ultimo; il più grande, servo...); i santi, “pazzi” di amore per Dio e per gli uomini, sull’esempio e con il sostegno di Gesú.
Dopo la messa si svolge come una processione e ai 4 angoli del paese vi è una cerimonia dei membri della locaina, vestiti con la loro bizzarra uniforme, che serve a “spazzare” l’influenza del male dagli abitanti di Pueblo Llano.

La festa di S. Benito (2 gennaio)
È una festa davvero popolare, non legata a nessuna famiglia e, per questo, fortemente partecipata. La figura di questo santo francescano negro di Sicilia è molto nota in America Latina, quanto sconosciuta in Italia (solo una bella canzone degli Inti Illimani, dedicata a questa festa, è un lontano ricordo di anni giovanili e di lotte studentesche in favore della democrazia in Cile). Probabilmente si usò il fatto che fosse negro e figlio di schiavi per presentare una figura di santo, nella evangelizzazione realizzata soprattutto dai francescani, con cui potessero identificarsi i negri portati schiavi in queste terre. Per cui la sua festa è tipicamente “afroamericana”, caratterizzata da danze e tamburi, anche se la sua devozione si è allargata a varie regioni, coinvolgendo tutti, senza distinzione di pelle e condizione sociale.
A Pueblo Llano non ci sono gli eccessi dello stato Zulia, per esempio, dove il santo viene asperso con alcool e ci si sbronza di brutto, anche durante la processione. Qui tutti sono sobri fino alla conclusione della festa, a sera inoltrata. Dopo...
Si inizia con la processione che parte dalla cappella di Motus, a circa 3 chilometri dalla parrocchia. La compagnia che cura la cappella trae fuori la reliquia (opportuno dono fatto dai frati di Sicilia lo scorso anno) e la statua del santo, tra balli e ritmi di tamburi, appunto. Quindi si da inizio alla processione, alla quale si aggregano lungo il percorso varie compagnie locali (ogni rione ne ha una) e alcune di fuori. Tutti si uniscono “danzando il santo”, nel senso che ballano loro ma muovono a ritmo di danza anche la propria statua di S. Benito, piccola o grande che sia. Molti partecipanti, fuori delle compagnie, giungono con il loro S. Benito per “ballarlo” (anche fray Nixon, il parroco, partecipa con una statuina che si trova in convento). È un vero tripudio di ritmo e gente. Il tutto per la durata di circa tre ore, fino a giungere alla parrocchia per la celebrazione eucaristica.
Quest’anno si è tenuta, per la prima volta, in chiesa, per evitare le distrazioni e i disturbi della piazza. Naturalmente la chiesa era strapiena, però tutti hanno apprezzato il clima di raccoglimento e preghiera che si è creato e mantenuto fino alla fine. L’omelia non poteva non ruotare intorno al danzare la propria vita davanti a Dio, sull’esempio di S. Benito.
Nel pomeriggio, dalle 14.30 alle 20.30, ogni compagnia, a turno, ha ballato per Dio con S. Benito nella piazza del paese, antistante il convento. Noi abbiamo assistito da un palco, da dove io, alla fine di ogni esibizione, benedicevo i membri del gruppo con la reliquia del santo, mentre altri consegnavano una medaglia e un diploma di partecipazione. Il tutto si è concluso con gli immancabili botti e fuochi artificiali.


Locaina e Cacao (3 gennaio)
Il gruppo della Locaina è ancora protagonista la mattina del giorno 3 gennaio, con la celebrazione – fuori tempo – della festa del santo martire Pancrazio. Essi partecipano alla messa e depongono ai piedi dell’altare le loro “insegne”, perché si benedicano alla fine. Nell’omelia ho parlato del senso della penitenza cristiana all’inizio di un nuovo anno, che si dovrebbe caratterizzare sempre per una ricerca più intensa di conversione, a esempio del martire che si sta celebrando.
Terminata la messa, si svolge fuori di fronte alla chiesa, il rito del “Cacao”. C’è da premettere che la Locaina il giorno 24 dicembre pianta, di fronte alla porta di ingresso della chiesa, un totem, rappresentante Napolión Linares. Non so dirvi se personaggio vero o di finzione. In tutti i modi, si tratta di uno che ebbe un buon tratto con i nativi indigeni, e per questo si celebra la sua memoria o ciò che rappresenta.
La cerimonia ha il seguente sviluppo. Prima si svolge la rappresentazione come il giorno 1, che essi chiamano “gioco”; solo che oggi è senza le uniformi. Essa celebra come un incontro pacifico tra le armi degli indigeni e quelle dei bianchi, presentate insieme al sacerdote perché le sollevi verso l’alto. Poi il “capitano” (=capo) sale sul totem e fa un discorso con riferimenti alla vita del paese e del gruppo, però in un linguaggio allegro e un po’ “cifrato”. Infine, si distribuisce il “cacao” ai piedi del totem: colpi alle natiche e alle gambe con un frustino, segno credo di purificazione e penitenza. Cominciano i sacerdoti, “frustrati” dal capitano (i colpi si avvertono, eccome; dipende dalla veemenza di chi li assesta); segue lo stesso capitano, “flagellato” dai sacerdoti; e, quindi, i presenti se lo vogliono. E vi assicuro che tutti si sottopongono a questo rito, coscienti o no di ciò che possa significare.


venerdì 23 gennaio 2009

Fine e inizio di anno a Pueblo Llano


Ci siamo lasciati con la festa di Natale a Venegara e mi manca il racconto dei circa 10 giorni seguenti, visto che sono tornato in seminario il 4 gennaio. Già era previsto che andassi a Pueblo Llano, per fare compagnia e aiutare fray Nixon, come mi aveva chiesto fray Franklin, per permettergli di vivere alcuni giorni con la sua famiglia. Fin dall’inizio la proposta mi era sembrata interessante, sia per la possibilità di stare in montagna (2.500 mt circa) che per vivere la festa più importante del paese, quella di S. Benito da Palermo (un francescano fratello religioso). Per cui ho subito accettato con piacere.
Ebbene, il 26 di dicembre, con abbondante ritardo rispetto allo stabilito (14.30 invece delle 11.30, colpa della fila obbligata in alcuni periodi per rifornirsi di benzina), sono venuti a prendermi due amici professori universitari - Alfredo e Carmen - per portarmi a Pueblo Llano. Abbiamo attraversato il passo “paramo” de La Negra (sopra i 3.000 mt), con un raro cielo completamente aperto e una visuale paesagistica molto suggestiva. Quindi, attraversata Merida, siamo giunti a Pueblo Llano alle... 22.30!!! Un po’ perché si impiega almeno 6 ore se si tira dritto, e un po’ perché il viaggio è stato vissuto come “turisti”: senza fretta e con alcune piacevoli soste.
Il giorno dopo i miei due amici hanno proseguito per Barquisimeto e io sono rimasto a godermi il fresco e i successivi giorni di montagna e parrocchia. Il clima è stato clemente con questo visitatore italiano; la gente è stata fantasticamente accogliente verso di me, nominato sul campo “predicatore ufficiale” della novena (nella cappella a lui dedicata nella zona di Motus) e della festa di S. Benito.
Il 29 dicembre, poi, ci hanno raggiunto Eugenio ed Elisabetta, con le due figlie Teresa e Sara. Riporto quanto essi hanno scritto nella loro “lettera periodica” indirizzata agli amici.
Dopo il “tour de force” del Natale, anche noi ci siamo concessi tre giorni di vacanza, in montagna! Dal 29 dicembre al 1 gennaio siamo stati ospiti dai frati a Pueblo Llano, sulle Ande, a 2300 metri e da lì abbiamo fatto una bellissima escursione fino a 3500 metri. Per noi , abituati a 40 gradi, è sembrato di stare in un congelatore per tre giorni, ma siamo stati soddisfatti; solo da notare che la fiat uno che da settembre abbiamo (prestata dai frati, con i suoi 370.000 km!!) e che ci doveva portare alla meta, si è fermata dopo soli 30 km da casa con il motore quasi in fiamme! Ed abbiamo scoperto che qui, a causa del calore e delle cose sempre un po’ “arrangiate” è meglio aggiungere acqua e olio ogni settimana! Grazie a Dio che prima di noi e dopo di noi in autostrada c’erano altri frati che non solo ci hanno soccorso ma, come sempre capita in ambito “fratesco”, tutto è finito “in fraternità” con tanto di “brindisi” con buonissimi e freschissimi cocchi che un ambulante vendeva al ciglio dell’autostrada. In ogni caso ringraziamo la Custodia dei frati del dono della macchina, che si sta rilevando utilissima in città e che ci ha dato una mobilità e una indipendenza insperate e moltiplica le possibilità di azione nel campo pastorale.
L’escursione, alla quale si riferisce la lettera, è stata la visita a due laghetti di montagna: Laguna de Mucubají e Laguna Negra (cf. foto) e al Parco nazionale di Mifafí, dove ci sono dei condor in cattività. L’escursione ai due laghi è stata bella e faticosa allo stesso tempo, perché tra i due vi è una distanza di 45 minuti circa di sentiero, e farla con due bambine piccole... Al ritorno, Sara abbiamo dovuto caricarla a spalla, tra Elisabetta e me, visto che Eugenio era alle prese con un forte mal di schiena. Le due bimbe devono aver pensato che siamo degli adulti completamente inconscienti!! Comunque, lo sforzo è stato ripagato dagli splendidi paesaggi.
Da un punto di vista pastorale, la permanenza a Pueblo Llano mi ha permesso incontrarmi con due interessanti – anche da un punto di vista culturale, oltre che di religiosità popolare – tradizioni che si vivono nei giorni 1-3 gennaio: la Locaina del Niño Jesús e la festa di S. Benito.
Che dire di questi tre giorni? Mi sono sentito a mio agio e coinvolto dalle suddette manifestazioni di religiosità popolare. Certo, si mescolano a volte fede e magia; molte cose sono vissute a livello emotivo e restano alla superficie dell’esperienza di fede... Tutto quello che si vuole. Di fatto sono espressioni della nostra gente. La sfida è saper cogliere i lati positivi che presentano, farli emergere e servirsene per evangelizzare. Inoltre, le compagnie di S. Benito, così ben organizzate e aperte alla fede, sono ottimi strumenti per catechizzare e organizzare cammini di fede. In questo senso i nostri frati hanno operato bene, e direi che fray Nixon lo sta continuando con visione chiara, conoscenza delle persone e delle realtà, buone
prospettive.

martedì 6 gennaio 2009

Natale a Venegara

Scorci di Venegara




Puntuale l’appuntamento per parlare dei giorni natalizi. Magari il tema potrebbe essere un po’ noioso o ripetitivo nel mio blog, però ogni esperienza è unica. Difficile da mettere su carta. Ti resta scritta nel cuore e nella mente, memoria e affetto. La unicità la cogli quasi solo tu, perchè fatta di luoghi, persone, storie, stati di vita differenti. Non importa se il servizio pastorale si “riduce” alle solite cose (confessioni, celebrazioni, visite agli ammalati...); è quanto detto prima che rende il tutto nuovo, sorprendente e arricchente.
Quest’anno mi è toccato andare a Venegara, un villaggio rurale del Táchira (stato in cui si trova il seminario), a circa due ore e mezza di distanza, cioè vicinissimo. La prima volta che non vado a “missionare” in pianura. Trovandosi in montagna la popolazione è fatta, per la stragrande maggioranza, di agricoltori: lattuga, cavoli, cipolle, porri... i prodotti principali. Le poche mucche sono per la produzione e consumo interno di latte e formaggio. Il clima fresco di montagna, e il carattere andino, favoriscono la laboriosità della gente, che gode generalmente di una buona economia. La collaborazione per i giorni di servizio è stata davvero generosa.
Venegara è un insieme di case ai due lati della strada principale, lunga poco più di un chilometro, rigorosamente in salita (mbé, in discesa se si percorre nell’altro senso...). La bellezza del paesaggio si commenta da solo attraverso le foto. Ci sono stato da solo e con gli abitanti, almeno con quelli che frequentavano la chiesa (grande per il luogo, ma questo è motivo di orgoglio per la popolazione), si è instaurato un ottimo rapporto, tanto che mi sono ripromesso di tornarci, possibilmente una volta al mese, anche perché sarebbero felici di rifornirci di verdura.
La logistica è stata ottima. Dormivo al piano superiore della casa di Ilda e Juan in completa solitudine e indipendenza. I pasti – quasi sempre – erano da Manuel e Casilda. La sera si poteva quasi “soffrire” il freddo e c’era bisogno di un giubbotto.
Il mio impegno pastorale si svolgeva quasi esclusivamente di sera, con la celebrazione dell’Eucaristia alle 19.00, preceduta, e a volte seguita, dalle confessioni. Normalmente il resto della giornata, durante le “missioni” dei Natale e Settimana Santa, si impiega nella visita e animazione delle famiglie, o nella organizzazione di incontri con fanciulli e giovani. Questo quando si è accompagnati da un seminarista o quando la stessa gente ha già un programma organizzato. Nel mio caso, essendo sacerdote, solo e senza programma (come si può notare non sono riuscito a cambiare) c’è stata una richiesta forte di servizio sacerdotale dai villaggi vicini, assistiti da seminaristi.
Così sono stato due mattine intere a confessare nella chiesa principale della parrocchia, costituita da cinque villaggi, a Sabana Grande, invitato dal parroco padre Melquiades. Due volte sono andato a S. Domingo, sempre per confessare, e celebrare messa il 24 alle 18.30 (alle 21.00 ho celebrato a Venegara). Due mezze giornate le ho dedicate agli infermi del mio villaggio. Quasi tutti i giorni ho fatto visita a Yordani, un sedicenne affetto di tumore a un ginocchio e che sta facendo chemio. Una mezza giornata sono stato a El Cocal, sempre per confessare e celebrare Messa. Quasi un giorno intero (messa alle 6.00 del mattino, confessioni fino alle 10.30 e visita agli ammalati fino alle 14.30) sono stato a Babuquena, villaggio a circa una ora da dove stavo. Un paio di volte sono stato a celebrare nell’ospizio de La Grita, la città principale, assistito da religiose, che così hanno potuto avere una messa della novena e quella del 25.
Insomma, dieci giorni abbastanza impegnativi, ma belli belli. Forse esercitare un servizio pastorale differente da quello del seminario rende queste semplici esperienze molto più arricchenti. Può darsi. Mi fa riflettere il fatto che alla fine tutti ti ringraziano per quanto hai dato, e non credono che è molto di più quanto si è ricevuto. Davvero ringrazio Dio per la sua generosità nel ripagare la tua povera disponibilità, e la sua sapienza nel riuscire a trasmettere gioia o consolazione attraverso la tua povera persona. Non è che la gente non abbia problemi a livello personale o familiare (forse il più grande è il consumo di alcool, che causa il 90% dei problemi nelle zone rurali) o che pensi che tutto si risolva con una pastorale dicembrina; però è una piccola goccia utile a calmare un po’ la sete di assoluto in te e negli altri. E io mi sento sempre più inserito nel mondo venezuelano, legato a persone vecchie e nuove che entrano nella mia storia.

Chiesa di Venegara

Chiesa di Sabana Grande Yordani e sua madre

Il resto delle foto si può vedere nell'album su Picasa al seguente link: http://picasaweb.google.com/framatteo/NataleAVenegara?feat=directlink