sabato 31 marzo 2007

Guanare













Il 20 febbraio, di buon mattino, siamo sulla via del ritorno. La solita sosta per la colazione, con le solite, in verità buonissime, “empanadas fritas”, con ripieno di pesce o di fagioli e formaggio, condite di abbondante piccante (e alla salute del colesterolo). Nel primo pomeriggio Alirio mi lascia a Guanare, dove incontro i miei confratelli della comunità e ho la possibilità di condividere parole e opinioni con fra Fabio Paciello e i volontari dell’OFS Eugenio ed Elisabetta. È una gioia ritrovarsi tra “italiani” in Venezuela e scambiare gioie e difficoltà, intoppi e scoperte.
Il giorno dopo, mercoledì delle ceneri, mi offro per dare una mano in parrocchia, e il parroco fray Evelio non se lo fa ripetere due volte. La mattina lo aiuto a imporre le ceneri agli alunni delle scuole; la sera celebro una Messa io e aiuto nell’altra. In moltissime parti del Venezuela vi è un’abitudine differente rispetto all’Italia nell’imporre le ceneri. In pratica queste sono bagnate per formare una specie di “fango”, con il quale si segna la fronte dei fedeli, che vanno orgogliosi con il loro segno di croce per tutto il giorno. Molti suppongo lo facciano con fede; molti credo con un sentimento misto di tradizione, credenza religiosa e senso del magico.
Il giovedì aspetto fray Nixon, della comunità di Pueblo Llano, per recarmi là per la visita, in qualità di delegato del Custode capitolare. Decidiamo di partire dopo pranzo. Mentre ci stiamo preparando, arriva una telefonata di Eugenio ed Elisabetta, spaventatissimi perché nella loro casa in un barrio molto povero – La Importancia – si è sviluppato un incendio, che poteva avere conseguenze tragiche, essendo cominciato nella stanza delle bambine, dove si trovava a dormire Teresita, di poco più di un anno di età. Meno male che Eugenio si è accorto in tempo del pericolo e ha scongiurato il peggio. Così, dopo essere stati da e con loro il tempo necessario perché si tranquilizzassero e aver studiato, meglio urlato insieme alcune soluzioni tecniche per rendere più sicura la casa, siamo partiti. Comunque penso sia importante conosciate un po’ questa famiglia semplice e speciale allo stesso tempo. Riporto l’ultima delle mails circolari che loro indirizzano mensilmente agli amici.




Guanare, 28 febbraio 2007
Carissimi amici, il Signore vi dia Pace!
Eccoci finalmente, all’inizio del percorso quaresimale, a scrivere nuovamente ed a ringraziare tutti voi che in mille modi diversi avete dimostrato verso di noi il vostro affetto e la vostra amicizia. Come avrete saputo dall’ultima lettera periodica è nata Sara. La sua nascita ci ha tanto allietato, ha portato gioia, ma ha anche aumentato le difficoltà e le preoccupazioni.
Questa lettera era già stata “chiusa” nei suoi contenuti il mercoledì 21 febbraio, giorno delle “sacre ceneri” ma giovedì 22 è successo un evento imprevisto ed eccoci qui a cambiare la “scaletta” delle informazioni.

Forse qualcuno già sa: un pauroso incendio, dovuto ad un corto circuito, ha bruciato parte della nostra casa. Erano le 2 del pomeriggio, Elisabetta allattava, Eugenio era intento a ricevere i bambini del progetto “Alejandro” e Teresa dormiva nella sua stanzetta. Una puzza di bruciato ha iniziato a serpeggiare per i locali. La “solita puzza di bruciato” abbiamo pensato tutti, qui è usanza, in questi mesi, bruciare i campi di canna da zucchero prima del raccolto. Poi abbiamo dei vicini che un giorno sì e uno no bruciano di tutto. E non ci stavamo accorgendo che aveva preso fuoco la stanza dove era a letto Teresa. Qualcosa ha detto a Eugenio di andare comunque a controllare e poi… sono stati attimi… dalla finestra venivano fuori fiamme altissime, la porta di ferro era surriscaldata e non si apriva e grazie a Dio che avevamo fatto fare una porta interna tra le due stanze. Eugenio è entrato come un razzo nella stanza invasa dalle fiamme e da una coltre di fumo irrespirabile, ha trovato la piccola Teresa seduta sul suo lettino a fissare il rogo, l’ha presa tra le sue braccia e la portata in salvo. Poi, nel giro di pochi minuti è arrivata la polizia ed i bomberos (pompieri). La casa si è riempita in un attimo… polizia e bomberos, vicini e conoscenti, tutti i frati e molti curiosi. Il grosso dell’incendio l’abbiamo spento grazie ai vicini. Poi in un attimo tutte le signore della Legione di Maria hanno preso scope e ramazze ed hanno cominciato a pulire. Altri sono andati a comprare coca cola e biscotti per tutti… insomma siamo stati circondati immediatamente da tanto affetto e da tanta protezione. Elisabetta ha pianto tanto per lo spavento, Teresa sembrava essere serena, l’abbiamo data ad una signora con sua figlia e l’abbiamo tenuta lontana da casa. Non ci sono stati episodio di sciacallaggio (molto frequenti da queste parti in casi d’incendio). Abbiamo fatto “le valige e ci siamo trasferiti in convento dai frati.

Questo incendio sembrava essere quasi “annunciato”. Gli spazi che abitavamo era il “regno dei cavi volanti”. Adesso tutti (dai pompieri, agli ingegneri, agli elettricisti, agli “amici” del centro) a dire “questo cavo non è adatto”, “questo collegamento non è buono”…. e così via. Quello che è stato è stato. Ora, mettendo a posto tutti i locali, faremo fare, per quanto è possibile qui, un impianto elettrico "a norma". Ed anche il resto dei lavori (rifare i tetti per esempio) cercheremo di farli fare per rendere questi spazi sempre più sicuri ed abitabili. Certo non vogliamo una abitazione “bella”, non ci interessa la ceramica a terra ma ci va benissimo il cemento come è ora, non c’interessano finiture di pregio, bagno in camera o altre cose che ci renderebbero troppo diversi dal contesto in cui abitiamo ed in cui abbiamo scelto liberamente di vivere condividendone lo stile. Ma sicuramente vogliamo una casa sicura, nessuno può pensare di morire o vedere i propri figli morire perché le nostre teste sono circondate da una miriadi di cavi volanti, oppure perché "è tutto "aperto" e ci entrano i serpenti (la visita della “culebra” è stata di qualche mese fa, prontamente “matata”, dopo lunghi appostamenti, da alcuni giovani).

Le immagini di Teresa tra le fiamme, seduta inerme come bloccata sul suo lettino a vedere bruciare tutto intorno a sé sono difficili da cancellare. Adesso vedremo nel tempo come avrà interiorizzato questa esperienza. Ad oggi sembra sempre la stessa, viva, vispa, capricciosa e sorridente. Certo che qualcosa l’ha capito se ogni tanto vedendo la sua stanza bruciata dice “acqua acqua”, o se ci entra solo in compagnia o se oggi, vedendo una coltre di fumo nero puzzolente di plastica bruciata venire su dal giardino dei vicini ha gridava “no papà… no papà”.

Nei tre giorni successivi abbiamo “smontato” le tre stanze interessate e “rimontato” tutto in un’altra stanza vicino la cucina. E’ qui entrano in scena altri due “personaggi” che definirei angeli custodi o “uomini della provvidenza” è poco! Uno è il factotum della Custodia venezuelana dei frati e si chiama Darìo. L’altro è fra Frabio Pacello ofm conv, giovane chierico della provincia pugliese, studente in Assisi che ha chiesto di fare un’ esperienza di un anno in questa missione e che, per un mese ha condiviso con noi il nostro lavoro, i nostri progetti, i “nostri spazi”. Entrambi, aiutati marginalmente da noi due, impegnatissimi con le due bimbe, hanno fatto in soli tre giorni un lavoro straordinario permettendoci di ritornare nella nostra casa la domenica sera . Senza di loro non so come avremmo fatto. Con fra Fabio poi, anche nei giorni precedenti, si è creata una grande relazione di amicizia che ci ha permesso, oltre che di lavorare “gomito a gomito” con gioia ed allegria, di approfondire molti aspetti delle nostre vite, delle nostre scelte, delle nostre aspettative e della nostra vocazione. Il fatto che sia come noi “in missione” e che sia italiano ci è di grande aiuto perché possiamo discutere di tante cose partendo dallo stesso punto di vista e soprattutto usando la stessa lingua…e questo a volte ci fa sentire molto meno soli!Fra Fabio ci sta affiancando anche nei tre pomeriggi del Progetto Alejandro e nell’attività del gruppo Caritas e con i giovani.

Un ultimo appunto, forse marginale o insignificante per alcuni amici che non condividono con noi il dono della fede ma significativo per chi crede in Dio: tutto di quella stanza è andato distrutto (letto, materasso, contro soffitto, tetto, poltrona di plastica, pannolini, lenzuola, carte e cartacce, alcuni giochini delle bimbe) ad eccezione dei "santi”... i quadri della Santissima Trinità, dell’Immacolata, di san Francesco e di santa Chiara, un oggettino di plastica con l’immagine di padre Pio, un presepino di legno regalatoci da Marco ed Ilaria (la famiglia missionaria che ci ha preceduto) ed un angelo custode regalatoci da fra Fabio, niente di tutto ciò, che era comunque carta, legno e plastica, è andato distrutto, bruciato o solo “scalfito”. Miracolo? boh... forse, semplicemente la testimonianza che Dio ci protegge ed è con noi.

Tornando al periodo che va dalla nascita di Sara al giorno prima dell’incendio possiamo dire che, concentrati sulla sua nascita e nel pieno del periodo d’insediamento, abbiamo avuto per un attimo l’impressione di non aver fatto la scelta giusta nel venire qui ed ora. Abbiamo tanto sofferto l’attesa di qualcosa che sembrava non arrivare. Ma grazie a Dio ci sono venute in mente le tante testimonianze di missionari che, a Verona durante il corso di formazione, ci hanno ripetuto alla noia: “non siete voi i protagonisti della missione ma è lo Spirito Santo”.

Come per Dio esiste un momento in cui, creando l’uomo, si fa riconoscere dalle sue creature come il creatore cominciando ad “esistere” per l’uomo, così come per Gesù esiste un momento storico (il Natale) in cui si “fece uomo e venne ad abitare in mezzo a noi”, così per lo Spirito Santo esiste un momento, la Pentecoste, in cui riempie della sua potenza gli apostoli e Maria riuniti nel cenacolo. Gli apostoli e Maria aspettavano il consolatore. Gesù lo aveva loro promesso. Però quell’attesa era un’ attesa “senza tempo” perché sapevano, nella fede, che sarebbe arrivato ma non potevano prevedere né quando né come. Spesso abbiamo sentito da Gesù parole come queste: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta…”

E quindi l’attesa del Consolatore che dà luce, forza, creatività apostolica, pazienza è spesso un’attesa senza tempo… lo Spirito Santo non viene per “appuntamento” ma è appunto un’ attesa. Ed un buon cristiano, un buon missionario si deve “educare” nell’arte dell’attesa. Peccato che i Vangeli e gli Atti non parlino in dettaglio dello stato d’animo degli apostoli in attesa dello Spirito. In verità ce lo lasciano intendere… diremmo con il linguaggio moderno che erano un po’ “sul depresso andante…” e non è difficile biasimarli…

Anche noi abbiamo passato la fase dello “stare rinchiusi timorosi nel cenacolo”, quando, passando i giorni, passando le settimane, passando i mesi non riuscivamo, con la luce dello Spirito Santo, a riempire di contenuti la nostra presenza in terra venezuelana.

Però eravamo lì, costanti nel lavoro, dediti ai compiti primari di padri, madri e sposi. Attaccati alla preghiera. Sforzandoci di tenere aperte le orecchie e la mente sgombra da ogni “italianità” che altro non avrebbe fatto che interferire con il processo di inculturazione. Insomma anche noi abbiamo spesso avuto la tentazione di chiedere al Signore: “Quando?” ma sapevamo che Dio avrebbe risposto: "Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta…” e quindi l’attesa si è trasformata in un atto di fede.

Poi un giorno, a metà gennaio, iniziando finalmente le visite alle persone povere a cui con il gruppo Caritas viene distribuita una borsa di alimenti ogni 15 giorni, ci dirigiamo verso un ponte, attraverso il quale si apre alla nostra vista, a soli 100 mt da casa, una vera e propria baraccopoli, fatta di case di lamiere e case di fango. E’ il Barrio “Mons. Unda”. La prima vecchietta visitata era in lacrime, era appena morto il figlio. Cercò di informarsi per il funerale. Tutti i frati erano a Caracas per gli esercizi spirituali e quindi non sapevamo come fare.

Ma all’improvviso una forza interiore ci animò e ci fece capire che noi eravamo lì per quella gente! I poveri, gli ultimi, a cui noi spesso facciamo allusione parlandone con “romanticismo” senza sapere che dietro ad ogni povero c’è una storia di oppressione ed esclusione, finalmente avevano dei volti, dei nomi, delle storie. Abbiamo visitato la famiglia del defunto con le signore della Legione di Maria, recitato un rosario, Eugenio ha recitato l’ufficio dei defunti, abbiamo insomma cercato di comunicare che la chiesa era lì con loro per condividere questo dolore.

Tornati a casa avevamo una forza ed un’ energia tutta nuova. Nel giro di pochi giorni sono iniziate e ripartite tutta una serie di iniziative che avevano come utenti e protagonisti in maggioranza i bambini ed i giovani del Barrio Mons. Unda. Abbiamo sentito che siamo qui anche e soprattutto per loro. E’ la storica opzione per i poveri “non esclusiva e non escludente” ma pur sempre un’ opzione forte per i poveri che la chiesa sud americana ha fatto ormai da anni e che la chiesa del Venezuela ha fatto propria alla chiusura del Concilio Plenario del 7 ottobre 2006.

Lo Spirito Santo ci ha parlato e ci ha donato una traccia di lavoro. Essere sempre per i più poveri tra i poveri, fratelli, madri, padri. Donare loro le energie migliori sempre con quello spirito di famiglia che può permettere ai bambini di sentirsi “a casa”… in quella casa fatta di affetti ed attenzioni che troppo spesso nelle loro famiglie disastrate manca ed ai giovani di avere degli amici con cui confrontarsi per provare ad avere come obiettivo della loro crescita Gesù.

Abbiamo quindi iniziato a riempire di significato la nostra presenza qui, incontrando “vita” partendo dalla morte di un uomo, trovando “luce” partendo dall’oscurità della baraccopoli, percependo “gioia” contemplando le faccine sporche dei bambini. Anche noi quindi siamo usciti con ardore e forza dal nostro cenacolo, sempre pronti a dare, al piccolo mondo che ci circonda, ragione della speranza che è in noi.

Nella prossima lettera speriamo di darvi notizie (buone…) sulla nostra casa, e soprattutto speriamo di poter approfondire alcuni aspetti delle attività che stiamo realizzando presso il centro sociale Paz y Bien e a livello diocesano. Nel frattempo, sapendo che molti di voi sono “curiosi” di sapere “cosa facciamo” elenchiamo sinteticamente quella che è una “settimana tipo” con tutte le attività:

LUNEDI’:
Progetto Alejandro – Aquilone:
per alcuni bambini con difficoltà scolastiche ma soprattutto con difficoltà comportamentali, dovute per lo più al contesto familiare di abbandono e violenza in cui si trovano; alcuni di loro hanno lasciato o sono stati “cacciati” da scuola e quindi più che un dopo scuola questo progetto serve a dar loro un minimo di scolarizzazione; di questo si occupa una maestra specializzata nel trattare bambini con disagio sociale “assunta” e sostenuta da tutti i benefattori come voi. Alle lezioni segue un po’ di gioco e animazione e poi una buona cena (preparata da una cuoca) che ha l’obiettivo di sopperire un po’ alle loro carenza nutrizionali.
Abbiamo osservato infatti che nella maggior parte dei nuclei familiari con scarso reddito si vive una violenza molto forte e che i bambini sono i più colpiti da tale fenomeno. In un’alta percentuale di queste famiglie non esiste la figura del padre ma quella del patrigno e quasi sempre la relazione di questi con i figli è caratterizzata da scarsa attenzione o da violenza. I bambini spesso, dopo la scuola, non hanno ulteriori spazi educativi dove andare o persone che si prendano cura di loro all’interno del nucleo familiare e quindi rimangono per molte ore nella strada, esponendosi al rischio che sconosciuti li manipolino per istigarli alla droga, al furto, alla prostituzione e all’abbandono della famiglia.
I bambini che abbiamo iscritto, dopo aver visitato molte famiglie nei quartieri più poveri che ci circondano, sono 15, e hanno un’età compresa tra i 7 e i 12 anni.Tre di loro non vanno a scuola, gli altri in maggioranza ripetono.
Vengono qui nel centro il lunedì, il martedì e il giovedì; arrivano alle 14 e studiano fin verso le 16.30.Poi giocano una mezz’ora e alle 17 mangiamo tutti insieme nel salone. Abbiamo cercato di fare un menu dove ci sia sempre carne e carboidrati e un po’ di frutta così che sia bilanciato. Il momento più bello anche per loro è quando insieme cantiamo la canzone che Eugenio gli ha insegnato : “per il cibo che ci dai, alleluia, ti ringrazio mio Signor, alleluia” prima di cenare.
Cerchiamo di mantenere costante il contatto con le famiglie andandole a visitare: ogni volta che ci vedono ci accolgono con molto calore ed ora hanno iniziato a chiederci come fare a battezzare i loro figli o che attività ci sono in chiesa.


Festa di Carnevale
MARTEDI’
Progetto Alejandro – Aquilone
Messa alle 19

MERCOLEDI’
Attività con un’associazione del Barrio chiamata “operatori amigoniani”, di cui vi avevamo accennato il lavoro in una precedente lettera periodica (si occupano di prevenzione al disagio giovanile e di recupero di alcolizzati, carcerati e tossicodipendenti).
I ragazzi sono una quindicina e vengono qui tutti i mercoledì dalle 15 alle 17 per un corso fatto di momenti di formazione e di gioco.
Ogni 15 giorni c’è il gruppo Caritas con cui distribuiamo delle borse di cibo ad alcune famiglie povere, prevalentemente costituite da persone anziane e quindi non in grado di lavorare. Al momento le famiglie assistite sono 16…sarebbero molte altre a necessitare ma siccome il cibo donato viene raccolto all’offertorio della Messa della domenica o comprato con i soldi raccolti dalla comunità attraverso delle vendite di beneficenza si è deciso di aiutare queste sedici. Prima di distribuire le borse si fa una preghiera insieme, leggiamo il Vangelo del giorno e lo commentiamo con loro.

Recupero dei bambini del barrio
GIOVEDI’
Progetto Alejandro – Aquilone
Messa alle 19

VENERDI’
Corso Oracion y Vida; è una scuola di preghiera, sulla scia degli insegnamenti e del carisma del padre francescano cappuccino Ignacio Larragnaga, tenuta da due signore della comunità, dalle 17 alle 19, cui noi partecipiamo.

SABATO
Ci occupiamo del gruppo dei bambini chiamato “Pequeno Jesus” che è un itinerario di avvicinamento al catechismo e alla fede per bimbi tra 6 e 8 anni, tenuto da alcune ragazze del gruppo giovani con il nostro aiuto; ci incontriamo dalle 9 alle 12 qui al centro sociale.
Nel pomeriggio assistiamo il gruppo giovanile Jo.Cri.Fe. (Jovenes Cristianos en la Fe), di cui siamo animatori e responsabili. Ci incontriamo ogni sabato dalle 16 alle 18, un sabato dedicato al servizio nella struttura del Buon Samaritano (casa gestita dai frati e dall’Ofs che accoglie alcolizzati e anziani abbandonati), un sabato dedicato ad una “gita” fuori porta e due sabati di formazione.

DOMENICA
Messa alle 10.
Nel pomeriggio , dalle 16 alle 18, Eugenio allena una squadra di calcio nel campetto del centro, con i bimbi di strada che sempre lo affollano.

Questi sono i cosiddetti impegni fissi; di fatto poi la nostra giornata si riempie di una miriade di incontri con le persone della comunità con cui stiamo condividendo questi tre anni; il primo giovedì di ogni mese facciamo una mattina di ritiro con il frate che assiste la cappella così da poter avere un momento di confronto sul nostro essere qua; partecipiamo al consiglio pastorale della cappella e agli incontri dei vari gruppi di apostolato, come i Cursillos de Cristianidad, la Legion de Maria e il gruppo delle famiglie; visitiamo le famiglie dei bambini del recupero scolastico e delle signore aiutate dal gruppo Caritas, oltre che delle persone che hanno bisogno per qualche motivo contingente; iscriviamo i bimbi ai Battesimi e poi ci sono le visite in Diocesi per la pastorale giovanile, per il consiglio pastorale diocesano… ma per tutto ciò alla prossima lettera!
Un grande abbraccio a tutti e grazie per il vostro affetto e la vostra vicinanza. Pace e Bene.
Eugenio, Elisabetta, Teresa e Sara

mercoledì 28 marzo 2007

Coro e dintorni


La cappella de "Las Ánimas" en Guasare


Coro: Teatro comunale e Chiesa di S. Nicola
Coro: Cattedrale
Come dicevo, è da un po’ che non invio mie notizie e, al di là della vita quotidiana del seminario e dell’insegnamento, le cose “interessanti” sono legate agli sporadici spostamenti per motivi legati o al ministero sacerdotale o ad altri impegni. Perciò, facendo un passo indietro nel tempo, vi metto al corrente degli spostamenti negli ultimi 15 giorni di febbraio e i primi 5 di marzo, quando ho viaggiato prima per Puerto Cumarebo, vicino Coro, capitale dello stato Falcón; poi ho soggiornato un paio di giorni a Guanare, stato Portuguesa; per finire a Peblo Llano, stato Mérida.

Puerto Cumarebo
Nei giorni 16-19 febbraio sono invitato, insieme al mio amico Alirio Moncada e la sua famiglia, a tenere un taller di formazione per i laici della parrocchia dell’amico padre Alexander Córdoba. Arrivarci comporta circa 12 ore di viaggio in macchina. Partiamo alle 16.30 del giorno 15 dal seminario e, dopo aver preso Gloria, la moglie di Alirio, e i figli Isabelita e Alirito, ci mettiamo sulla strada. Tra il traffico iniziale, un paio di soste necessarie e un fastidioso punto di controllo (è una cosa che colpisce un italiano i tanti blocchi della polizia e dell’esercito lungo le strade, e a volte si incontrano poliziotti arroganti, che guardano sospettosi un passaporto italiano con visto turistico per luoghi al di fuori di quelli indicati dalle agenzie di settore; o che forse, come dicono qui, creano difficoltà solo per costringerti a sborsargli una “mazzetta”), arriviamo a destinazione alle 7 del mattino seguente.
Puerto Cumarebo è una cittadina di 45.000 abitanti, sul mar dei Caraibi, nello stato Falcón, poco conosciuto e sfruttato, almeno dal turismo internazionale, se si eccettuano le spiagge di Morrocoy e Chichiriviche. Qui ci aspettano alcune lezioni di aggiornamento teologico ai laici, e io, il sabato e la domenica, aiuterò il parroco nel lavoro pastorale (assiste la parrocchia centrale e 30 “comunidades” nei dintorni). Si inizia venerdì alle 14.30, fino alla domenica pomeriggio. I partecipanti sono circa 50. Io aiuto il parroco celebrando due Messe al sabato sera e una la domenica mattina; nonché con le confessioni dalle 15.30 alle 19.30 nella stessa domenica.

Coro
Lunedì, come previsto, riposo e visita ai dintorni. Mi rendo conto che, in assoluto, è il mio primo vero giorno di “turismo” da quando sono in Venezuela. Anche la prima volta che mi reco al mare.
Ci fermiamo a fare colazione per strada. Menù a base di “empanadas fritas” (i nostri panzerotti fritti, tipo le peperonate a colazione rese famose da Aldo, Giovanni e Giacomo) con ripieno di frutti di mare. Deliziose!!! Direzione Adicora, per fare un bagno nel mare del Caribe.
La prima tappa è una cappella in località Guasare, subito fuori la città di Coro, intitolata a “Las Ánimas” (= le anime del purgatorio). Non è molto grande, ma la devozione popolare l’ha resa celebre, per i miracoli a queste anime attribuiti. I muri sono strapieni di ex volto e in parte anneriti dal fumo delle candele.
Attraversiamo quindi la stretta lingua di terra che collega la costa a Punto Fijo, facendone una penisola. Ai margini della strada asfaltata è facile incontrare mandrie di asini selvatici, allo stato brado. La spiaggia di Ádicora è una delusione se confrontata con le nostre del Salento e della Puglia in generale, anche se so che ce ne sono altre bellissime. Posso dire almeno di aver messo i piedi nel Mar dei Caraibi, dopo averlo “sognato” con i film di pirati e le storie di Corto Maltese. Il pranzo non può non essere pesce, fresco e di mare, finalmente!
Nel pomeriggio rifacciamo il percorso a ritroso per visitare Coro e dintorni. La capitale dello stato Falcón, non molto grande, ha un centro storico bello, in stile coloniale, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Il primo edificio interessante in cui ci imbattiamo è la chiesa di... S. Nicola di Bari. Che bello!!! Peccato sia chiusa. Poi visitiamo il centro storico, soffermandoci soprattutto nella Cattedrale e piazza antistante, e nel lugo dove si ricorda la prima Messa celebrata in territorio venezuelano. Coro, infatti, fu la prima capitale e la prima diocesi del Venezuela.
Uscendo da Coro, ci fermiamo un paio d’ore nel parco de “Los Médanos”: un insieme di dune di sabbia fina, abbastanza esteso. Un vero piccolo deserto, interrotto da varie “oasi” di verde, dove cercano rifugio e cibo le capre. È costume di chi visita il luogo rotolarsi giù dalle piccole scarpate di sabbia. Dicono aiuti a combattere lo stress. Certo è che ci si riempie totalmente di sabbia! Cosa che non mi alletta, la miscela sabbia, caldo e sudore. Rinuncio alle capriole, rispettato da coloro che mi accompagnano, forse per il mio essere frate e la canizie. Mi strappano però la promessa che la prossima volta mi butto anch’io.
Tornando facciamo sosta a “La bandera”: la insenatura dove attraccò Francisco De Miranda (uno degli eroi nazionali) con la prima bandiera del Venezuela, proveniente dalla dirimpettaia isola di Curazao. In verità è da un po’ che non sento niente per cerimonie e luoghi “patriottici”, che avranno pure cambiato la storia e la geografia dei paesi in cui abitiamo, ma quasi sempre con le armi, a costo di guerre e morti. Sono stanco e nauseato anche solo a pensare che ci possano essere violenze e guerre. Apprezzo molto ciascuna identità nazionale, con le sue tipiche ricchezze socioculturali; mi infastidisce “a pelle” tutto ciò che sappia di “militarismo” e di “orgoglio nazionale” bieco e cieco, specie quando crea confini, chiusure, separazioni, aggregazioni intorno a ruoli forti ed escludenti. Meno male che mi godo uno stupendo, straziante tramonto sul mare, come non mi capitava di vedere da anni, forse dai tempi di Copertino.





Ultima tappa, un santuario dedicato alla “Virgen de Guadalupe”; un piccolo gioiello in stile coloniale.

martedì 20 marzo 2007

E poi... blog!!!


Palmira, 19 marzo 2007

Come quando non ci si confessa da tanto tempo diventa difficile ricordare i peccati e i particolari della propria esperienza, così mi ritrovo io dopo tanto tempo senza scrivere, per raccontare ad altri e a me stesso i miei giorni e le mie impressioni. Purtroppo, le buone intenzioni si scontrano spesso con le difficoltà che sopraggiungono, che, nel mio caso, sono semplicemente l’aumento di impegni e l’aggiunta di nuovi, che determinano ristretteza di tempo libero e cambi dello stile di vita.
Nuove sfide che ti aiutano a crescere e ti mettono in discussione, e richiedono tempo e preparazione. Mi riferisco soprattutto alle lezioni di Bibbia nell’Istituto teologico “S. Tomás de Aquino” (IUESTA), dove, per mancanza di professori, si son dovuti accontentare di me, che da 19 anni avevo lasciato il Biblicum, facendo cose che poco o niente avevano a che vedere con il mondo accademico. Ho iniziato con 4 ore settimanali, ma subito dopo Natale, per il ritiro imprevisto dell’altro professore, ho dovuto gestire 13 ore fino a metà febbraio, chiusura del semestre. Potete immaginare il panico sopravvenuto alle preoccupazioni dell’inizio: quando già mi stavo abituando alla novità, ecco pronto qualcosa di molto più grande e impegnativo. Agli inizi non è stato affatto facile, forse più sotto l’aspetto psicologico. Ero colto completamente alla sprovvista, senza nessuna alternativa che non fosse a detrimento degli studenti. Ho dovuto accettare. Nel prosieguo, grazie a Dio, tra la rassegnazione e la buona accoglienza degli alunni, tutto è andato per il meglio.
In questo secondo semestre do il corso di Pentateuco e Libri Narrativi, secondo una modalità medio intensiva fino a fine maggio (6 ore al mattino per i seminaristi, e 4 al pomeriggio per i laici). Il resto dei corsi biblici sono suddivisi tra una religiosa (una vera e propria “rivoluzione” per il tradizionalista Istituto teologico del Táchira), e alcuni corsi intensivi tenuti da un bravissimo professore spagnolo a partire da giugno. Inoltre, mi hanno nominato coordinatore dei corsi teologici. Ho accettato non sapendo esattamente in che consistesse; poi ho scoperto che si tratta di organizzare tutto il semestre, con l’aiuto della segreteria. Meno male che sono aiutato dal rettore dei Mercedari, che è coordinatore del settore filosofico ed è molto più versato in tali cose.
Questo spiega perché non riesco a mantenere il ritmo di rapporti dell’anno passato. È vero che scrivo di meno e ho ridotto molto i collegamenti internet, ma vi assicuro che l’affetto non è stato intaccato; è aumentata anzi quella nostalgia di cui parlo spesso, che è un sentimento reale a livello emotivo, ma non mi fa stare male qui. A ciò si aggiungano le difficoltà varie per farsi sentire: località non servite da internet, specie quando si è in giro; la mancanza di corrente elettrica e/o di connessione a internet (oggi sommiamo già 4 giorni senza segnale dal “providor”e chiedo scusa a quanti avrei dovuto chiamare o scrivere). Perciò a volte può sembrare che sia sparito dalla circolazione o che non abbia interesse a farmi trovare in comunicazione.
Per tutto questo ho pensato di aprire un blog, come mi è stato suggerito proprio dall’Italia. Un diario mediatico, che mi permetta di scrivere anche di piccole cose quotidiane, qualora ne valga la pena, e di inserire le foto che molti mi chiedono a completamento delle notizie. Non so che tipo di fedeltà o periodicità potrò assicurare a tale tipo di comunicazione. Iniziamo, e poi si vedrà. Naturalmente, ciò non elimina la posta elettronica, che potrebbe essere riservata ad aspetti o saluti personali.

giovedì 15 marzo 2007

Sono nel blog

Finalmente sono nel blog, sperando che possa essere utile per me e i miei amici. Altrimenti, come vi sono entrato posso uscirvi. Spero però che esso mi permetta indirizzarvi testi e foto da questo angolo di mondo, bello incredibile spiazzante strano.