domenica 23 gennaio 2022

Teofilo (Lc. 1, 1-4)

 Il Vangelo da dentro

Mi chiamo Teofilo. Nome che significa “amico di Dio”, nella doppia accezione, soggettiva e oggettiva, del complemento di specificazione: Dio che mi considera suo amico, e io che mi sforzo di esserlo. Sono proprio quel Teofilo a cui Luca ha dedicato le sue due opere: il Vangelo e gli Atti degli Apostoli.

So che alcuni pensano a una finzione letteraria dell’autore. Un nome fittizio, un personaggio inventato, per indicare che si diventa e si è davvero amici di Dio nella misura in cui si conosce Gesù attraverso il Vangelo, si conforma a Lui tutta la propria vita, e ci si sforza di testimoniare e diffondere il suo messaggio di salvezza, in comunione con tutta la Chiesa, così come hanno fatto gli Apostoli e viene narrato negli Atti.

Il fatto è che io esisto per davvero. Sono amico di Dio, ma anche di Luca. Condividiamo la stessa comunità, formata da gente di cultura greca convertitasi al cristianesimo. E queste due opere sono nate dal bisogno di conservare memoria dell’annuncio cristiano e della missione della Chiesa, visto che i testimoni oculari andavano via via scomparendo, per morte naturale o per aver subìto il martirio. L’annuncio poi esisteva per lo più in forma orale, salvo alcune raccolte scritte in ordine sparso. Occorreva mettere per iscritto tutto quanto, magari in modo ordinato, perché rimanesse a perpetua memoria e si potesse sempre attingere a questa fonte di grazia e di salvezza.

Un lavoro, in verità, già portato a termine, con grande gioia e profitto spirituale per le loro rispettive comunità, da Matteo, per ebrei convertitisi al cristianesimo, e da Marco, per cristiani di cultura latina. Così ci è sembrato opportuno che un lavoro simile lo facessimo anche noi per la nostra comunità di lingua e cultura greca. In questo modo avremmo abbracciato i cristiani di tutte le provenienze culturali, e il messaggio di Gesù avrebbe assunto una dimensione direi universale.

Senza alcun problema, anzi con entusiasmo, tutti hanno accettato la mia proposta di incaricare Luca della redazione dell’opera, sia per la sua nota preparazione culturale, che per le indiscusse qualità letterarie e oratorie. Possiede inoltre uno spiccato senso artistico, dilettandosi con successo nella pittura. Ed essendo medico, non gli manca di certo la capacità critica di analizzare le tradizioni orali e scritte, già numerose, e di gettarsi in ulteriori indagini, al fine di arricchire il “nostro” vangelo con eventuale materiale inedito. Questo per poter conoscere ancora di più Gesù e innamorarci maggiormente di Lui; per rafforzare la nostra fede; e infine renderci conto della solidità degli insegnamenti ricevuti.

Una fiducia che è stata oltremodo ripagata. Aver scelto lui è stata una vera e propria ispirazione dello Spirito. Spinto dalla sua “curiosità scientifica”, Luca non si è accontentato di riportare quanto già esisteva nei due Vangeli succitati, ma, da vero autore, ha spulciato tra le tradizioni della nostra comunità, scovandone alcune molto particolari e proprie. Altro materiale lo ha trovato visitando varie comunità cristiane.

Si sono così potute conservare e tramandare bellissime pagine che altrimenti sarebbero forse rimaste sconosciute: le parabole del buon samaritano, del figliol prodigo, dell’amministratore infedele, ecc.; l’episodio di Zaccheo, e altro ancora. La stessa figura di Gesù è caratterizzata da un infaticabile e incessante sentimento di misericordia. È un vangelo che ispira tenerezza, desiderio di bene e necessità di perdono, guardando alla bontà di Gesù, alla sua accoglienza verso i peccatori, e alla sua attenzione verso ogni categoria di poveri e bisognosi. Luca mette anche in maggiore risalto, rispetto a Marco e Matteo, la gioia cristiana, che scaturisce dalla fede nella presenza viva di Cristo, “Dio con noi”; e l’importanza della preghiera, sull’esempio di Gesù in dialogo continuo col Padre.    

Nella sua ricerca, inoltre, si è voluto spingere fino ad Efeso per parlare con Maria, la madre di Gesù. Da questo ultimo incontro sono scaturiti i primi due capitoli del Vangelo, che narrano della nascita e infanzia di Gesù, e alcune delle frasi pronunciate da suo figlio in croce, oltre il grido riportato nei due vangeli già esistenti. Conosciamo così le parole di misericordia e di perdono verso coloro che lo stavano crocifiggendo, il dialogo con uno dei due ladroni crocifissi con Lui, il suo affidarsi finale al Padre dei cieli.

Ne è venuta fuori una narrazione che ha entusiasmato tutta la comunità. La lettura del Vangelo scritto dal nostro Luca ha aiutato noi, e sono sicuro aiuterà ogni lettore futuro, a sentirsi “amico di Dio”, amato profondamente da Lui nel Figlio Gesù, e a voler ricercare la non facile, ma sicura felicità, promessa da Gesù a chi si sforza di vivere da “amico di Dio”.

fra Matteo

 

domenica 16 gennaio 2022

Dal panico alla festa (Gv. 2, 1-12)

 Il Vangelo da dentro

Incredulità. Sbigottimento. Panico. I termini che i nostri genitori usano quando ci raccontano di quel giorno speciale delle loro nozze. Cambia a volte l’ordine dei termini (oggi usereste quei simpatici ed espressivi emoticon per ognuna di queste espressioni), ma non i sentimenti che hanno provato quando il maestro di tavola, ossia l’incaricato dell’organizzazione della festa, si è avvicinato e ha sibilato ai loro orecchi che il vino si era esaurito.

Ancora oggi non si spiegano come fosse potuto succedere. Eppure non avevano lesinato sui soldi quando si era trattato di progettare e organizzare il tutto. Anzi, erano praticamente rimasti al verde. Volevano che quel giorno fosse indimenticabile, il giusto coronamento della loro storia d’amore e del loro tempo di fidanzamento. E il vino doveva essere abbondante, come la loro gioia, a supporto della festa di tutti.

Cosa fare?!? Non era solo questione di soldi, benché questi fossero indispensabili. Dove trovare tanto vino per tutta quella gente, quando alla fine dei festeggiamenti previsti mancava ancora del tempo e le cantine del paese non avevano tanta disponibilità?!? Si guardavano tra di loro, persi in occhi prossimi a lacrime di sconcerto, rabbia e delusione. Poi volgevano lo sguardo agli invitati, ignari del loro personale dramma, presi invece dalla festa nuziale, tra canti, danze e goliardie. Cosa avrebbero potuto dire? Come giustificare l’accaduto?

Mentre si stava consumando quel dramma familiare, è arrivato di corsa un servitore, con una brocca piena di… qualcosa, forse vino, ma preso da non si sa dove. Appena il direttore del banchetto ebbe assaggiato, scoppiò a ridere, pensando a uno scherzo da parte degli sposi, e si lanciò in un elogio per la bontà di questo nettare d’uva, di gran lunga migliore di quello servito fino ad allora. La festa poteva continuare, con ancora maggiore allegria.

Perplessità. Meraviglia. Stupore. I nostri genitori erano ignari di tutto. Non sapevano cosa fosse successo e chiesero spiegazioni ai servitori. Essi riferirono loro i fatti. Venuto effettivamente a mancare il vino, non sapevano cosa fare. A quel punto Maria, parente arrivata dalla vicina Nazareth e madre di Gesù, invitato anche lui insieme ai suoi discepoli, che lo consideravano un Rabbì, anche se non aveva i “titoli” per esserlo (aveva da un po’ lasciato il suo lavoro e la sua bottega per iniziare a predicare in tutta la Galilea), si è accorta del problema, probabilmente favorita dal fatto che il gruppo, pur essendo arrivati tra i primi, aveva scelto di occupare gli ultimi posti, quelli vicini alle cucine. Consultatasi con suo figlio, li avevano sentiti parlare di una certa “ora”, se fosse arrivata o meno. In seguito lei, con voce decisa e dolce a un tempo, aveva invitato i servitori a fare tutto ciò che suo figlio avesse loro indicato. Gesù comandò, con autorità e tenerezza insieme, di riempire di acqua, fino all’orlo, le sei anfore per le abluzioni (circa 600 litri!!), di attingere una brocca e portarne al maestro di tavola. Pur consapevoli dell’assurdo di entrambe le richieste, non avevano potuto fare a meno di obbedire; una forza interiore li aveva spinti ad avere fiducia in quelle due persone. Il resto era davanti a loro.

Naturalmente la festa poté continuare. Gli invitati non si erano resi conto di nulla. I nostri genitori, con gli occhi pieni di lacrime per la gioia e la gratitudine, pur in mezzo a quella allegra baldoria, riuscirono a scorgere il sorriso di compiacenza di Maria e Gesù. Da allora non hanno più dimenticato quei visi. E quella esperienza, quel miracolo frutto dell’intervento di Gesù e Maria, e della fiducia in loro dei servitori, ha segnato per sempre la loro vita.

Spesso ritornano con la memoria a quel giorno e a quei fatti. E non si stancano di raccontarceli. Quando poi si affaccia qualche sofferenza o difficoltà, oppure cala qualche ombra di stanchezza e aridità sul loro amore, ricorrono a un metodo molto proprio per uscirne fuori: riempiono due bicchieri di acqua fino all’orlo, fanno memoria di quel giorno, ripensano ai volti di Gesù e Maria, e brindano, guardandosi negli occhi, come allora. E si ripete il miracolo. Insieme a una commozione per lo più piena di lacrime, recuperano la gratitudine a Dio, ravvivano l’amore e la gioia, rinvigoriscono la complicità e la solidarietà.

Noi figli non ci stanchiamo mai di ascoltare quel racconto così importante, fondamentale per la loro vita. Ci basta vederli riempire di acqua i bicchieri, per essere invasi e contagiati da un rinnovato entusiasmo, che, sappiamo già, avvolgerà tutta la famiglia. È ormai una certezza, frutto di ripetute esperienze.

I miei hanno rivisto Gesù solo una volta, prima che lo giudicassero come un malfattore e lo mettessero a morte su una croce. È successo poco tempo dopo questi fatti, quando è passato da Cana e ha guarito il figlio di un funzionario del re. Ma i suoi discepoli attestano che egli è risorto, che è figlio di Dio e che è vivo, sempre presente tra noi. Una presenza che rinnova la pace e la gioia nei cuori di chi ci crede e la accoglie. Proprio come quel giorno a Cana.

                                                                                                                                fra Matteo

domenica 9 gennaio 2022

È Lui! (Lc. 3, 15-22)

Il Vangelo da dentro


Un brivido, appena ho scorto la sua figura in mezzo alla folla dei peccatori in attesa di immergersi nel Giordano. Il cuore è balzato in gola per l’emozione. Un salto, come il sussulto di gioia la prima volta che ci siamo incontrati. Sentiti allora, più che visti. Lui nel grembo di sua madre, io in quello della mia.

Dopo ci sono state poche altre possibilità di incontro. Alcune volte, in occasione delle feste di pellegrinaggio alla vicina Gerusalemme, quando lui e i suoi sono passati da casa nostra, provenienti dal loro lontano villaggio di Nazareth. Ma da parecchio tempo ci eravamo persi di vista. Io chiamato a una vocazione eremitica e profetica nel deserto di Giuda; lui impegnato nel lavoro di falegname insieme a suo padre, e intento a portare avanti la bottega dopo la morte di Giuseppe.

Non avrei lontanamente immaginato che la sua vista potesse farmi un simile effetto, uguale a quel ricordo ormai perso nel tempo, nascosto nel grembo e nella memoria delle nostre madri. Ho avuto, subito, la netta sensazione che fosse lui l’Atteso. Lo Spirito di Dio me lo ha sussurrato, gridato dentro. I cieli aperti e la voce sono solo serviti a confermare ciò che già avevo intuito, già avevo scoperto, già sapevo.

Poi si è immerso nel Giordano, come tutti, con tutti. Agnello che prende su di sé il peccato del mondo. Gesù, novello Giosuè, che attraverso le acque del Giordano introduce gli uomini alla terra promessa, all’amore e alla comunione con il Padre. La sua presenza ha santificato quelle acque, quelle persone. Pieno di gioia e di Spirito ho capito di aver esaurito il mio compito di profeta precursore dell’Atteso; era giunto per me il tempo anelato di passare ad essere discepolo del Messia e testimone della sua Presenza.

Ora, immerso in questa cella buia e umida, mi chiedo a volte se non ho preso un abbaglio, o se non ho capito del tutto il messaggio di Dio. Gesù è così diverso da me, dalle mie attese e aspettative. Eppure mi riferiscono ciò che dice e fa, e ne rimango affascinato e perplesso a un tempo. Perplesso e affascinato. Come succede a Erode Antipa quando mi chiama per dialogare.

Voglio umilmente accettare che i pensieri di Dio non sono i nostri, e le sue vie sono differenti dalle nostre. Sento dentro di me che Gesù è Altro, è tanto di più. L’Atteso. E questa cella è diventata il mio tempio, luogo di dialoghi di amore con il mio Signore. In essa, nella mia storia mi sento “immerso”, come un tempo aiutavo la gente a immergersi nelle acque del Giordano. Il cielo si apre per me e ascolto la voce del Padre che ripete a me e per me: “Tu sei mio figlio, figlio mio!! Tu sei l’amato. Amato da me in modo unico”, e rinasco rinnovato nella fede e nella speranza.

Mi hanno riferito che Erodiade vorrebbe la mia testa tagliata, per non darle più fastidio con le mie affermazioni. Ebbene, se devo perdere la testa, sarà per aver testimoniato colui che ormai è per me via, verità e vita, e non per averla smarrita dietro cammini fuorvianti, falsità e non senso.

 fra Matteo

 

giovedì 6 gennaio 2022

Cammino a casa (Mt. 2, 1-12)

 Il Vangelo da dentro

Casa, finalmente!! Ci sono arrivato, non per il cammino solito, quello conosciuto. Un angelo ha detto a me e ai miei amici di tornarci per un’altra strada, di evitare la rabbia di Erode. Abbiamo forse salvato così le nostre vite.

Non è stato facile battere sentieri nuovi, cambiare panorami. Non c’era più la stella a guidare i nostri passi. Siamo stati sostenuti e condotti dal ricordo di quell’incontro a Betlemme, di quel bambino dalla cui tenerezza siamo stati avvolti, di sua madre che amorevolmente ce lo ha messo nelle braccia, di suo padre sereno, sorridente e accogliente. Il sogno dell’angelo ci ha salvati da una probabile morte fisica. Questa famiglia sicuramente ci ha sottratti dalla morte di una vita senza senso o non piena. Un incontro che ci ha resi immensamente più ricchi, dopo aver deposto ai piedi del bambino le nostre improbabili ricchezze. Un incontro che ha cambiato le nostre prospettive e visioni.

Ero partito, insieme ai miei due amici, dopo aver visto il segno della stella nel cielo. Noi, abituati a percorrere i sentieri degli astri con gli occhi, gli strumenti e la nostra intelligenza, stando fermi nei nostri punti di osservazione, ci siamo dovuti mettere in cammino. Lo sguardo sempre rivolto alla stella, ma ormai nel flusso di una umanità nomade lungo le vie dell’impero romano. Mercanti, schiavi, pastori, migranti, tribù itineranti: lungo le vie del commercio una umanità sconosciuta, mai o poco incontrata prima. Esperienza completamente nuova per noi. Piacevolmente obbligati a passare da uno sguardo astratto – quello rivolto agli “astri” – sulla vita, al coinvolgimento nelle storie e nei volti incrociati lungo la strada. Non più e non tanto scrutatori di congiunzioni astrali, ma piegati su realtà vive e persone concrete. Discepoli di una sapienza non imparata solo sui libri, ma a contatto con la vita e i suoi innumerevoli sapori. Penso adesso che l’incontro con tanta umanità sia stata la necessaria e indispensabile preparazione per quello con il Dio fatto Uomo.  

Poi Damasco, città di snodo, metropoli di popoli, culture e condizioni sociali differenti. Di là a Gerusalemme, città invece omogenea, a quel tempo poco interessata a leggere i segni del tempo e a farsi coinvolgere dalle loro Scritture. Pochi chilometri ancora ed ecco Betlemme. Il resto è noto. Una famiglia e il loro bambino. La stella ha lasciato il posto a quell’umile dimora. Per entrarvi siamo dovuti scendere dalle nostre superbe cavalcature. Prostrati abbiamo adorato quel bambino e quella scena familiare. In verità, prostrarsi era anche l’unico modo per incontrare gli occhi del bambino e farci abbracciare da lui. Esperienza di luce e di calore umano impossibili da spiegare. Scomparsa la stella, tutto là dentro brillava di una intensità mai provata prima, e che ancora mi accompagna.

Ora la mia casa la vivo in modo completamente differente. Vi è più serenità e gioia. Anche la mia “professione” non mi astrae dagli affetti e dalle relazioni umane. Quel cammino e quell’incontro mi hanno cambiato la vita. O, chissà, me l’hanno fatta semplicemente ritrovare.