giovedì 3 dicembre 2009

Disagi quotidiani

A volte mi pare che non mi si possa credere quando parlo di disagi quotidiani che non mi permettono di comunicare con l’Italia, o cose simili. Di fatto, però, da quando sono tornato, i problemi sono aumentati. Spesso manca l’acqua e grazie a Dio che noi non ne soffriamo eccessivamente per il serbatoio di cui siamo forniti. Inoltre, tutti i giorni manca la luce per almeno un paio d’ore. E, invece di migliorare, la situazione pare peggiorare, perché da qualche giorno la luce manca per due turni giornalieri di due ore, fino a quasi cinque ore. Ulteriore disagio è che mai si sa quando verrà a mancare, per cui non ci si può nemmeno organizzare negli impegni. Per noi il problema non è troppo grande, perché si riduce a rabbia per qualcosa che devi rimandare o a piccoli disagi dovuti al buio. Mentre per molti significa perdita di entrate e impossibilità di lavorare, con tutto ciò che può comportare, a livello economico e di umore. A questo si aggiungano, almeno qui nel Tachira, i periodi di scarsa benzina, con code incredibili e interminabili ai benzinai. Il tutto con gli atavici problemi dell’insicurezza, sempre in aumento; della scarsezza di rifornimento nei magazzini; dell’aumento del costo della vita, dovuto a una inflazione galoppante; ecc.

Da che dipende tutto questo?!? Certo, come non si può pensare a colpe politiche, attuali o passate, visto che il Venezuela è talmente ricco di risorse naturali, che certe povertà e disservizi sono fuori di ogni logica. Riporto le opinioni più diffuse.

La benzina spesso manca perché se ne esporta molta in Colombia, di contrabbando, corrompendo gli addetti ai controlli. Al di là del confine, la benzina costa venti volte tanto che in Venezuela. Perciò rende forse più del traffico di cocaina.

La luce manca perché gli impianti sono obsoleti e mancano di manutenzione. Pare che funzionino meno di un terzo e occorrerebbero molti milioni di bolivares per metterli a posto. Ci si chiede che fine fanno tutti i milioni di dollari che entrano giornalmente dalla vendita del petrolio. Inoltre, sono stati licenziati molti tecnici validi, perché non appartenenti al partito al potere. Pratica diffusa in tutto il mondo? Qui purtroppo mancano le più elementari garanzie ed è normale ritrovarsi fuori di qualsiasi posto di lavoro statale alla prima critica al sistema. C’è chi afferma poi che si tratta anche di ritorsioni del governo centrale verso quelle regioni che hanno un governatore dell’opposizione, come succede qui e in Miranda, perché Chavez lo aveva promesso e minacciato, e ora sta attuando le sue vendette.

Di fatto, si vedono visi sempre più tesi e sempre più persone depresse, insicure sul futuro e arrabbiate per i molti e inspiegabili disagi da affrontare. Sta montando la rabbia a vari livelli, perché la gente comincia davvero ad essere stanca.



Il seminario all'imbrunire


mercoledì 2 dicembre 2009

Ritorno a La Colorada


Non ci posso credere! Quando sono andato a rileggermi ciò che avevo scritto sulla mia esperienza passata a “La Colorada”, mi sono reso conto che erano trascorsi già più di tre anni e mezzo! Ha allora una sua consistenza il mio tempo in Venezuela. Nel blog vorrei riportare quanto scritto in quell’occasione, giacché si trattò di una lettera circolare – una delle prime – alla scoperta di nuove realtà, e che non tutti ebbero l’occasione di leggerla. Ora poi è corredata di foto (ricordo che l’album completo si può vedere nel link corrispondente in alto a sinistra).



Un sabato ho accompagnato, su sua richiesta, il signor Eriberto, un terziario francescano molto bravo, a una piccola “finca” nella zona de “La Colorada”, dove l’OFS di Palmira vive un servizio catechistico, evangelico e missionario, aiutato dai frati del seminario, perché volevano regalarci due maialini. Ad Eriberto è parso bello ricambiare la generosità con la possibilità di celebrare Messa per loro e di confessarli, e perciò la mia presenza. Siamo partiti alle 7.00 del mattino e, dopo circa due ore e mezza, più per le condizioni della strada che per la distanza, siamo giunti a destinazione. Già il solo paesaggio “interno” valeva l’incomodo.

La “fattoria” – il termine è altisonante quando si tratta di una famiglia modesta, non povera, ma certamente nemmeno ricca - si trovava alla fine di una strada percorribile con molta difficoltà, tanto che lo sterrato iniziale era quasi un’autostrada al confronto. Nel cammino abbiamo invitato una donna e sua madre anziana, il che ha comportato il mio accomodarmi nel bagagliaio della camionetta, proprio nell’ultimo tratto di strada: un insieme di fossi e sassi, che mi hanno fatto sobbalzare parecchio. All’arrivo ci stavano aspettando i componenti della famiglia, con il solito nugolo di bambini bellissimi, i quali si sono confessati e hanno partecipato alla Messa, sotto il porticato d’ingresso, insieme agli animali domestici. Sotto il tavolo usato per altare si è accomodato il cane, che è stato buono per tutta la durata; ogni tanto le galline si muovevano all’intorno e i maialini accorrevano all’odore del pranzo che si stava cucinando sulla cucina a legna. Pareva una scena familiare da quadro rinascimentale o da Bruegel venezuelano: una Ultima Cena, con tanto di cani e animali da cortile.

La Messa è stata per loro un evento davvero particolare, visto che normalmente si tiene una volta al mese nella cappella de “La Colorada”, a circa mezz’ora di bicicletta o cavallo, non possedendo una macchina. E d’altronde, o si possiede una 4x4 o è molto più utile un mezzo di locomozione come quello descritto. Questo comporta che nella zona spesso i sacramenti di prima comunione e cresima si ricevono a volte tardi.

Naturalmente, anche la scuola si trova a La Colorada. Il che significa che i ragazzi devono fare lo stesso percorso, con i “mezzi” suddetti, e non li accompagnano i genitori. Se si aggiunge che le ragazze e i ragazzi aiutano nei lavori domestici (là si trovavano due ragazzi di 12 anni che si alzavano spesso alle 4.00 del mattino per aiutare a mungere le mucche), allora si può capire il sacrificio che fanno e… la fortuna che hanno i nostri ragazzi. Mi veniva in mente, e mi faceva sorridere di… incomprensione, la rivolta dei genitori di una scuola di Gravina di fronte alla decisione della direttrice di trasferire di 300 metri gli alunni di una classe. Non staremo abituando i nostri ragazzi a percepire come dovuto ciò che è un dono?!? Non che qui non esistano anche realtà e problematiche di tipo “italiano”, ma certe cose fanno riflettere.

Rileggendolo, posso affermare che non sono cambiate molte cose. Questa volta insieme al signor Eriberto c’erano anche Virgilio, Marcy e le due bimbe Juliet (sorella di Marcy) e Michelle (nipote di entrambe). I primi tre vengono qui ogni 15 giorni, di sabato, per preparare un gruppo di cresima e per la animazione cristiana del villaggio. La camioneta è stata sostituita da un 350, con sedili posticci nel “vano” posteriore, per “ospitare” i passeggeri. I quali sono andati aumentando man mano che si giungeva al villaggio, per il passaggio dato a persone che andavano a fare spesa e a bimbi che si recavano alla cappella per il catechismo. Dove ci siamo recati anche noi, come prima tappa, a differenza di tre anni fa. Qui, attorno a un tavolo, c’erano i bimbi che si preparano alla prima comunione, insieme alla loro catechista. Eriberto ha distribuito alcuni beni per le famiglie più bisognose e poi siamo partiti alla volta della “finca”.

La stessa della volta scorsa, con le differenze naturali legate al trascorrere degli anni. Questa volta la Messa è stata meno assistita dagli animali (mancavano il cane e i maiali, mentre le galline erano meno), forse per il fatto che è piovuto tutto il giorno, o perché sono diminuiti. Il lavoro ultimamente non rende come prima e, come successe in Italia, i giovani studiano e molti preferiscono andar via dal lavoro dei campi e dell’allevamento.

Dopo la Messa, una gustosa “sopa” di carne (un paio di galline non avevano assistito a Messa per questo motivo) e vegetali, che, facendo il pari con le “empanadas” fritte della mattina, hanno dato un bel colpo al mio colesterolo. Ma cuore contento e stomaco pieno sono un binomio che da gusto. La dieta sarà per altri giorni.

A proposito di cose strane che entrano nello stomaco, una settimana fa fray Pedro, prima di fare la spesa per il seminario, mi ha invitato a colazione nel mercato e mi ha fatto provare la “bomba”. Una bevanda molto calorica con i seguenti ingredienti: latte, cacao, cioccolato in polvere, essenze varie, rum e brandy, cubetti di ghiaccio e – udite udite – un occhio di bue per persona (no, non un uovo a occhio di bue, ma un vero occhio!!!). Il tutto frullato e servito con cannuccia. Immagino già la reazione disgustata di alcuni, ma la bevanda è molto apprezzata dai venezuelani, almeno da queste parti.



sabato 31 ottobre 2009

Inizi e novità


Alcune notizie su presenze, progetti e attività del seminario in questo inizio di anno sociale e scolastico.

Come si può vedere dalla foto, la comunità è composta da quattro formatori e sette formandi. Ai formatori dell’anno scorso (fray José Luis, fray Pedro e fray Matteo) si è aggiunto, dai primi di settembre, fray Jesùs Alexer, il quale dovrebbe rimanere con noi fino alla fine di luglio, quando partirà per l’Italia per specializzarsi in Teologia Biblica. È qui soprattutto per studiare un po’ di italiano, ebraico e greco, in vista degli studi a Roma. Intanto si prepara anche all’ordinazione diaconale e sacerdotale e ci aiuta nella formazione dei giovani seminaristi.

Per quello che si riferisce a questi ultimi, ho già detto che sono sette (è probabile che a gennaio entri un altro piccolo gruppo di cinque). Da quest’anno è partita l’esperienza dell’aspirantato per i nuovi entrati. Ci siamo accorti, confrontandoci anche con le esperienze delle altre case di formazione qui in Palmira, che è molto utile un tempo (un anno, più o meno) di inserimento graduale nella realtà seminaristica e di primo approccio al carisma di S. Francesco. Per cui i giovani in formazione, attualmente, sono sette: cinque aspiranti (Antonio, Edgardo, Enmanuele, Isanel e Wilmer) e due postulanti di secondo anno (“el abuelo” Eduardo e Yorman), che hanno in comune, a parte gli spazi logistici, la preghiera, i pasti e i turni di servizio.

Gli aspiranti hanno un orario che comprende lavoro manuale e formazione. Il lavoro consiste nel mantenimento dell’area verde della casa e nella pulizia degli ambienti adibiti ad ospitare ritiri e convivenze vocazionali. La formazione, con orari di classe tre giorni a settimana, comprende: taller psicologico; introduzione alla liturgia; lettura e commento del Regolamento del seminario; regole di urbanità; morfosintassi spagnola; catechismo; biografia di S. Francesco.

I postulanti frequentano la filosofia nella facoltà teologica situata nel seminario diocesano, a 300 mt da qui. Ricevono anche una formazione base di francescanesimo, in preparazione al noviziato.


Per quel che mi riguarda, compio oggi un mese dal ritorno in Venezuela. Dei miei primi giorni, fino all’anniversario dell’ordinazione sacerdotale, già vi ho scritto. Del resto non ci sono molte o significative aggiunte. È ripresa la vita normale, ordinaria, ritmata dall’orario del seminario e dall’insegnamento, ai quali si aggiungono sporadici impegni pastorali, in aiuto a sacerdoti o istituti di suore.

L’insegnamento e la preparazione delle lezioni mi porta via un po’ di tempo, perché mi sono trovato ad affrontare una situazione completamente imprevista nell’area biblica, dove sono impegnato. In pratica hanno rinunciato tre professori, per cui mi sono ritrovato solo, con l’aiuto di un altro mezzo specialista. Uniti, i due, formiamo una bella… miseria!!! Io che ero partito per l’Italia quasi sicuro (il dubbio sulla programmazione è un obbligo prudenziale a certe latitudini) di insegnare Ebraico e Introduzione al Nuovo Testamento – materie, cioè, che davo già da tre anni – e, se proprio ce ne fosse stato bisogno, anche all’Antico Testamento (3 ore settimanali), mi ritrovo invece a dare quest’ultimo corso e Letteratura Giovannea (3 ore), insieme naturalmente a Ebraico (2 ore). Vale a dire materie completamente nuove e inaspettate, che richiedono preparazione, ma alle quali non potevo rinunciare, per non mettere in grosse difficoltà l’Istituto e gli stessi alunni, e perché l’altro professore aveva già scelto l’Introduzione al Nuovo Testamento e le Lettere cattoliche (che non mi abbiano informato di questi cambi, ormai non mi meraviglia più…).

Mi ritrovo così a dover leggere abbastanza per preparare le lezioni. Il che mi aiuta, in verità, ad approfondire cose belle e importanti. Sto scoprendo e apprezzando il vangelo di Giovanni, grazie a un bel commentario e altre letture sparse. Mi sono fatto così la fama di “come libros” (divoratore di libri), perché mi vedono leggere spesso e volentieri. Infatti, cerco si studiare camminando sotto il porticato, all’aria aperta, evitando di stare troppo tempo seduto. Un po’ come fa a Copertino il mio amico Ninì. Ho dovuto anche spiegare a un seminarista, che si meravigliava del tempo che trascorro a leggere, che questo è parte del mio lavoro e non solo gusto personale.

Per il possibile non mi sottraggo agli aiuti pastorali, come accennato prima (soprattutto celebrazione di messe e confessioni), sempre che non cozzino con i miei impegni in seminario. Il giovedì mattina mi reco a Tariba (15 minuti di macchina) per celebrare messa nel collegio Nazareth, alle 7.15, per i ragazzi delle superiori, e poi sono disponibile per le confessioni degli alunni. All’inizio non veniva quasi nessuno a confessarsi. L’ultima volta erano circa venti, e mi hanno messo in difficoltà perché alle 10.30 ho lezione di ebraico. Si sarà sparsa la voce che sono di manica larga?!? O forse è stata solo una contingenza particolare.

Il mercoledì, dalle 20.00 alle 21.00, animo una catechesi sugli Atti degli Apostoli per il movimento di “Verbo y Vida”, a S. Cristobal, a mezz’ora di macchina. Ma per questo mi vengono a cercare e mi riportano una volta terminato.

Il martedì pomeriggio incontro i due postulanti, per la formazione francescana in preparazione al noviziato.

Insomma, non ho tempo di annoiarmi. Anzi, spesso il tempo mi manca per attendere ad altre cose. La sensazione è a volte strana, se ripenso ai miei anni di ministero in Puglia, immerso nell’attività pastorale, quasi obbligato (non nego che ho le mie colpe) a mettere tra parentesi gli studi biblici. Per poi ritrovarmi, come già dicevo in altre occasioni, dopo vent’anni, sfidato ad insegnare Bibbia e considerato “professore”, quindi nell’area della intellettualità. Per carità, non rinnego niente degli anni e delle esperienze pugliesi. Ci mancherebbe altro! Sono un vero dono di Dio alla mia persona. Non mi sento in conflitto né col passato né col presente. Sto imparando a vivere la vita come viene, il che non è difficile, considerati i privilegi che essa mi ha riservato finora. Spero solo che Dio mi aiuti a continuare, malgrado le mie resistenze e testardaggini, anche in momenti più delicati, quando e qualora si presentassero.

domenica 11 ottobre 2009

22 anni di sacerdozio

"È da poco più di tre ore che ho lasciato l’Italia. Mi trovo in aereo, di ritorno in Venezuela. Alcuni mi hanno chiesto di aggiornare quanto prima il blog. Non saprei se per conoscere le mie prime esperienze dopo l’arrivo, o le impressioni a caldo sulla mia ultima, lunga, calda, avvolgente… permanenza in Italia. Probabilmente le due cose. Allora mi ritrovo a scrivere su un pezzo di carta quanto so già di non poter trasmettere come vorrei. Gli aggettivi sulla mia permanenza italiana la dicono lunga sulla rete di relazioni e sensazioni che mi ha avvolto, avviluppato…”.

Questo è quanto sono riuscito a scrivere in aereo. Il pensiero dei giorni trascorsi in Puglia (se si eccettuano i tre a Sasso Marconi, per stare con mia sorella) mi ha lo stesso accompagnato durante tutto il viaggio, e anche dopo. Un succedersi di visi ed emozioni difficili da digerire e metabolizzare. Pensieri che allargano il cuore e stringono lo stomaco. Ad ogni modo, anche se si fatica un po’ a trangugiare cibo e groppo, ciò che esce spontaneo non è il bolo alimentare ed emozionale, ma il ringraziamento a Dio per il dono di tanta gente bella e di tanta storia importante, benché minima e quotidiana.

Come non ringraziare per aver potuto condividere giorni solari d’agosto e gli ultimi di settembre con i miei, con vari parenti, con i cugini di Roma e i loro figli, con alcuni amici d’infanzia, con i miei compaesani? Il sapore delle radici e dei frutti, riassaporati con il gusto degli anni e la freschezza del rincontro. Ciliegina sulla torta: la possibilità di partecipare alla festa di S. Michele.

E poi il senso del ritorno nostalgico alla mia “famiglia” spirituale dei frati pugliesi, con i quali ho condiviso fraternità, sentimenti di stima reciproci, progetti, difficoltà per molti anni (e non è che ora mi senta un estraneo). In un momento particolare per la Provincia: l’inizio di un quadriennio, dopo 12 anni di provincialato di fra Giuseppe Piemontese. Mi pare che Michele e i frati del definitorio abbiano fatto del loro meglio e che ci sia amore nel loro non facile servizio. Un momento magmatico e magnetico, quello degli inizi, con le sue liquide difficoltà e lo sguardo verso il progetto, al quale vorresti prendere parte. Ma per te è pronta un’altra obbedienza e una terra lontana… dove, in ogni caso, non sei orfano né estraneo.

E che dire dell’impatto emotivo con le persone che Dio ti ha donato negli anni di Gravina e Copertino?!? Quest’anno ho avuto la grazia di predicare la novena di S. Giuseppe. Già sapete che non è stato facile accettare la proposta. Ma, come spesso mi accade, ciò che non avevo chiesto a Dio, mi è stato dato come dono che trabocca ogni desiderio e volontà. Sono stati giorni intensi di incontri e celebrazioni. Persone riviste dopo quasi 12 anni. Che gioia e che nostalgia!!! Posso affermare che il braccio di Dio non è corto e che la sua generosità sorpassa ogni umana riluttanza e titubanza.


Così, tra cibo, lettura e film sono sbarcato a Caracas, abbracciato dal caldo umido di Maiquetia. Sbrigate le pratiche aeroportuali, mi attende una sorpresa: il bagaglio è rimasto a Roma e mi tocca ritirarlo domani. Fray Jesus mi porta al convento di Caracas e comunico a zia che il suo carico di “lampagioni” dovrà riceverlo domani o dopo. Intanto mi scoccia ipotizzare un ritardo nella mia partenza per il seminario o la possibilità che il bagaglio tardi ad arrivare.

Il giorno dopo vado a mangiare dalla zia e ammazzo un po’ di nostalgia con fettuccine al sugo di calamari ripieni (niente male no?). Nel pomeriggio, visto che nessuno risponde a telefono dall’ufficio dell’aeroporto, decido ugualmente di andare a vedere se il bagaglio fosse arrivato. All’arrivo devo alzare la voce con un impiegato che mi dice che è troppo tardi per ritirare il bagaglio. Gli faccio notare (con tono leggermente alterato, in verità) che sono stato per più di un’ora a chiamare, senza ricevere risposta, e che all’orario di chiusura manca ancora mezz’ora. Mi consegna lo zaino. Però mi attende un’altra sgradita sorpresa alla stazione degli autobus: tutti i biglietti per S. Cristobal, di tutte le compagnie, sono esauriti, forse per il fatto di essere venerdì. Decido di partire domani notte, per stare almeno la mattina presto di S. Francesco in seminario.

Sabato 3 mi sveglio con febbre e raffreddore, per cui, su consiglio dei frati, decido di non viaggiare più questa notte. Prendo delle medicine e passo tutto il giorno a letto. Bel modo di celebrare 28 anni di professione semplice! Alle 23.30, già addormentato, vengo svegliato dal pianto di fray Carlos, che ha appena ricevuto la notizia della morte improvvisa di sua madre. Fray Jesus lo convince a non partire subito; lo accompagnerà con Javier domani alle 5 del mattino. Per cui mi chiede come sto (non è che stia proprio bene, ma almeno non ho febbre) e se me la sento di celebrare due messe al posto suo domani 4, domenica e festa di S. Francesco. Lo rassicuro. L’imprevisto si trasforma così in presenza provvidente.

Domenica 4 è un S. Francesco particolare. Le due messe le celebro senza particolari problemi fisici e mi riempiono, ma aleggia il fatto della mamma di Carlos e, per me, la lontananza dalla mia comunità.

Lunedì partiamo alle 4.30 del mattino per il funerale, fissato per le 10 ad Acarigua (5 ore di macchina). La cerimonia è gioiosa e molto partecipata. Proseguo poi per Guanare, dove pranzo, riposo, parlo con fray Beto, celebro la messa della sera e… vado a letto.

Il mattino dopo, alle 5 parto con fray Pietro e Orlando per il seminario, dove finalmente arriviamo per l’ora di pranzo. La prima impressione è forte e strana a un tempo: quest’anno ci sono solo 7 postulanti, a fronte di un seminario che ne contiene comodamente una sessantina. Dovremo forse fare l’abitudine a numeri che non saranno più quelli di una volta. Mi assale anche la tentazione, oggettivamente plausibile, di pensare che 3 formatori, ai quali se ne aggiunge un altro almeno per quest’anno, siano uno spreco, pensando a tanti bisogni pastorali, anche in Puglia. Probabile che sia umanamente vero. Poi sento che il Signore mi vuole ora qui, a servizio di questo piccolissimo gregge e delle eventuali esigenze e richieste pastorali che dovessero sorgere. Mi tranquillizzo.

Mercoledì 7 mi reco all’Istituto teologico e, per non perdere la serie delle sorprese, mi ritrovo con corsi nuovi, diversi dai previsti. Mi chiedono di accettarli ugualmente, perché non hanno alternative al momento. Giovedì e venerdì inizio già a dare lezioni.


Infine, oggi 10: 22 anni di sacerdozio. Nessuno qui lo sa o se ne ricorda; ma non mi fa male. Né penso di renderlo pubblico. Stamani ho celebrato messa davanti a una assemblea di… 5 fedeli., vale a dire i seminaristi presenti. Però insieme a loro c’eravate tutti, di ogni luogo e di ogni tempo. E questo mi basta. Naturalmente vi chiedo una preghiera di ringraziamento a Dio per il dono fattomi, e una d’intercessione per le mie molte e inveterate debolezze e codardie.

lunedì 3 agosto 2009

Count down

Il "pezzo" seguente, come è facile dedurre, è stato composto il primo di agosto, ma solo oggi ho avuto il tempo di pubblicarlo. Perciò, nel conteggio all'indietro, siamo a -8...


1 di agosto: comincia oggi il count down in attesa della partenza per l’Italia, l’undici. Sono al “meno dieci”. Ci starò fino al primo di ottobre e già mi assalgono i miei assurdi dubbi: quanto mi mancherà la gente di qua? Che difficoltà linguistiche e ambientali dovrò superare in Italia e al mio ritorno, dopo tanti giorni fuori? Riuscirò a portare a termine tutte le cose che vorrei e dovrei fare in Italia? E così via… Stupidaggini che fanno parte della mia vita e che forse mi accompagneranno sempre. Tanto già so che non hanno risposta o fondamento; o che ce l’hanno in base alle esperienze passate. Ma poi, la storia è davvero maestra? Chissà?!? Noi alunni ricadiamo negli stessi dubbi e ripetiamo i medesimi errori. Ergo, o sono irrimediabilmente perduti gli alunni; o è testardamente falso il detto sulla storia maestra. Magari semplicemente dovranno imparare a convivere la perfezione concettuale del detto, e la graduale e altalenante perfettibilità del camminare dell’uomo, con i suoi vertici e le sue cadute, evitando quelle che la memoria storica giudica come criminali o pregiudicanti il bene altrui. E mi fermo, se no la prossima volta implorerete affinché non venga in Italia, se devo ammorbarvi con tali contorcimenti mentali.



Sì, vengo!!! E tra i preparativi vi è, da un paio di giorni, nei momenti liberi, tornare a leggere qualcosa sulla vita di S. Giuseppe “nuesciu”, visto che devo predicare la sua novena nella mia amatissima Copertino. Da quando sono venuto via dal Salento non ho più letto una biografia del Santo copertinese. E sono passati quasi 12 anni! Qui ho trovato in biblioteca quel prezioso libretto del Parisciani che è “Estasi, carcere e santità”. Naturalmente nella traduzione spagnola. È una strana sensazione leggere di S. Giuseppe in una lingua che non è la abituale relazionata a lui. Ripetere episodi ambientati in una cultura e geografia totalmente differenti da quelle venezuelane. Riascoltare nomi, far risuonare suoni, gustare alcuni sapori della memoria, estranei alla mia esperienza attuale. Prendendo in prestito quanto diceva Paolo VI nella canonizzazione dei martiri ugandesi, siamo chiamati a unire i loro nomi tipicamente locali a quelli dei martiri africani dei primi tempi. Una mescola a primo impatto stridente, ma che poi si dipana, poco a poco, in una armonia arricchente e nuova.



Babuquena è uno di questi nomi locali, assurdamente esotico per noi italiani. Il villaggio a cui si riferiscono le ultime foto pubblicate nel link sulle mie esperienze venezuelane. Ci sono stato circa un mese fa per celebrare un triduo in onore di S. Maria Ausiliatrice. Il momento più suggestivo è stato quello del sabato mattina, quando insieme a Sinforiano, ministro straordinario dell’Eucaristia, e a suo figlio Luisito, ci siamo arrampicati per portare la comunione a due famiglie che vivono sul costone di una montagna. È un po’ come andare da Macchia a Monte. La prima famiglia soprattutto era costituita da gente che quasi mai scende al villaggio vicino, perché la anziana non ce la fa e i due figli rimasti con lei – insieme a una nipote di 14 anni – soffrono di ritardo mentale. Ci sono andato soprattutto per confessarli, in quanto i sacerdoti della parrocchia, che visitano il villaggio una volta al mese per i numerosi impegni che hanno, non hanno tempo. Erano tre anni che un sacerdote non saliva a casa loro, pur ricevendo mensilmente la comunione. Ci si arriva per una mulattiera. E appunto una mula mi avevano procurato per non stancarmi troppo nella salita ripida, che si copre in 45 minuti circa. A metà salita ho visto che Luisito, che seguiva con suo padre attaccato alla coda della mula, non ce la faceva più. Nella mia “generosità” l’ho invitato a scambiarsi con me. Sono arrivato in cima con un fiatone di quelli reali, da perfetto uomo di città, a corto di allenamento e abitudine. Le stesse parole inciampavano nel fiato corto. Non sarà l’età?!? Bene, arrivederci in Italia.

sabato 11 luglio 2009

11 luglio: S. Benito, abad


Oggi stiamo celebrando la festa di S. Benedetto, patrono d'Europa. In verità, non gli si dà molta importanza a queste latitudini (mbé, non è che in Italia si sia messi granché meglio...) e si celebra come "memoria", neanche come "festa". In certe occasioni si avverte maggiormente la distanza geografica e culturale con l'Italia.
Distanza che spero di annullare tra un mese esatto. Proprio ieri ho comprato il biglietto aereo. Partenza l'11 agosto. Sì, mezza giornata di S. Chiara me la farò in volo. Arrivo a Bari il 12, alle 14.30 circa. Ritorno da Bari addirittura il primo ottobre...
È un tempo più lungo; ma poi risulterà molto breve per le varie visite alle comunità e, soprattutto, per i giorni della novena di S. Giuseppe a Copertino. Ho fatto di tutto per evitarla, suggerendo l'impegno mio per meno giorni, ma non ci sono riuscito. Alla fine mi è stato semplicemente comunicato che il mio nome era già stato stampato sui manifesti. Per cui le mie vacanze serviranno anche di preparazione alla novena... Per non dire che non mi sento all'altezza delle aspettative dei copertinesi nei confronti della novena. Sono gli "esercizi spirituali" del paese, con i quali si comincia il nuovo anno sociale. E io non mi sento, perché non lo sono, un predicatore. Inoltre, ho lasciato Copertino da 12 anni e, da allora, non ho avuto modo di mantenere molti contatti con "S. Giseppu nuesciu". Dovrà aiutarmi lui stesso a trasmettersi, ancora una volta, ai copertinesi. Se poi penso ai predicatori che si sono succeduti anche negli anni in cui sono stato a Copertino. O a Giovanni Iasi, che tanto bene ha fatto l'anno scorso... Mbé, meglio non pensarci, se no vado in tilt più di quanto già ci sono.

A proposito di distanze accorciate o annullate, a inizio mese abbiamo avuto la gioia di avere tra noi il Ministro generale, fra Marco Tasca, e l'Assistente generale per l'America Latina, fray Jorge. L'incontro con il Generale è stato molto fraterno e informale. Marco non è cambiato affatto. Avrà qualche chilo in più, ma gli serve per esprimere ancora più calore e fraternità nei saluti e negli abbracci. I frati venezuelani e i seminaristi sono stati piacevolmente sorpresi dal suo non stare nei protocolli e dalla sua "vicinanza" senza barriere di nessun tipo. Qui dove un titolo, fosse anche di usciere, crea autorità improprie e ridicole. Insomma, ci è piaciuto molto il suo spirito fraterno, la sua allegria, il salire dagli schemi e formalismi, la chiarezza di idee e sana decisionalità. Grazie, Marco!!... per essere stato con noi, fratello tra fratelli, e per non aver lesinato parole di amore e incoraggiamento ai tuoi confratelli del Venezuela e ai laici che ci accompagnano. Alla prossima!!

giovedì 18 giugno 2009

Zoryam e la politica


Non sono contento della politica italiana e venezuelana, che hanno vari punti di contatto, anche se qui la situazione è senz’altro peggio per assenza di garanzie democratiche elementari. Purtroppo, mi rendo conto che in Italia non si sa quasi niente del Venezuela e di quello che sta accadendo. Magari è normale. Non si può sapere tutto di tutti. Ma almeno si abbia la decenza di tacere quando non si conosce la realtà per non viverla, invece di dare giudizi positivi o negativi che sono più frutto di ideologie che di esperienze sul posto.
Fatte salve le differenze storico sociali, che pendono la bilancia verso il basso (abismo?!?) più in questa parte sud del mondo, il teatrino è molto simile: ricerca di un partito forte che possibilmente sia unico; richiesta di poteri sempre più forti per chi governa; culto della personalità e identificazione del partito con il leader, con conseguente servilismo o appoggi opportunistici; convinzione inscalfibile di essere sempre e comunque nel giusto, e l’altra parte nel torto, per cui se vuole avere voce deve parlare come me; ridicolizzazione delle opposizioni e intento di farle sparire; linguaggi da caserma e osteria; minacce, per remare contro, ai mezzi di comunicazione e alle menti libere (e la Chiesa, fatta di cristiani e vangelo, checché se ne dica e con tutte le critiche che le si possono rivolgere, chissá perché, dappertutto è tra le istituzioni più bersagliate. Ci sarà un motivo?!?...).
La foto che pongo qui è bellissima (naturalmente non per la mia presenza...) e mi pare riassumere ció che servirebbe alla nostra società: la freschezza innovativa dei fanciulli, con la loro carica di affetto e speranza; la canizie dell’anziano, con tutti i valori evangelici che il suo abito francescano rappresenta. Potrebbe essere la gestazione di un mondo nuovo nella sua carica di speranza, dove il sorriso diventa luogo ed espressione delle condivisioni.
Ah, dimenticavo: Zoryam è il nome della bimba.

Giorni movimentati


Nell’ultimo post facevo accenno al fatto che, da due mesi e mezzo a questa parte, i miei fine settimana sono stati alquanto “travagliati”, nel senso più spagnolo del termine, con riferenza al “lavoro” (=“trabajo”). Stavo notando che in tutto questo tempo, a partire dalla domenica precedente a quella delle Palme (5 aprile), solo una domenica ho celebrato in seminario. Tutte le altre volte sono stato fuori, per aiutare nei nostri conventi o qualche sacerdote in difficoltà. Non è propriamente comodo vivere così e non è “normale” (la normalità è l’altra), però mi pare giusto non chiudersi a tali richieste di aiuto pastorale. Per di più, come dicevo nel precedente post, questo incontro con il popolo di Dio nelle sue realtà esistenziali, mi gratifica umanamente e sacerdotalmente. Addirittura mi sembra di peccare un po’ di egoismo, accettando richieste incomode ma che so già gratificanti.
Le ultime “uscite” sono state a Venegara, a fine maggio, per la festa del santo patrono, Isidro labrador (Isidoro il contadino); al santuario del S. Cristo a La Grita, la settimana seguente; e a Caracas, sabato e domenica passati.
A Venegara ho celebrato due S. Messe “complesse”. Sabato sera si celebravano, in una volta: chiusura del mese di maggio, vigilia di Pentecoste e ringraziamento per i 15 anni di una ragazza (già ho scritto dell’importanza di questa ricorrenza nella vita di una donna; è la sua entrata in società). Domenica mattina c’erano: festa di Pentecoste; celebrazione del Santo Patrono e prime comunioni. Insomma, un bell’equilibrismo per farci entrare tutti.
A La Grita sono arrivato il sabato successivo alle 17.15 e un quarto d’ora dopo ero sull’altare per la prima Messa. Ci sono sceso alle 20.00, dopo tre messe consecutive. Il giorno dopo, solennità della Trinità, prima messa, radiotrasmessa, alle 8.00; quindi alle 10.00 e funerale alle 11.30. Ripartenza alle tre del pomeriggio, dopo aver pranzato e chiacchierato un momento con un anziano originario di Molfetta. Viaggio accompagnato da una pioggia battente e in mezzo alle nuvole basse del Paramo del Zumbador. Uno spettacolo novembrino...
Infine, la settimana scorsa sono andato a Guanare per salutare Eugenio, Elisabetta e le bimbe, prima del loro ritorno definitivo in Italia. È stato bello trascorrere con loro un paio d’ore, giocando con le figlie e ascoltando il loro stato d’animo, misto di allegria per il ritorno, e di malinconia per la partenza. Ho avuto occasione anche di conoscere un paesano di Monte S. Angelo, incontrato per caso da Eugenio, che vive in Venezuela dal 1957 ed ha un negozio di scarpe nella città. I miei conoscevano bene la sua famiglia, visto che il papà era sarto, come mio nonno e mio padre. Quindi a Caracas per incontrare i due frati che si preparano per il sacerdozio e stilare un programma di formazione minima. Naturalmente è stata l’occasione per condividere alcune ore con i miei parenti che non vedevo da circa un anno. In entrambi i casi non è mancata l’occasione, addirittura cercata, di aiutare i frati nella loro pastorale parrocchiale.

giovedì 21 maggio 2009

Nostalgia canaglia

Un anno e mezzo fa circa scrivevo, contento di aver conseguito la carta di identità venezuelana. Il che mi favoriva, come ho potuto constatare dopo, ai controlli nei frequenti posti di blocco del paese. Mi pareva anche il suggello a un sentirmi sempre più inserito in questa realtà. Mi mancava però ancora un documento, per poter stare del tutto tranquillo specie negli spostamenti in macchina, quando mi toccava guidare (e ultimamente ho dovuto percorrere tragitti lunghi): la patente. Non la chiedono quasi mai, e per quello ho potuto sempre guidare senza problemi; interessano di più i documenti di identità, come la carta e il passaporto, specie se si vive in zona di frontiera come il Táchira. Però potrebbero chiederla, la patente, specie in caso di incidente, e se non ce l’hai sono problemi. Così ora ce l’ho, addirittura di 4º livello: posso guidare addirittura piccoli camion, i cosiddetti “350”.
Parrebbe la quadratura del cerchio. Però, mi sono accorto che una certa nostalgia è sempre in agguato, canaglia, appena trova un varco per cui entrare. Magari non in modo lacerante, tuttavia è lì, e si ripresenta in varie forme, rendendo vero e sempre attuale quanto ho scritto e continuo a dire: qui sto bene, ma non posso dire che esperienze e persone e luoghi di Italia non mi manchino, a volte. Specie quando succede qualcosa – niente di particolare, quasi sempre banale – che fa affiorare il ricordo, nostalgico e grato, per il vissuto, e per Dio che ti ha donato vivere.

In questi ultimi due mesi, per esempio, il fatto di stare in realtà pastorali non seminaristiche, di poter condividere la realtà della gente, del campo e della città, mi ha fatto venire in mente i 18 anni tra Copertino e Gravina, nella pastorale “attiva”, e le tante persone con cui Dio ha arricchito il mio cammino. Forse quello che vivo ora è più gratuito; la pastorale “fuori” è più impegnativa nell’orario, ma certamente più gratificante, e forse anche per questo ne sento la mancanza di tanto in tanto.

Ieri, invece, dopo cena mi sono concesso un po’ di televisione (20.00-21.30 circa), sintonizzandomi su Rai International. Passavano un film ambientato in Puglia (nei titoli di coda ho potuto leggere Ostuni e Nardò), con Lino Banfi e altri attori, tutti con accento tipicamente barese. Niente di particolare nella trama; però la bellezza degli ambienti, la lingua e le danze dalle sonorità conosciute, la luce estiva dei paesaggi, mi hanno catturato e commosso, finché la campanella che annunciava Compieta mi ha richiamato al reale e all’oggi. Non la nostalgia lacerante, appunto, che non ti permette vivere e apprezzare quanto ti circonda; bensì la malinconia struggente dell’emigrante. Verrebbe facile applicarlo ai tanti migranti dei quali si discute in questi giorni in Italia, dimenticando che non sono oggetti ma persone, interiorità e sentimenti rivestiti di carne e necessità, storie e geografie “aggredite” da interne nostalgie ed esterni “respingimenti” di vario tipo.
Infine, ieri a mezzogiorno mi hanno annunciato di un signore, sui cinquanta, desideroso di confessarsi. Essendo l’unico sacerdote presente è toccato a me. E questi, mai visto prima, mi racconta della sua conversione recente. Ha in mano una rivista di Medjugorie, che dice averlo colpito molto. E mi parla della sua devozione a S. Michele e del gran desiderio, per aver letto in un articolo su questo, di recarsi alla magnifica “gruta de S. Miguel” nel sud Italia, per sperimentare la potenza e la vicinanza dell’arcangelo. Ha due amici italiani che gli hanno promesso andranno a pregare per lui nella Grotta. Immaginatevi la mia sorpresa a sentirlo, e la sua quando gli dico che sono di Monte Sant’Angelo, il “pueblo” dove di trova la Grotta. Gli prometto che pregherò per lui quando vado in vacanza. E qui una nuova consapevolezza: l’attaccamento a questo monte, poco apprezzato durante gli anni di vita lì, riscoperto dopo che ho dovuto lasciarlo. È certo che la lontananza spazio temporale falsa un poco la realtà, addolcendone il ricordo; però è strano come sempre, avvicinandomi al Gargano e a Monte, la memoria si tuffi nel cuore e viceversa. Non ho mai avuto difficoltà a sentirmi cittadino del mondo e ad abitare la geografia fisica e relazionale del momento; ma i tornanti verso Monte, nei miei arrivi, li ho sempre vissuti in silenzio; attanagliato dai contorni del paesaggio e dalla trasmissione di sensazioni occhio-stomaco; in un’ascesa verso parti profonde dell’essere e della memoria. Un pellegrinaggio insomma, al sacro monte, e alla sacralità della interiorità personale, ancora non del tutto esplorata e tante volte tradita; all’ancestro della vita-dono di Dio, anche se non luogo esclusivo dello sviluppo del dono nella storia, la mia. Se Dio è la roccia, Monte ne è per me l’espressione concreta, plastica. E la Grotta di S. Michele si rivela l’ombelico del mondo, dove scendi per nutrirti di abisso e ritrovarti.

giovedì 7 maggio 2009

Pasqua 2009

Nell’ultimo post sul blog avevo preannunciato la mia “sparizione” per un determinato periodo, però nemmeno io pensavo che questo potesse durare così tanto. Come detto, sono stato a vivere la Settimana Santa a Venegara, il villaggio rurale dove ero già stato a Natale. In verità, ho iniziato dal venerdì prima delle Palme, perchè sono molto devoti a la “Virgen de los dolores”: una preparazione mariana alla passione di Cristo, sostituita nel calendario liturgico dalla festa dell’Addolorata, di cui è un doppione.
Sono stato bene. La gente si è affezionata a me e io a loro. Ho lavorato abbastanza, aiutando il parrocco nell’animazione liturgica (confessioni e celebrazioni) di altre zone della parrocchia. Un giorno sono stato a visitare gli infermi e celebrare Messa e confessioni nell’altro villaggio di Babuquena, a circa un’ora di macchina. Sono venuti a prendermi due animatori cristiani “matti”: Guillermo (tra 60 e 70 anni) e don Lino (credo più di 70). Nella camioneta di quest’ultimo siamo andati a “scovare” infermi in posti inimmaginabili. Molti di loro avevano tre anni senza vedere un sacerdote, non per pigrizia di questi ultimi, ma proprio per la impossibilità di arrivare a tutti e dappertutto. In alcune case sul costone del monte ci si arrivava solo a piedi o inserendo la 4x4 alle ruote del pick up.
Da dopo Pasqua sto vivendo un periodo di molto movimento. Praticamente dalla domenica delle palme non ho trascorso un fine settimana in seminario. Per aiutare i frati nelle attività pastorali o permettere loro di vivere un periodo di vacanza sono stato rispettivamente a Pueblo Llano, Guanare, Barinas, Venegara (per mantenere un legame con la gente e per “questuare” verdura per il seminario), e di nuovo Barinas, da dove sto scrivendo queste righe. Dovute, per ringraziare quanti mi hanno mandato gli auguri di Pasqua o pregano per me. Lo faccio allegando alcuni degli auguri ricevuti, che mi sono sembrati un po’ più originali. Un motivo per riflettere ancora sulla Pasqua e la sua importanza nella nostra vita.

S. Pasqua 2009
Una Pasqua
Tra le macerie e la sofferenza
La perdita e la speranza
La solidarietà e lo sciacallaggio
La partecipazione autentica e la strumentalizzazione politica e giornalistica
Le promesse elettorali, i conti con la crisi e la mancata occasione di dirottare in Abruzzo 400 milioni di euro di costi prodotti dall’election day

Una Pasqua
tra le macerie di una società sempre più disgregata da individualismi e amare solitudini e il desiderio nostalgico di rivivere forme di partecipazione collettiva e democratica che sembrano ormai appartenere al passato

Una Pasqua
tra la sconsolata consapevolezza di sentirsi troppo piccoli per “cambiare il mondo” e la speranza che ciascuno debba fare la sua parte e che forse, per magia, le parti sommate possano produrre cambiamenti radicali della nostra società

Una Pasqua
tra le silenziose indignazioni dinanzi al proliferare di svastiche sui muri del nostro paese e l’indifferenza di chi ci passa accanto ogni giorno, senza più accorgersene

Una Pasqua
tra l’uso sempre più sciatto di parole che fanno male e offendono schiacciando la dignità dell’uomo e di quella parte di umanità più fragile della nostra società e l’instabile certezza che la cultura di massa possa essere sufficiente a formare cittadini consapevoli

Una Pasqua
Che ci invita a riflettere
a ripensare a quell’Uomo sulla croce e a vedere il lui tutti i nostri fratelli che ogni giorno, senza più far caso, inchiodiamo sulla stessa croce.


Pasqua, festa dei macigni rotolati
(Tonino Bello, Pietre di Scarto)

Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati.
La mattina di Pasqua le donne, giunte nell'orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno,
che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro.
E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio,
della disperazione del peccato.
Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte.
Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l'inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.

Trova il tempo
Trova il tempo di pensare
Trova il tempo di pregare
Trova il tempo di ridere
È la fonte del potere
È il più grande potere sulla Terra
È la musica dell'anima.
Trova il tempo per giocare
Trova il tempo per amare ed essere amato
Trova il tempo di dare
È il segreto dell'eterna giovinezza
È il privilegio dato da Dio
La giornata è troppo corta per essere egoisti.
Trova il tempo di leggere
Trova il tempo di essere amico
Trova il tempo di lavorare
E' la fonte della saggezza
E' la strada della felicità
E' il prezzo del successo.
Trova il tempo di fare la carità
E' la chiave del Paradiso.

(Iscrizione trovata sul muro
della Casa dei Bambini di Calcutta)

Madre Teresa di Calcutta


N.B. La foto "americana" di Gilda con la sua famiglia, giunta subito dopo Pasqua, è stata una piacevolissima sorpresa. Non sono bellissimi?!?
E il suo pancione??... saliranno a cinque marmocchietti. Mi dice nella mail che a volte le pare le manchi il tempo per tante cose, però i suoi figli la ripagano oltremisura.

venerdì 3 aprile 2009

Elezione del Provinciale

Scrivo brevissimamente per augurare a tutti una Santa Pasqua. Io “sparirò” di nuovo per alcuni giorni, nello stesso villaggio rurale – non eccessivamente distante dal seminario – dove sono stato già durante le feste di Natale. Poi, proprio come a Natale, dovrei andare di nuovo a Pueblo Llano, per fare presenza durante l’assenza dei frati di quella comunità, che hanno organizzato una vacanza in comune. Ritornerei al seminario la seconda domenica di Pasqua.

Approfitto anche per scrivere qualcosa sul Capitolo provinciale che ha concluso la prima parte dei suoi lavori. So che c’erano delle aspettative sulla mia persona, legate anche al desiderio di poter così tornare in Italia. Già sapete che il nuovo Ministro provinciale non sono io, ma fra Michele Pellegrini, al quale faccio i miei migliori auguri. Non è un servizio facile, e ha bisogno di tutto il nostro appoggio umano e spirituale. Sul mio può contare, in nome di una amicizia e stima antiche.
Come ho vissuto la cosa? Tranquillamente, potrei dire. Sono stato occupato in varie cose per “preoccuparmi” di una eventuale elezione. Dire che mai il mio pensiero è andato al Capitolo e a quello che avrebbe potuto significare per me, sarebbe una bugia inumana. Siccome sono umano, ci ho pensato. Ho anche immaginato cosa avrebbe potuto significare per me. Non ho perso il sonno né lo perderò ora. Mi è successo solo una cosa strana, una sensazione normale ritengo.
Il giorno 1 di aprile, tra le ore di scuola e l’impegno in seminario, il pensiero è corso con più frequenza al Capitolo, proiettandomi col pensiero, in modo naturale e in una alternanza di sentimenti, a come sarebbe potuta essere la mia vita da Ministro provinciale. Al risveglio del giorno 2, alle 5 del mattino, mi sono reso subito conto dell’esito della votazione (in caso contrario mi avrebbero svegliato prima). Poi mi è arrivato, alle 6, un sms di fray Yoan da Guanare sull’esito delle votazioni. Per alcuni attimi mi sono dovuto riappropriare della realtà venezuelana. È stato come un lungo flash. Una sensazione strana. Poi mi sono ritrovato a celebrare Messa con i seminaristi, all’aperto, sulla Tau nella piazzetta del seminario; quindi colazione, scuola e... la vita di sempre.
Alcuni mi hanno rimproverato di non essere venuto in Italia, di non essermi “proposto” adeguatamente... Vorrei concludere con una lettera scritta a chi avrebbe voluto che stessi in Italia nei giorni del Capitolo. Tra loro c’era anche fra Giuseppe Piemontese, almeno finché è venuto in visita in Venezuela e ho potuto comunicargli la mia decisione, senza però molte spiegazioni. Che poi sono semplici e, fondamentalmente, le seguenti espresse nella lettera (ometto pochi passaggi fuori tema).

... carissimi!!!
Scusatemi se non vi ho risposto in maniera immediata, come forse erano le vostre aspettative,... forse anche ciò che desidero scrivere mi ha fatto inconsciamente rimandare l’assunto in questione.
Non saprei cosa rispondere esattamente. O meglio, ho ben chiaro cosa voglio e cosa ho già deciso, ma mi costa dirvelo perché immagino potreste non capire o condividere. Proverò a farlo in breve.
La decisione presa è questa: non vengo in Italia per il Capitolo, ma accetto una eventuale decisione capitolare sulla mia persona. E provo a spiegarmi.
Partire per il Venezuela mi è costato molto. Lasciare i miei, i miei confratelli di una vita, il lavoro pastorale. Partivo quasi contando i giorni che mancavano al ritorno. Poi, come spesso o sempre mi accade, ho cominciato a lavorare qui, a condividere relazioni e progetti, ad assumere servizi e responsabilità. Insomma, sento che anche questa è una famiglia per me, quella dei frati e delle altre persone conosciute. E mi costerebbe lasciare tutto dopo poco più di tre anni, né mi sembra giusto verso questa realtà e le persone di qui. Sono un po’ stanco di cambiare radicalmente ogni 4 anni, come mi è successo durante il mandato di Giuseppe. Se dipendesse da me, mi fermerei ancora qualche tempo in Venezuela. Mi pare di lasciare sempre le cose a metà in questi ultimi anni...
Perché non vengo in Italia? Per me le ragioni sono evidentissime, lapalissiane. Che senso ha essere lì quando non ho diritto di partecipare al Capitolo?!? Non ho nessuna intenzione di “candidarmi”. Andrebbe contro quello che sono, ho sempre fatto e creduto, e contro ogni logica francescana. Spero sia una esagerazione quella delle autocandidature. Se fosse vera, sarebbe da preoccuparsi.
Vivendo qui, la mia vita attuale è qui. Non mi è parso giusto farla dipendere – come stavo erroneamente facendo – dal Capitolo provinciale. Certo, non posso ignorare che è importante e che potrebbe avere ripercussioni sulla mia vita futura, ma non potevo bloccarmi in attesa dell’evento. Così ho deciso di vivere i miei impegni e di accettarne almeno fino a Pasqua: due corsi intensivi nell’Istituto Teologico (15 ore settimanali tra italiano ed ebreo), e animazione della Settimana Santa nell’aldea rurale dove sono stato nel periodo natalizio.
Che succederà se doveste eleggermi? Non vedo alternative alla sospensione della elezione del definitorio. E d’altronde, se le regole prevedono che tutto l’Ordine abbia voce passiva in una elezione provinciale, si dovrà prevedere che un eletto che viva in America abbia il tempo di organizzarsi per tornare in Italia.
Probabilmente non è quanto avreste voluto ascoltare; però non riesco a pensare a una decisione migliore di questa, a lungo meditata e confrontata con varie persone. Per il resto, lasciamo fare a Dio, come dicevano, con saggezza e fede, i nostri antichi.
Potrebbe sembrare affettato dirvi che vi voglio un gran bene, ma è la verità. E mi sforzerò di volervene anche se... mi votate!!! Un abbraccio.