giovedì 28 giugno 2007

Eventos...

Uno scorcio di S. Cristobal come appare dalla nostra casa


La Coppa America in Venezuela
Martedì 26 ha avuto inizio la competizione calcistica della “Copa América”, che vede il Venezuela come paese ospitante (“anfitrione” è la parola usata normalmente dai mezzi di comunicazione). Si può paragonare al campionato europeo per squadre nazionali. La cerimonia di inaugurazione e la prima partita del Venezuela (un pareggio scialbo e inatteso con la Bolivia) si sono tenuti nello stadio di S. Cristobal. Breve e incolore la coreografia. Un po’ di fuochi artificiali (più o meno quelli di una festa patronale in Puglia). Insomma, tutto in economia. Il che sarebbe encomiabile se si fosse trattato di una scelta tesa a dare un messaggio di sobrietà e attenzione ad altre realtà più bisognose di investimenti. Invece, e spesso succede con eventi sportivi, si è accentuata la portata politica e pubblicitaria della manifestazione, presentata e pensandota come dimostrazione della bontà di scelte che poco hanno a che vedere con il gioco del calcio. E in un paese (uguale magari a tanti altri) dove le manifestazioni di piazza e la visibilità mediatica sostituiscono dibattiti e coerenza; dove si è investito, nell’ultimo anno e mezzo, varie centinaia di milioni di dollari in armamenti, suona strana la sobrietà della festa e stona la “spilorceria” nella polvere da sparo... di fuochi artificiali!!
Altre impressioni sulla cerimonia. La voce di fondo, a commento dell’evento, mi ricordava quella dei cinegiornali italiani ai tempi che furono, sia per la tonalità che per i contenuti, tesi a esaltare la bellezza e la grandezza della patria, gli sforzi di un popolo... tutto stucchevolmente vecchio... secondo il mio modo di vedere. Ho saputo il giorno dopo di cori sostenuti di dissenso verso il palco delle autorità, malgrado il governo avesse comprato l’80% dei biglietti. Però di essi, per televisione, non si è saputo né sentito niente. Comunque, un uso strumentale di darsi visibilità estera da parte dell’opposizione.
Il presidente in tuta da ginnastica. Immagine popolare. Egli che usa abiti dimessi quando sta in mezzo a gente semplice, o tuta mimetica quando circondato da militari. Un uomo per tutte le stagioni?!? Una immagine per ogni circostanza?!? Un discorso breve, citando al Galeano di “Miseria e nobiltà del gioco del calcio”; quello de “Le vene aperte dell’America Latina” serve per altre circostanze.
Ospite d’onore: Maradona, che, grazie a Dio, si è limitato a sorridere. Mi pare il prezzemolo (qui si direbbe il cilantro) per ogni minestra, anche la riscaldata che, di tanto in tanto, ti presentano perché la trangugi, con la faccia tosta di chi pensa di aver fatto quanto di meglio potesse. Certo, a livello di gioco del calcio non c’è niente da obiettare. Ma, in un paese che dice di voler fare dell’etica un cavallo di battaglia e una priorità, come si presenta un tale personaggio? Non intendo criticare l’uomo, il calciatore; il personaggio e le sue scelte sí. Che messaggio si intende dare a un ragazzo, presentando a Maradona come modello di sport? Vivi nella povertà, nella “calle”, e sniffi quotidianamente colla e violenza?... Impara a tirare calci a un pallone, così potrai vivere nella ricchezza sfrenata e irrispettosa... e tirare di coca!
Mi scuso per questa “cattiveria” istintiva, dell’uomo vecchio evangelico. A volte mi chiedo se il mio è un giudizio “europeo”; ma non mi pare di peccare di parzialità e mi anima solo l’amore per questo paese e questa gente meravigliosa. Per noi l’inaugurazione ha significato una bella serata di festa semplice, con alcuni familiari, mangiando panini, bevendo bibite e brindando con un poco di vino a ogni gol del Venezuela. Meno male si sono fermati a due, altrimenti avremmo vissuto una “borrachera” generale, e chissà cosa mi sarei ricordato dell’evento.

Una canzone per il Juconfra
Sabato scorso, 23 giugno alle ore 20.00, ha avuto luogo nel seminario una curiosa e simpatica gara per una canzone che possa essere l’inno del Juconfra 2007. E io ero uno dei tre giurati deputati a scegliere il vincitore. Il che potrebbe dirla lunga sulla serietà del concorso, penserete certamente voi. Il fatto è che la cosa è stata presa molto sul serio dai ragazzi, che, nei pochi giorni a disposizione (10 più o meno), hanno preparato ben 6 canzoni. Tante, se si pensa che in tutto ci sono 15 seminaristi. Una settima è stata composta dai ragazzi della Jufra (Gioventù Francescana) di Cordero.
Però forse è opportuno spiegare cosa è il Juconfra. Vorrebbe essere il corrispondente venezuelano di “Giovani verso Assisi”, organizzato dai nostri frati. Naturalmente i numeri non sono quelli italiani, ma l’entusiasmo e la voglia di crescere non mancano.
Tornando al concorso, le canzoni non erano male, soprattutto in considerazione del fatto che nessuno conosce musica e che tutto è stato composto “a orecchio”. Le uniche note musicali erano quelle modulate sulle corde vocali, e gli spartiti fogli sparsi e quaderni. Non oso esprimere pensieri e sensazioni, mentre sentivo provare o cantare a squarciagola motivi e parole, a tempo opportuno o importuno (soprattutto il secondo).
Mi sono difeso con una “overdose” di canzoni italiane, di quelle che piacciono a me. Ero piuttosto scettico sulla riuscita dell’iniziativa. Avevo le orecchie piene di note belle per l’udito, e di parole e storie speciali per il cuore. E invece...
È stata perlomeno una bella serata, semplice e riuscita. I venezuelani sono capaci di divertirsi in modo schietto, senza bisogno di cose complesse. Certo, le canzoni presentate, secondo me e i miei gusti, sono improponibili in un confronto con quelle che ancora ronzavano nelle mie orecchie e battevano nel mio stomaco. Però non sono male. Sicuramente molto al di là delle aspettative nate nei giorni precedenti, da quello che avevo ascoltato qua e là.
Io come giurato, al cospetto degli altri due esperti, mi sono sentito “como una cucaracha en baile de gallinas” (come uno scarafaggio in un ballo di galline = un pesce fuor d’acqua). Però, benché “a naso”, le prime tre classificate per me erano le stesse scelte da loro.
Sto terminando di scrivere e mi chiedo perché l’ho fatto e a chi può interessare questa storia minore. Se aspetto motivi e momenti importanti rischio di rimanere in silenzio comunicativo per parecchio tempo. La mia vita è fatta delle piccole cose di un seminario, mondo minore e ristretto, rutinario forse; ma il mio mondo di oggi, nel quale vivo la mia storia, piccola ma mia, e perciò non insignificante. Ci sono persone, storie... e ci sono io con e tra loro.

mercoledì 6 giugno 2007

Fra Fabio in Italia

Mentre sto scrivendo immagino Fabio già all’aeroporto di Fiumicino a Roma, spossato su un sedile per riposare dal viaggio e dai pensieri, o ripercorrendo sempre gli stessi passi, in attesa dell’aereo che lo riporti non in Italia solo, ma in Puglia, a Gravina, in famiglia. Suppongo che già da Maiquetìa sia cominciata la ridda dei sentimenti: ritrovarsi nell’aeroporto di Caracas per il ritorno, molto meno perso dell’arrivo e con persone lasciate qui come al momento dei saluti in Italia, alcuni mesi fa; sprofondato in se stesso durante le ore di aereo verso l’Europa, incontro a un giorno nuovo, annunciato da una notte molto, esageratamente breve; lo sbarco in Italia e la riconquista di spazi e linguaggi comuni fino a poco tempo fa, ma che suonano un po’ più inusuali oggi... Non durerà troppo il resettaggio, giusto il tempo di riassorbire odori, sensazioni e affetti. Poi il Venezuela sarà il ricordo di una stagione, significativa e forte, perlomeno non più lontana ed estranea.

Ecco, già parlo da venezuelano. In verità avrei dovuto trascorrere gli ultimi cinque giorni con Fabio a Caracas e accompagnarlo all’aeroporto. Non l’ho fatto. Sarebbe stata la prima volta veder partire e non partire da Maiquetìa. Rimanere da questa parte. Immagino avrei provato una sensazione molto particolare. La nostalgia per l’Italia, la consapevolezza di sentirmi a casa anche qui, specie ora che ho ricevuto finalmente il visto di transeunte. Mancanza a una promessa fatta a Fabio, che lui scherzosamente mi ha rimproverato, dicendomi che sto diventando un vero venezuelano. Grazie anche per questo complimento. Sarebbe bellissimo non sentirsi stranieri; ma so che è una illusione. Magari però è più una ricchezza, da dare e ricevere.

In una Venezuela dove è acceso il dibattito sulla libertà di espressione (qui Fede avrebbe chiuso i battenti già da un bel po’) e sulla possibilità di un socialismo del XXI secolo, nuovo nell’attuazione e nell’attenzione alla gente (finora però tanto simile a quello del sec. XX, con tutto il vecchiume militar statalista precedente e le intransigenze note), in un mondo che si prepara al prossimo vertice del G8, pare quasi banale parlare di cose tanto personali. È l’universo interiore dell’uomo, la storia che “siamo noi”, che meritano altrettanto rispetto e attenzione, per non sentirsi abbandonati cosmici, sfiancati da eventi che corrono sempre fuori di noi e molto più veloci dei nostri ritmi. È la vicenda di Fabio con noi in Venezuela, e lontano da noi in Italia; ma che rientra nella storia, la mia, in una dimensione personale, importante quanto quella nazionale o patria, specie quando diventa dio stato.

Ma torniamo a Fabio in Italia, dove lo avevo lasciato poche riflessioni e righe fa. Ormai dovrebbe essere già in viaggio verso la Puglia, dove atterrerà tra un’ora circa. Lo attende suo fratello, che lo porterà a Gravina, dove... non lo attende nessuno!! E sì, perché il suo ritorno anticipato è stato tenuto nascosto ai suoi e sarà una sorpresa. Spero solo preparino il terreno con degli indizi, perché l’emozione non sia troppo forte. Poi lo attende... la partita della nazionale contro la Lituania, vero rito comunionale con me in Venezuela. Scherzo. Probabilmente non gli importerà “descuidarla”, lui così calciodipendente, per la gioia di stare con i suoi.

Bene Fabio, conoscendoti sicuramente non ti sentirai a tuo agio per il fatto che ho parlato di te nel mio blog (l’espressione tua sarebbe più colorita e la intuisco, ma non posso riportarla). Semplicemente volevo ringraziarti a nome mio e di tutti coloro che ti hanno conosciuto durante il tuo “stage” venezuelano, sicuro che ci porti nel cuore, anche se probabilmente lo espresserai poco, come è tuo solito. Con affetto.

fray Matteo e tutta la comunità del seminario