martedì 12 luglio 2022

Prendere a cuore (Lc 10, 25-37)

 Il Vangelo da dentro

Stavo seguendo Gesù non da molto tempo. Mi incuriosiva il movimento che si era creato attorno alla sua persona, pur essendo spesso perplesso di fronte ai suoi atteggiamenti e insegnamenti, nuovi, originali, quasi “eretici”. Qualche giorno fa sono stato spettatore di un fatto insolito: la sua decisione di recarsi a Gerusalemme per la Pasqua. Niente di strano, direte voi, visto che un pio ebreo sente la gioia di salire in pellegrinaggio alla città santa in occasione almeno di una delle tre grandi feste: Pasqua, Pentecoste, Tabernacoli. Eppure, nel prendere quella decisione il suo viso, di norma rilassato e sereno, si è come indurito, in una sorta di forte determinazione, necessaria in quel frangente, specchio di una personale lotta interiore.

Sapeva, e sapevamo, che non sarebbe stato bene accolto dalle autorità della città e del tempio. Ma sembrava spinto da una strana energia, da un fuoco dell’anima, che non ammetteva ripensamenti e rifuggiva rilassamenti o ritardi. Aveva “fretta”. Fretta di portare a termine qualcosa che era nella sua mente e nel suo cuore. Fretta che si è evidenziata fin dai primi momenti, quando a due che volevano seguirlo da discepoli, ma che sentivano di dover prima assolvere a dei doveri verso i loro genitori e parenti, ha detto chiaramente che non c’era tempo da perdere, pur trattandosi di cose prescritte dalla Legge o appartenenti a costumi e relazioni umane. E quando subito dopo ha inviato in missione settantadue suoi discepoli, ha raccomandato loro di non attardarsi lungo la strada, o in città e case che non li accogliessero.

In questo clima mi sono presentato io, dottore della Legge, per chiedergli cosa pensasse circa la discussione delle scuole rabbiniche sul comandamento principale, che racchiudesse in sé il nocciolo di tutta la Scrittura. Luca ha scritto nel suo vangelo che l’ho fatto per metterlo alla prova. Cosa volevo provare? La sua preparazione? La sua originalità? Il prendermi in considerazione, malgrado la sua fretta e quel momento topico della sua esistenza? Forse un po’ di tutto questo…

La prima risposta è stata una domanda, che rimandava alle Scritture, alla maniera degli insegnamenti rabbinici: “Che cosa sta scritto nella Legge?”. Insomma, niente di nuovo. Ma la seconda domanda, immediatamente dopo, mi ha fatto barcollare: “Come leggi?”. Quindi non è solo questione di contenuti, ma di atteggiamento di fronte allo scritto. Il comandamento principale lo si scopre davvero usando intelletto e cuore, teoria e vita. Naturalmente sulla teoria ero ben preparato, ma sulla pratica ero confuso. Per questo la mia domanda sul prossimo, dalla quale è scaturita la bellissima parabola del buon samaritano. In fondo l’umanità dovrebbe essermi grata per aver motivato un insegnamento così profondo e alto.

La parabola del buon samaritano è nota a tutti, compreso ogni suo risvolto sull’amore al prossimo e sul farsi prossimo, da parte di Dio verso di noi, e nostro verso chi è nel bisogno. Io l’ho sentita allora come una risposta alla mia vita, oltre che alla mia domanda.

Io ero il tale che scendeva da Gerusalemme a Gerico, dalla città santa alla città degli uomini. La mia lettura della Legge senza il “come” del coinvolgimento del cuore, era un allontanarsi da Dio e dalla sua casa. Una discesa che avrebbe potuto comportare l’imprevisto del dubbio e delle certezze svanite; l’incontro con ferite fisiche e spirituali, gli assalti da parte della vita reale, fino a lasciarmi mezzo morto nella mia esperienza esistenziale, se fossi vissuto al freddo riparo delle norme, senza il calore di una presenza amorevole e compassionevole, ricevuta e donata. Perché senza amore ci si dissangua poco a poco, rimanendo forse ancora in vita, ma mezzo morti, passivamente prostrati, incapaci di vivere in pienezza.

Io ero il sacerdote e il levita, attento a non sporcarmi le mani con le necessità degli altri, in nome di una asettica purezza rituale e scritturistica, che sfocia in atteggiamenti di indifferenza o diffidenza di fronte a chi potrebbe “disturbare” la mia tranquillità o rubare tempo ai miei impegni “alti”, accomodato a una ritualità senza carità e a una religiosità senza fede. E così ero anche un po’ brigante assaltatore, o almeno complice passivo.

Con quella parabola Gesù mi ha guarito; con il suo comportamento mi ha salvato. Egli, definito “eretico” e “samaritano” dalle nostre autorità religiose. Pur vivendo giorni di particolare tensione interiore; malgrado il suo voler giungere in fretta alla meta, senza attardarsi, Gesù ha avuto tempo per me, ha preso a cuore i miei dubbi. Si è fermato tutto il tempo necessario. Si è preso cura della mia lontananza dalla verità. Ha ridonato vita alla mia religiosità ormai esangue e irrimediabilmente vuota, allargando il mio cuore a una fraternità senza barriere culturali, religiose o storiche. Ho scoperto il vero Dio nei fratelli, e gli altri, tutti, fratelli in Dio. Mi sono ritrovato. Discepolo di questo Maestro, a condividere, con lui e con gli altri, l’olio che guarisce e il vino che allieta il cuore.  

 

fra Matteo