Un
brivido, appena ho scorto la sua figura in mezzo alla folla dei peccatori in
attesa di immergersi nel Giordano. Il cuore è balzato in gola per l’emozione.
Un salto, come il sussulto di gioia la prima volta che ci siamo incontrati. Sentiti
allora, più che visti. Lui nel grembo di sua madre, io in quello della mia.
Dopo
ci sono state poche altre possibilità di incontro. Alcune volte, in occasione
delle feste di pellegrinaggio alla vicina Gerusalemme, quando lui e i suoi sono
passati da casa nostra, provenienti dal loro lontano villaggio di Nazareth. Ma
da parecchio tempo ci eravamo persi di vista. Io chiamato a una vocazione
eremitica e profetica nel deserto di Giuda; lui impegnato nel lavoro di
falegname insieme a suo padre, e intento a portare avanti la bottega dopo la
morte di Giuseppe.
Non
avrei lontanamente immaginato che la sua vista potesse farmi un simile effetto,
uguale a quel ricordo ormai perso nel tempo, nascosto nel grembo e nella
memoria delle nostre madri. Ho avuto, subito, la netta sensazione che fosse lui
l’Atteso. Lo Spirito di Dio me lo ha sussurrato, gridato dentro. I cieli aperti
e la voce sono solo serviti a confermare ciò che già avevo intuito, già avevo
scoperto, già sapevo.
Poi
si è immerso nel Giordano, come tutti, con tutti. Agnello che prende su di sé
il peccato del mondo. Gesù, novello Giosuè, che attraverso le acque del
Giordano introduce gli uomini alla terra promessa, all’amore e alla comunione
con il Padre. La sua presenza ha santificato quelle acque, quelle persone.
Pieno di gioia e di Spirito ho capito di aver esaurito il mio compito di
profeta precursore dell’Atteso; era giunto per me il tempo anelato di passare
ad essere discepolo del Messia e testimone della sua Presenza.
Ora,
immerso in questa cella buia e umida, mi chiedo a volte se non ho preso un
abbaglio, o se non ho capito del tutto il messaggio di Dio. Gesù è così diverso
da me, dalle mie attese e aspettative. Eppure mi riferiscono ciò che dice e fa,
e ne rimango affascinato e perplesso a un tempo. Perplesso e affascinato. Come
succede a Erode Antipa quando mi chiama per dialogare.
Voglio
umilmente accettare che i pensieri di Dio non sono i nostri, e le sue vie sono
differenti dalle nostre. Sento dentro di me che Gesù è Altro, è tanto di più.
L’Atteso. E questa cella è diventata il mio tempio, luogo di dialoghi di amore
con il mio Signore. In essa, nella mia storia mi sento “immerso”, come un tempo
aiutavo la gente a immergersi nelle acque del Giordano. Il cielo si apre per me
e ascolto la voce del Padre che ripete a me e per me: “Tu sei mio figlio,
figlio mio!! Tu sei l’amato. Amato da me in modo unico”, e rinasco rinnovato
nella fede e nella speranza.
Mi
hanno riferito che Erodiade vorrebbe la mia testa tagliata, per non darle più
fastidio con le mie affermazioni. Ebbene, se devo perdere la testa, sarà per
aver testimoniato colui che ormai è per me via, verità e vita, e non per averla
smarrita dietro cammini fuorvianti, falsità e non senso.
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