domenica 13 maggio 2007

Prima comunione in seminario





So che il titolo di questa notizia potrà suonare un po' strano; in effetti però, oggi, abbiamo celebrato le prime comunioni di un gruppo di niños y niñas.
Forse è necessario spiegare che al seminario francescano sono state fatte da tempo due concessioni da parte del vescovo: poter celebrare la messa della domenica in maniera pubblica, aperta cioè a quanti vogliono prendervi parte; tenere classi di catechismo di prima comunione animate dai frati. Questo fa sì che la celebrazione domenicale della messa, alle ore 9.00, si trasformi in una festa di famiglia. Essendo la cappella piccola, coloro che partecipano al rito in maniera non avventizia sono da noi conosciuti: alcuni sono membri dell'OFS; altri familiari dei seminaristi o dei ragazzi del catechismo.

Oggi, al termine di due anni di preparazione, 29 ragazzi, che componevano due classi catechistiche, hanno vissuto il loro primo incontro intimo con Gesù eucaristia. Con tutto il "contorno" proprio di questi momenti: vestiti ed emozioni particolari; foto; fiori; presenza di tutti i familiari... E a me è toccato presiedere la celebrazione!!! Che bello e coinvolgente aiutare questi ragazzi, che sono stati seduti vicino a noi durante le domeniche degli ultimi due anni e che abbiamo imparato a voler bene come fossero nostri nipoti, a vivere un momento tanto particolare della loro vita cristiana! Che emozione rivivere uno dei momenti più intensi vissuti durante il mio parrocato a Gravina, e in comunione con quanto lì si sta vivendo in queste domeniche di maggio! Si è ricreato quel clima magico che conferisce colore e sentimento alla famiglia ecclesiale.

Magari ora ci si interroga, come in tutte le parrocchie e in tutte le occasioni simili, se siamo stati tanto bravi e credibili da trasmettere, durante questi due anni, a ragazzi e genitori, un vero incontro con Cristo. Se continueremo a vederli la domenica alla messa o se prenderanno il volo. Se potremo ancora amarli ed educarli nella fede, preparandoli a vivere la vita in maniera evangelica. Se avremo la fortuna di essere interrogati, dalla loro presenza e dalle loro domande esistenziali, circa la genuinità e radicalità della nostra testimonianza cristiana.

Qualcuno potrebbe chiedersi se sia corretto vivere simili momenti e impegni fuori della parrocchia. Ce lo stiamo chiedendo anche noi per vedere se cambiare qualcosa il prossimo anno. Potrebbe essere si decida aiutare pastoralmente, sacerdoti formatori e frati formandi, nella parrocchia di appartenenza del seminario o in qualcuna dei dintorni. Ma questa è un'altra storia, come si usa dire. Ora godiamoci quanto Dio ci ha regalato in questi due anni, con la presenza domenicale allegra e familiare dei ragazzi e dei loro parenti, e permesso di vivere oggi attraverso la suddetta messa di prima comunione, con caratteristiche di allegria e familiarità ancora più grandi e forti.

giovedì 10 maggio 2007

Alcuni passi indietro

Panorami di Conchabamba e dintorni






Palmira, 6 maggio 2007

Oggi, prima domenica di maggio, mi costringo seduto al computer, davanti un foglio bianco virtuale, pronto a descrivere alcuni avvenimenti del mese scorso. In verità, non mi è affatto naturale o spontanea tale situazione. Mi è sempre pesato il pensiero di pensare cosa e come scrivere. Se non fosse una immagine abusata, direi che mi sento come davanti a una montagna da scalare, stanco al solo sguardo del cammino per arrivare alla vetta. O forse è semplicemente il senso di inadeguatezza per descrivere con parole un vissuto, gli sguardi, i tuffi del cuore, i sentimenti, i volti, i paesaggi della natura e quelli dell’anima. La paura di tradire l’esperienza, di ridurla o banalizzarla. Magari la fatica e il pudore di narrare il quotidiano che segna la tua storia. Un po’ come queste canzoni di Guccini che sto ascoltando in sottofondo. Che belle...
Poi può succedere che le parole scorrano veloci, magiche, consolatorie. Che si trasformino in musica per la tua mente e, si spera, per gli occhi di chi ti leggerà.
La casa che mi ospitava e la cappella di Conchabamba

Interno della cappella di Conchabamba

Semana Santa en Conchabamba - È passato quasi un mese dalla domenica di Pasqua, che per me ha significato un viaggio di quasi 5 ore, piuttosto scomodo, da Conchabamba a Guanare, visto il caldo e la folla al terminal di Barinas. Infatti, specie dove si va di missione a Natale e Pasqua, le Messe importanti e uniche sono quelle della notte, per cui il giorno proprio della festa si impiega per viaggiare verso i luoghi stabiliti. Anche la gente, che si è recata presso i familiari per trascorrere le feste, ritorna ai propri posti di residenza e lavoro, in un vero e proprio controesodo, perché il 26 dicembre o il lunedì dopo Pasqua non sono festivi. Con tutto ciò che questo può significare a livello di trasporti e “assalti” ai pullman.
Richiede un bel salto emotivo e liturgico, sia per chi scrive che per chi legge, tornare a quanto si è vissuto durante la Settimana Santa e la Pasqua. Potrebbe però essere interessante descrivere una modalità missionaria che i padri e i seminaristi venezuelani (ma anche tanti laici impegnati, soprattutto appartenenti a movimenti ecclesiali) vivono nei giorni della novena di Natale o nella settimana che va dalla Domenica delle Palme a Pasqua.
Si risponde alle richieste di parroci impossibilitati a far fronte alle necessità pastorali dei loro fedeli, in considerazione o della grandezza della parrocchia, se in una città, o della conformità geografica del suo territorio, con un paese centrale sede della chiesa principale, e una costellazione di comunità rurali sparse intorno. Normalmente l’animazione liturgico-pastorale, nei periodi suddetti, è indirizzata verso questa seconda realtà, anche se non si riesce a soddisfare tutte le richieste che pervengono.
L’ultima esperienza in ordine di tempo, quella appunto pasquale, io l’ho vissuta nel villaggio agricolo di Conchabamba, ubicato nella pianura di Socopò, stato Barinas. Paesaggio, caldo e zanzare uguali a Caño Cucharón, dove ero andato fino a Natale scorso. Anche la gente bella, semplice e accogliente come tutte le persone del campo. Desiderosa di Dio e di vita sacramentale, di formazione e attenzione. E poi giovani e bambini, il sapore e la novità di ogni comunità; la sfida ai tuoi schemi e ai tuoi affetti.
Questa volta, a differenza delle altre, sono stato solo, senza cioè essere accompagnato dai seminaristi, perché qui e nei villaggi intorno i laici portano avanti tutta la pastorale, non potendo il sacerdote visitare le tantissime comunità rurali se non una o due volte al mese. Spesso appartengono a movimenti religiosi (Cursillos de cristiandad; Renovación carismática; Legión de María; Catecúmenos...) che nutrono la loro spiritualità e li motivano nel servizio pastorale missionario e nella testimonianza di vita. Indispensabili davanti al proliferare di chiese e sette tra le più varie, che fanno del proselitismo una vera battaglia, giocata spesso con l’inganno più subdolo o ridicolo.
Ho vissuto la settimana da “sacerdote”. Nel senso che mi è stato richiesto semplicemente di confessare, celebrare l’eucaristia e visitare gli ammalati. Con questo orario giornaliero: alzata più o meno alle 7.00; colazione un’ora dopo; alle 9.00 venivano a prendermi per andare in una delle comunità dintorno, dove si giungeva dopo mezz’ora o più su strade sterrate e dove alle 10.00 iniziavo a confessare fino alle 14.00 circa, con un intervallo per celebrare la messa; dopo pranzo mi riportavano a Conchabamba; breve riposo e poi alle 18.00 in cappella, dove mi rimettevo a confessare, prima e dopo la messa delle 19.30; infine la cena non prima delle 21.30.
Le comunità rurali visitate avevano nomi suggestivi: “La Embajada” (l’ambasciata); “El Destierro” (l’esilio); “El Porvenir” (l’avvenire); “El Cinco” (il cinque: numero del settore, che arrivano fino a venti circa). In totale, le comunità rurali facenti capo alla parrocchia “Cristo Rey” di Socopò sono più di trenta. Il municipio di Socopò ha due parrocchie con un sacerdote per ognuna e conta circa 25.000 abitanti nel paese, 100.000 con tutti i villaggi all’intorno anche a distanza di due tre ore di macchina.

L’incontro con gli ammalati è stato bello e sconvolgente. Persone che vivono spesso con molta fede le loro condizioni di salute, anche gravi, unite generalmente a situazioni di precarietà economica. La rabbia mi veniva quando tutti mi dicevano delle difficoltà per curarsi o per accedere alle strutture sanitarie più o meno esistenti. Un signore con emiparalisi non poteva fare nessuna fisioterapia perché non poteva raggiungere l’ambulatorio e perché qui non è prevista nessuna assistenza domiciliare. Naturalmente il medico di famiglia è una figura non contemplata dal sistema sanitario. Inoltre, quì si paga tutto!!! Dall’analgesico per il mal di testa alla chemioterapia; dalla medicina più banale all’ossigeno che ti permette di vivere. Per cui alla disgrazia della malattia si aggiunge la beffa del non potersi curare o la concreta possibilità di rovinarsi per comprare le medicine. In un paese dove l’inflazione galoppa a ritmi vertiginosi perché non si produce e che si mantiene sui tanti, troppi dollari giornalieri che entrano per la vendita di petrolio. Se almeno si investissero seriamente nella sanità, nell’educazione e negli altri bisogni primari. Per un europeo, la povertà così diffusa in Venezuela è uno scandalo e un assurdo. Temo che in questo momento, a dispetto delle sbandierate attenzioni ai poveri, si stiano creando nuove classi di ricchi e borghesi. Forse è ancora troppo presto per giudicare, ma è lecito aspettarsi riforme sociali incisive e rapide, veramente efficaci e trasparenti, dalla classe dirigente e dai governanti attuali.
Comunque, tornando al lavoro pastorale, sono stato davvero bene, nel confronto con persone laiche e impegnate seriamente nel portare avanti le varie comunità cristiane. Inoltre, i frati italiani qui sono molto ben accolti per il ricordo bellissimo che ha lasciato fray Francesco Calderoni durante le sue varie “missioni” in questa porzione di terra e di chiesa del Venezuela.
Posso dire di aver “lavorato” più delle missioni pastorali anteriori, però non mi è pesato affatto. È stato qualcosa di più vicino a quanto vivevo in Italia. Si arriva stanchi alla fine della giornata e della settimana; ma arricchiti notevolmente dall’amicizia e dai ringraziamenti delle persone, e ricompensati oltre misura dalla generosità di Dio.
Guanare – Come detto, arrivo a Guanare il pomeriggio della domenica di Pasqua e, non avendo ancora celebrato, mi lasciano la Messa delle 19.00. Quando mancano 10 minuti all’inizio, mi presento in sacrestia e qui scopro che la celebrazione sarà trasmessa via radio in tutto lo stato Portuguesa e zone limitrofe. Addirittura mi fanno una breve intervista prima di iniziare e concludono con un “Gracias, padre Evelio”, cioè il frate previsto per la celebrazione. Comunque, tutto va bene e vivo una bella Messa pasquale, quasi completamente dimentico che la stanno dando per radio, e perció senza condizionamenti emotivi legati ancora alla lingua.

Il martedì mattina inizia l’incontro dei frati della custodia, che si prolungherà fino a tutto giovedì. Tre giorni intensi, perfettamente divisi tra un primo momento formativo animato dal p. Victor, domenicano, e un secondo di confronto in preparazione al Capitolo custodiale. A detta dei miei confratelli venezuelani è stato un incontro proficuo, che ha evidenziato i progressi nel dialogo e nella comunione fraterna.
Palmira - Altro passo indietro di una settimana, stavolta. Domenica scorsa, 29 aprile, ad alcuni frati seminaristi sono stati conferiti i ministeri di lettorato e accolitato. Tra i nuovi “Lettori” c’era anche fra Fabio Paciello, che sta quasi per concludere la sua esperienza in Venezuela, visto che a giugno torna in Italia. È stato considerato da tutti molto significativo il fatto che abbia deciso di ricevere qui il lettorato, a coronamento di una esperienza bella, interessante e arricchente (credo sia la sintesi del suo giudizio). In verità, Fabio ha vissuto con grande generosità e cristiana disponibilità durante i suoi mesi venezuelani, facendosi apprezzare e voler bene da tutti. Dispiacerà umanamente che vada via. Anche a lui sta pesando emotivamente lasciare amici e situazioni che ha imparato ad amare e che gli sono entrati nel cuore.