giovedì 22 novembre 2007

Ermita de la Divina Misericordia









La ermita (=romitorio) de la Divina Misericordia è una cappella costruita in zona collinare nei pressi di Curbatí (nello stato Barinas). Frutto di uno di quei sogni-ispirazione che ha fray Pedro Buonamassa e che a volte si trasformano in incubo per chi gli sta accanto. Il sogno, in questo caso, è che la cappella possa trasformarsi un giorno nel primo santuario del Venezuela alla Divina Misericordia. Già la costruzione della cappella, per la sua posizione logistica, è stata una sfida vinta, grazie alla sua costanza e alla collaborazione di alcuni santi laici, tra benefattori e persone del posto che si son sacrificate nella mano d’opera.
E sí, perché il luogo dove è sorta la cappella è un incanto per la bellezza del paesaggio; però si raggiunge solo a piedi o a dorso di mulo, dopo circa 45 minuti di salita attraverso un sentiero, che inizia dopo due ore di strada sterrata non comoda, una volta lasciato l’asfalto a Curbatì. Qui sono giunto nella “camioneta” del signor Heriberto (un terziario francescano di grande fede e spirito di servizio) dopo circa 4 ore di viaggio, preceduto dagli otto postulanti e dai miei confratelli fray José Luis e fray Pedro Briceño. A distanza di un’ora e mezza ci ha raggiunti da Guanare fray Pedro Buonamassa, in compagnia di due collaboratrici della Custodia e, siccome nella cabina di guida ci si poteva stare solo in tre, nel cabinato posteriore (che serve ad Heriberto per il trasporto di materiale vario, che è il suo lavoro) ci siamo “accomodati” io e la signora Violeta (terziaria sui sessanta), tra bagagli e annebbiamenti da polvere. E mentre Violeta inneggiava alla bellezza della natura, io mi lamentavo per le improvvisazioni di padre Pietro e la terra che ci stava appestando. Decisamente i laici mi danno vari punti in materia di fede e adattamento alle situazioni!!!
Bene, sabato 17 novembre - il giorno dopo il nostro arrivo - si è tenuta la benedizione della cappella alla presenza del vescovo di Barinas e del sindaco di Pedraza. L’afflusso di fedeli è stato notevole, considerando le difficoltà suddette e il numero di abitanti dei villaggi vicini. Era bellissimo vedere - noi abituati alle auto - tanti muli, asini e cavalli parcheggiati fuori della cappella, in attesa della fine della cerimonia e del ritorno a casa. Anche il vescovo è arrivato a dorso di mulo, che poi è una situazione di privilegio. Chi non dispone di cavalcature, come dicevo, deve sorbirsi una bella arrampicata. Per non dire di quelli - io tra e con loro - che fino al sentiero finale ci giungono a piedi, dopo magari due ore e mezza di cammino, come noi che arrivavamo dal villaggio rurale di Algarrobo. Una folla molto varia, con tantissimi bambini e “tosti” anziani, che a certe fatiche sono abituati da piccoli. Al ritorno abbiamo dato il passaggio a una nonnina sui settanta, che insieme ai suoi nipotini stava tornando a piedi, e le mancava circa un’ora per arrivare ad Algarrobo. Lei, con il suo seguito, si è accomodata nella cabinato posteriore della “camioneta”, condividendo con me e Violeta un tratto di strada, parole, impressioni e polvere.
Personalmente posso dire che è stata una giornata faticosa e, magari anche per questo, bellissima. I luoghi, le persone, la fatica... tutto concorre a farti vivere una esperienza di fede forte e semplice, quella del popolo di Dio del campo venezuelano. Sono stati momenti forti la celebrazione della Messa il venerdì sera ad Algarrobo, le confessioni alla ermita e la concelebrazione. Il tutto condito dal senso di ospitalità e accoglienza squisita del venezuelano (nella casa che ci ha ospitati per la cena e la notte, ho scoperto il giorno dopo che tutti i sei componenti della famiglia avevano dormito in un unico letto per cedere a noi le altre due stanze). In questo hanno meno problemi di noi e per dormire basta un materassino per terra, quando i letti non bastano.
Questo è il Venezuela più vero, e dispiace il clima di scontro politico istituzionale attuale.




mercoledì 14 novembre 2007

A due mesi di distanza... rieccomi!

La mia famiglia nel 50º di matrimonio dei miei
Sono tornato! Nel blog e in Venezuela, dopo la scorpacciata emotiva dei giorni trascorsi in Italia. E sì, perché li ho vissuti tutti “di stomaco”, con poco spazio concesso alla testa e molto al sentimento e al coinvolgimento. E con lo stomaco in mano, stretto nella morsa degli arrivederci e dei pensieri, così vicino alla bocca del cuore, ho intrapreso il viaggio di ritorno a questa terra e alla sua gente, che amo sempre più e che mi accolgono ormai quasi come uno di casa, un familiare.
Ma tornando all’Italia, mi sento di ringraziare Dio e tutte le persone incontrate per le esperienze fatte e l’affetto condiviso. È stato un correre da una parte all’altra e un rincorrersi col tempo, che mi ha lasciato senza fiato e con la sensazione di “distanze” ancora da percorrere. Sono arrivato alla ripartenza esausto e contento. Di aver visto tanti visi cari e aver condiviso vicinanze fisiche, impeditemi durante il resto dell’anno. Non è solo un vuoto stare accanto, ma uno stare insieme aiutato da spazialità di comunione.
Così ho gioito dell’incontro con i miei familiari, con i frati e tutte le altre, tante persone che il Signore ha donato alla mia vita. Una ricchezza sovrabbondante di voci, occhi, mani, cuori... Un itinerario del corpo e dello spirito, iniziato al Seraphicum e proseguito con le altre tappe della mia esistenza: Monte, Assisi, Copertino, Gravina e gli altri conventi della Puglia. Una serie di eventi, previsti alcuni, imprevisti altri: la presenza in Assisi durante la festa di S. Francesco, occasione di incontro con la figura del fondatore e con tanti frati e laici pugliesi lì convenuti; i 50 anni di matrimonio dei miei, momento per ringraziare Dio del dono fatto a me, ai miei fratelli e ad altri della loro esistenza; la morte improvvisa di Ignazio, papà di mia cognata, figura storica del mio rione, opportunità per fare il punto sul tempo che passa; e tanti altri momenti quotidiani arricchiti da gioie e allegrie condivise, da dolori e preoccupazioni partecipate.


La processione di S. Michele a Monte S. Angelo nel giorno della festa

Scorci di Monte Sant'Angelo, mio paese




Contrariamente al viaggio di andata, ho vissuto il ritorno in maniera “isolata”, con nessun passeggero accanto. Ho avuto la possibilità di immergermi nella lettura di un libro e nella rilettura dei giorni passati, scritti ancora a pelle, prima che passino a livelli di maggior profondità e di analisi più lucide. A Caracas, la gioia inattesa dell’incontro con Eugenio ed Elisabetta (i due volontari OFS di Guanare) e del cullarmi nell’abbraccio alle loro splendide bambine, Teresa e Sara. L’arrivo in seminario è stato caratterizzato da impegni immediati e belli, senza morbidi atterraggi, compreso un temporaneo isolamento mediatico dovuto a un fulmine. Anche l’impatto con la realtà venezuelana, segnata in questi giorni da un clima socio politico piuttosto forte in vista del referendum del 2 dicembre sulla riforma costituzionale, non è stato attutito da provvidenziali air bags. Speriamo in bene! Però le previsioni non sono delle migliori...
Panoramiche di Gravina in Puglia