mercoledì 16 gennaio 2008

La cédula venezolana


Finalmente ho la mia "cédula" venezuelana!!! Vale a dire che posseggo una carta di identità. Sono passati poco più di due anni da quando sto qui, e ora posso girare per il paese senza portarmi sempre dietro il passaporto. Che è un bel fastidio, sia per la paura di perderlo, sia per il fatto che alle numerose “alcabalas” (posti di blocco) tra lo stato Táchira (dove vivo e confinante con la Colombia...) e il resto del Venezuela mi facevano sempre un sacco di difficoltà, per sincerarsi che non fossi colluso con la mafia colombiana, o forse più prosaicamente per cercare di spillarmi soldi, vedendo il passaporto europeo. La corruzione è uno dei problemi principali qui, a tutti i livelli.
Però ora ho la cédula. E spero mi porti i vantaggi auspicati. È vero che è ben evidente la scritta “extranjero” e che il colore giallo differisce da quello normale; ma è pur sempre un documento dello stato venezuelano, che mi dà diritto di residenza per un anno. Me l’hanno consegnato a Caracas il 9 gennaio u.s.
Ho raggiunto la capitale la mattina di venerdì 4, dopo le canoniche 13 ore di viaggio in pullman, insieme a fray Luis in partenza per la Bolivia, e ci sono rimasto fino a sabato 12. Dal martedì sono rimasto il solo frate nel convento parrocchia di Lídice-Caracas, perché tutti gli altri partecipavano a un ritiro interfrancescano. Con me c’era Darío, un tuttofare di Guanare, molto amico dei frati. Fino a mercoledì c’è stato anche fray Franklin, prima di tornare ai suoi studi in Italia. Non sono mancati brevi momenti di condivisione con i miei cugini di Caracas e le loro famiglie (domenica al club italo venezolano); la conoscenza di Flavio, l’ultimo arrivato in casa di mia cugina; i tradizionali pranzi a casa di mia zia, che vive abbastanza vicino al convento; le passeggiate al centro, di cui una bella e lunga con Franklin.
Interessante e nuova la celebrazione della Messa in un istituto per sordomuti, il giovedì, festa del 53º anniversario di esistenza dello stesso, invitato da una delle suore, Celia. Non posso nascondere un po’ di disagio iniziale. Ma, grazie ai “traduttori”, pare sia andato tutto bene. Davvero non ci sono confini e limiti per “parlare” con Dio e cantare a Lui! Parlavano e cantavano i corpi, mentre le nostre voci si integravano in maniera differente e complementare, bisognosi del linguaggio dei gesti noi, appoggiati dalle nostre voci loro. L’intero “corpo” ecclesiale comunicava con Dio.
Bella e nuova anche la presenza in parrocchia, almeno rispetto alle volte passate. Bene, il tutto si è limitato alla celebrazione quotidiana della Messa, con omelia. Però mi ha permesso di avvicinarmi ai parrocchiani in maniera diversa. Si è approfondita la conoscenza reciproca e so che ora mi sentirò ancora più a casa quando mi capiterà (e ci saranno occasioni) di recarmi a Caracas.
Domenica sera ero di nuovo in seminario, dopo una sosta di un giorno (dal pomeriggio di sabato a quello del giorno successivo) a Guanare, per aiutare nelle celebrazioni domenicali. Mi piace vivere momenti celebrativi con il popolo di Dio, fuori dell’ambiente seminario, almeno la domenica, qualora mi si presenti l’occasione. Mi riempie molto e mi fa sentire partecipe di qualcosa vissuto da tutto un popolo, al quale contribuisco con il mio servizio sacerdotale, nato dentro una comunità ecclesiale e che ha significato solo se a servizio di questa. Non ci sto male se non ne ho la possibilità; gioisco quando posso mettere a disposizione di un parroco o una comunità il mio essere sacerdote.

Interno della nostra nuova parrocchia a Barinas,
dove sono stato per Natale

mercoledì 9 gennaio 2008

Natale 2007 a Barinas

“Poi arriva l’epifania che tutte le feste si porta via”... È l’adagio che ci hanno insegnato da piccoli. Il dissolversi delle festività natalizie l’ho vissuto questa volta a Caracas, dove mi trovo per risolvere alcuni piccoli problemi legati al visto e alla carta di identità. In verità è stato un periodo di “spostamenti” (per favore che non si legga “turismo”, perché oltre i conventi non ho visitato niente): Novena e Natale a Barinas; capodanno in seminario; Epifania a Caracas. Ma andiamo con ordine.

Barinas (15 – 25 dicembre) – Come annunciato nell’ultimo aggiornamento del blog, durante la novena di Natale sono stato nella nostra nuova parrocchia di Barinas, città di circa 1.200.000 abitanti, per aiutare i frati nella pastorale “navideña”. Per la prima volta, da quando sono in Venezuela, mi è capitato di vivere i giorni di preparazione al Natale e la celebrazione dello stesso in una città, mentre le altre due volte sono stato nel villaggio agricolo di Caño Cucharón. Mi è toccato celebrare le Messe della novena nella cappella “S. Francisco de Asís”. La parrocchia infatti ha varie zone pastorali, riunite intorno a cappelle, e abbraccia un territorio molto vasto. I frati mi dicevano che, secondo il vescovo, in questo territorio potrebbero starci bene 6-7 parrocchie.
La mia giornata tipo era la seguente: sveglia alle 05.15; confessioni alle 06.00 nella chiesa parrocchiale, durante la celebrazione dell’Eucaristia; lodi e ufficio delle letture alle 07.15; vita normale fino alle 18.00, quando mi recavo alla cappella per confessare e celebrare Messa; per ritornare in convento alle 20.30. Uniche eccezioni: una mattinata dedicata alla visita e confessione degli ammalati nel territorio della cappella; un’altra alle confessioni dei fedeli di Vega de los Indios, un villaggio rurale animato da due nostri seminaristi e un signore dell’OFS, a 2 ore di distanza. Come si può dedurre, niente a che vedere con il ritmo serrato delle celebrazioni italiane, almeno a Copertino e Gravina.
La Messa della vigilia, quella di mezzanotte per intenderci, si celebra al massimo alle nove di sera per motivi di sicurezza. E anche per evitare danni provocati dall’alcool. Infatti, la sera e notte del 24 si trasforma in una grossa festa familiare o tra amici, occasione privilegiata per alzare il gomito.
Il giorno 25, poi, assomiglia molto alla nostra pasquetta, con gite fuori porta, condite di carne arrostita e fiumi di birra. In pratica non ci sono celebrazioni. Al massimo si colloca una Messa alla sera, per quei pochi che vogliono parteciparvi, quasi più per scrupolo che per convinzione o necessità pastorale.

Quali particolarità ha la novena di Natale rispetto all’Italia?
Anzitutto l’importanza data alla celebrazione della Messa (le cosiddette “Misas de aguinaldos”), che tradizionalmente si celebrano la mattina presto, tra le 5 e le 6, e che terminano sempre con un “compartir” qualcosa: empanadas, café con leche, pasteles... Poi i canti propri del periodo, gli “aguinaldos”, accompagnati da strumenti tipici, di gran ritmo: cuatro (=una piccola chitarra a 4 corde), mandolina, tambores, forruco... immancabile battito di mani.
Qualcosa anche sui piatti natalizi. In nessuna casa mancano le “hallacas”, che si preparano con un vero e proprio rituale familiare. Consistono in un impasto di farina di mais, carne, uva passa, capperi e olive, il tutto avvolto e cotto in foglie di banano. Pare fosse il piatto dei poveri e degli schiavi, oggi lo mangiano tutti con gran attesa e gusto. Quasi mai manca il “pan de jamón”: una specie di filone di pane avvoltolato internamente di prosciutto, uva passa, capperi e olive (come sopra). La vigilia di Natale a cena è presente anche la carne: tacchino ripieno e/o “pernil” (coscia di maiale o di vitello) in salsa.
Cosa posso aggiungere sull’esperienza di quest’anno? Come ho scritto sopra, il lavoro pastorale non è stato oneroso e la partecipazione della gente non eccessiva. Credo che la città venezuelana e il Venezuela in genere necessitino di una grande opera evangelizzatrice, così come l’Europa e forse il mondo intero. I cristiani praticanti sono un numero sempre più esiguo e cullarsi sulla religiosità dei popoli latinoamericani significherebbe non leggere i segni e le avvertenze dei tempi, col rischio non tanto di perdere adepti, quanto di far mancare le parole di vita del vangelo all’uomo di oggi, a qualsiasi latitudine si trovi. Anche qui, purtroppo...