sabato 3 luglio 2010

Fotografie

Avrei voluto scrivere tante altre volte, della esperienza della conferenza ufficiale nell’aula dell’Università cattolica sulle lettere dell’Apocalisse; della conclusione dell’anno scolastico; delle varie presenze nel bellissimo convento-eremo del Carmelo, in aiuto a padre Pepe, solo e con problemi di salute; di tante altre cose, ma forse non era destino che lo facessi. Ora, a pochi giorni dalla mia partenza dal seminario (prima andrò in Bolivia e poi in Italia), mi sono imposto di riprendere il mio rapporto con il blog e con una comunicazione più lenta, meditata e lunga che quelle attraverso Facebook, piazza virtuale, tanto piena di gente che spesso il saluto è il “ciao” fugace scambiato nelle passeggiate estive lungo il corso del paese. Importante e bello, caldo, ma giocoforza veloce, perché sono in tanti che ti salutano e spingono a seguire la scia.

Lo spunto per scrivere me lo da stavolta la mia terra pugliese e non il Venezuela. Vorrei parlare di “morti”. Lo so, lo so che siamo in luglio e che il sole e la luce di Puglia invitano ad altre riflessioni; però vorrei rendere un semplice omaggio ad alcune figure che mi richiamano alla vita vissuta, e che nei giorni scorsi si sono accomodati nella stanza dei ricordi, e spero, credo accanto a Dio.

Non ho foto loro. Ne ho di mie. Quelle al lato del presente scritto, fotografate da fray Pedro Briceño, durante la sua visita in Italia e alla mia casa, e tratte dall’album di famiglia. Il che spiega anche la scarsa qualità dell’immagine. Si riferiscono a momenti ormai “morti” della mia vita, ma vivi nel ricordo. A volte è struggente “vedersi” in foto antiche; ripercorrere storia e sentimenti. Non è nostalgia o rimpianto. Sto bene nella mia storia e nel mio mondo attuali. Li abito con gusto e affetto, con realismo e tenerezza. Si insinua l’angoscia per il tempo passato e per il dubbio su quello e quanto ne resta. Ma prevale il ringraziamento per quanto sperimentato, per questo fiume di esperienze e ricordi che ti avvicina lentamente al mare; nella speranza che l’Incontro sia una lieta sorpresa e una salto nell’eterna e immensa giovinezza. Immagine efficace e consolatrice incontrata nel bel libro di Baricco “Oceano mare”.

Da queste foto parrebbe che la mia vita di religioso sia stata un continuo quasi predestinato. Non so se ho foto più antiche di quella dove sono vestito da “S. Antonio di Padova”, per un voto fatto da mia madre prima che nascessi. Segue la firma sul registro delle Professioni religiose. L’espressione di una persona amica venezuelana nel vederla è stata: “Estabas muy chamo” (eri proprio un ragazzino). Poi una della mia permanenza a Roma, in occasione della canonizzazione di S. Francesco Antonio Fasani. Curiosa perché fu l’unico periodo della mia vita con barba incolta e lunga. Naturalmente ne mancano molte, fino ad arrivare ai capelli bianchi di oggi.

Ma torniamo alle foto “narrate” delle persone suddette. Le prime tre sono del mio paese, e le chiamerò come le ho da sempre conosciute secondo il mio dialetto; l’ultimo è un sacerdote di Gravina.


Sabellin de Michel – Aveva un negozio di generi alimentari a 50 metri da quello dei miei. Erano i tempi dei piccoli negozi di paese, quando non esisteva la concorrenza vorace ed escludente dei supermercati attuali. Nel giro di 200 metri c’erano 3 negozi uguali. Si stava lentamente uscendo dalla crisi del post guerra. Erano gli anni ’60. Il ricordo della fame era ancora vivo. Molti erano emigrati all’estero. Si intravedeva l’uscita dal tunnel, però la vita era molto sobria. In tale clima la concorrenza era normale, per accaparrarsi clienti e non mollarli più. Non esistevano ferie. 365 giorni di lavoro all’anno, o quasi. Poi... la pensione, per lei e i miei. E il ritorno a rapporti non di concorrenza, dettati forse più dal bisogno che da competitività vera.


Mchel Marchiapon – Collega di lavoro di mio padre al cinema del paese. L’addetto alla macchina di proiezione, sempre alle prese con le pizze di celluloide, come Philipe Noiret in “Nuovo Cinema Paradiso”. E a me, ragazzino perduto per il cinema e i film, pareva entrare nella camera dei segreti, nel santuario dell’immagine quando potevo salire al suo ambiente di lavoro: una ridotta cabina di proiezione, dove il proiettore occupava quasi tutto lo spazio, come nel caleidoscopio della mia fantasia, che si muoveva al ritmo dei film e dei personaggi dello schermo. Poi i due cinema del paese chiusero. Mio padre si riciclò negoziante. Michele non saprei cosa...


‘Ngiulin u scarper – Il più vicino di tutti alla mia vita. Il calzolaio del quartiere. Sempre al lavoro nel suo bugigattolo di 2x2, addobbato con manifesti di film ormai ingialliti, chinato sulle scarpe da riparare, circondato da suole, tacchi, chiodi e colla. Una figura emblematica e istituzionale del rione “S. Oronzo”, per almeno 50 anni. Tutte le misure delle nostre scarpe sono passate per le sue mani. Il mio caro amico Matteo Armillota lo definiva “il mago di tacco e suola”. E davvero aveva della magia il suo riuscire a rattoppare sempre scarpe di tutti i tipi. Le mie prime di calcio mi sono durate anni grazie a lui. Naturalmente la sua bottega era anche luogo di chiacchierate. Quasi un circolo per i suoi amici, come la odierna bottega artigianale di Matte’ Trribl. Luoghi frequentati da mio padre. Uno che ha visto crescere varie generazioni e che, verso di me, nutriva un affetto particolare per la mia scelta sacerdotale. Mi mancherà non vederlo nella piazzetta del rione, quando in agosto sarò a Monte.


Don Peppino Cipriani – Sacerdote di Gravina, la cui piccolissima parrocchia storica confina con la nostra. Fu mio confessore durante i quattro anni del mio parrocato, dopo la morte del clarettiano padre Pietro. Un sacerdote di grande umanità, verso il quale nutrivo profondo affetto e stima. Sempre molto accogliente e misericordioso, con il suo sorriso, paziente con i miei ripetuti peccati, incoraggiante quando gli scaricavo un qualche stanchezza e delusione pastorale o spirituale. Un maestro di vita, dal quale ho appreso e ricevuto tanto. Lo avevo chiamato per telefono qualche tempo fa, avevo voglia di sentire la sua voce. Probabilmente pochi giorni prima della morte, e mi dispiace non ci fosse, sarebbe stato il nostro arrivederci.