giovedì 21 maggio 2009

Nostalgia canaglia

Un anno e mezzo fa circa scrivevo, contento di aver conseguito la carta di identità venezuelana. Il che mi favoriva, come ho potuto constatare dopo, ai controlli nei frequenti posti di blocco del paese. Mi pareva anche il suggello a un sentirmi sempre più inserito in questa realtà. Mi mancava però ancora un documento, per poter stare del tutto tranquillo specie negli spostamenti in macchina, quando mi toccava guidare (e ultimamente ho dovuto percorrere tragitti lunghi): la patente. Non la chiedono quasi mai, e per quello ho potuto sempre guidare senza problemi; interessano di più i documenti di identità, come la carta e il passaporto, specie se si vive in zona di frontiera come il Táchira. Però potrebbero chiederla, la patente, specie in caso di incidente, e se non ce l’hai sono problemi. Così ora ce l’ho, addirittura di 4º livello: posso guidare addirittura piccoli camion, i cosiddetti “350”.
Parrebbe la quadratura del cerchio. Però, mi sono accorto che una certa nostalgia è sempre in agguato, canaglia, appena trova un varco per cui entrare. Magari non in modo lacerante, tuttavia è lì, e si ripresenta in varie forme, rendendo vero e sempre attuale quanto ho scritto e continuo a dire: qui sto bene, ma non posso dire che esperienze e persone e luoghi di Italia non mi manchino, a volte. Specie quando succede qualcosa – niente di particolare, quasi sempre banale – che fa affiorare il ricordo, nostalgico e grato, per il vissuto, e per Dio che ti ha donato vivere.

In questi ultimi due mesi, per esempio, il fatto di stare in realtà pastorali non seminaristiche, di poter condividere la realtà della gente, del campo e della città, mi ha fatto venire in mente i 18 anni tra Copertino e Gravina, nella pastorale “attiva”, e le tante persone con cui Dio ha arricchito il mio cammino. Forse quello che vivo ora è più gratuito; la pastorale “fuori” è più impegnativa nell’orario, ma certamente più gratificante, e forse anche per questo ne sento la mancanza di tanto in tanto.

Ieri, invece, dopo cena mi sono concesso un po’ di televisione (20.00-21.30 circa), sintonizzandomi su Rai International. Passavano un film ambientato in Puglia (nei titoli di coda ho potuto leggere Ostuni e Nardò), con Lino Banfi e altri attori, tutti con accento tipicamente barese. Niente di particolare nella trama; però la bellezza degli ambienti, la lingua e le danze dalle sonorità conosciute, la luce estiva dei paesaggi, mi hanno catturato e commosso, finché la campanella che annunciava Compieta mi ha richiamato al reale e all’oggi. Non la nostalgia lacerante, appunto, che non ti permette vivere e apprezzare quanto ti circonda; bensì la malinconia struggente dell’emigrante. Verrebbe facile applicarlo ai tanti migranti dei quali si discute in questi giorni in Italia, dimenticando che non sono oggetti ma persone, interiorità e sentimenti rivestiti di carne e necessità, storie e geografie “aggredite” da interne nostalgie ed esterni “respingimenti” di vario tipo.
Infine, ieri a mezzogiorno mi hanno annunciato di un signore, sui cinquanta, desideroso di confessarsi. Essendo l’unico sacerdote presente è toccato a me. E questi, mai visto prima, mi racconta della sua conversione recente. Ha in mano una rivista di Medjugorie, che dice averlo colpito molto. E mi parla della sua devozione a S. Michele e del gran desiderio, per aver letto in un articolo su questo, di recarsi alla magnifica “gruta de S. Miguel” nel sud Italia, per sperimentare la potenza e la vicinanza dell’arcangelo. Ha due amici italiani che gli hanno promesso andranno a pregare per lui nella Grotta. Immaginatevi la mia sorpresa a sentirlo, e la sua quando gli dico che sono di Monte Sant’Angelo, il “pueblo” dove di trova la Grotta. Gli prometto che pregherò per lui quando vado in vacanza. E qui una nuova consapevolezza: l’attaccamento a questo monte, poco apprezzato durante gli anni di vita lì, riscoperto dopo che ho dovuto lasciarlo. È certo che la lontananza spazio temporale falsa un poco la realtà, addolcendone il ricordo; però è strano come sempre, avvicinandomi al Gargano e a Monte, la memoria si tuffi nel cuore e viceversa. Non ho mai avuto difficoltà a sentirmi cittadino del mondo e ad abitare la geografia fisica e relazionale del momento; ma i tornanti verso Monte, nei miei arrivi, li ho sempre vissuti in silenzio; attanagliato dai contorni del paesaggio e dalla trasmissione di sensazioni occhio-stomaco; in un’ascesa verso parti profonde dell’essere e della memoria. Un pellegrinaggio insomma, al sacro monte, e alla sacralità della interiorità personale, ancora non del tutto esplorata e tante volte tradita; all’ancestro della vita-dono di Dio, anche se non luogo esclusivo dello sviluppo del dono nella storia, la mia. Se Dio è la roccia, Monte ne è per me l’espressione concreta, plastica. E la Grotta di S. Michele si rivela l’ombelico del mondo, dove scendi per nutrirti di abisso e ritrovarti.

giovedì 7 maggio 2009

Pasqua 2009

Nell’ultimo post sul blog avevo preannunciato la mia “sparizione” per un determinato periodo, però nemmeno io pensavo che questo potesse durare così tanto. Come detto, sono stato a vivere la Settimana Santa a Venegara, il villaggio rurale dove ero già stato a Natale. In verità, ho iniziato dal venerdì prima delle Palme, perchè sono molto devoti a la “Virgen de los dolores”: una preparazione mariana alla passione di Cristo, sostituita nel calendario liturgico dalla festa dell’Addolorata, di cui è un doppione.
Sono stato bene. La gente si è affezionata a me e io a loro. Ho lavorato abbastanza, aiutando il parrocco nell’animazione liturgica (confessioni e celebrazioni) di altre zone della parrocchia. Un giorno sono stato a visitare gli infermi e celebrare Messa e confessioni nell’altro villaggio di Babuquena, a circa un’ora di macchina. Sono venuti a prendermi due animatori cristiani “matti”: Guillermo (tra 60 e 70 anni) e don Lino (credo più di 70). Nella camioneta di quest’ultimo siamo andati a “scovare” infermi in posti inimmaginabili. Molti di loro avevano tre anni senza vedere un sacerdote, non per pigrizia di questi ultimi, ma proprio per la impossibilità di arrivare a tutti e dappertutto. In alcune case sul costone del monte ci si arrivava solo a piedi o inserendo la 4x4 alle ruote del pick up.
Da dopo Pasqua sto vivendo un periodo di molto movimento. Praticamente dalla domenica delle palme non ho trascorso un fine settimana in seminario. Per aiutare i frati nelle attività pastorali o permettere loro di vivere un periodo di vacanza sono stato rispettivamente a Pueblo Llano, Guanare, Barinas, Venegara (per mantenere un legame con la gente e per “questuare” verdura per il seminario), e di nuovo Barinas, da dove sto scrivendo queste righe. Dovute, per ringraziare quanti mi hanno mandato gli auguri di Pasqua o pregano per me. Lo faccio allegando alcuni degli auguri ricevuti, che mi sono sembrati un po’ più originali. Un motivo per riflettere ancora sulla Pasqua e la sua importanza nella nostra vita.

S. Pasqua 2009
Una Pasqua
Tra le macerie e la sofferenza
La perdita e la speranza
La solidarietà e lo sciacallaggio
La partecipazione autentica e la strumentalizzazione politica e giornalistica
Le promesse elettorali, i conti con la crisi e la mancata occasione di dirottare in Abruzzo 400 milioni di euro di costi prodotti dall’election day

Una Pasqua
tra le macerie di una società sempre più disgregata da individualismi e amare solitudini e il desiderio nostalgico di rivivere forme di partecipazione collettiva e democratica che sembrano ormai appartenere al passato

Una Pasqua
tra la sconsolata consapevolezza di sentirsi troppo piccoli per “cambiare il mondo” e la speranza che ciascuno debba fare la sua parte e che forse, per magia, le parti sommate possano produrre cambiamenti radicali della nostra società

Una Pasqua
tra le silenziose indignazioni dinanzi al proliferare di svastiche sui muri del nostro paese e l’indifferenza di chi ci passa accanto ogni giorno, senza più accorgersene

Una Pasqua
tra l’uso sempre più sciatto di parole che fanno male e offendono schiacciando la dignità dell’uomo e di quella parte di umanità più fragile della nostra società e l’instabile certezza che la cultura di massa possa essere sufficiente a formare cittadini consapevoli

Una Pasqua
Che ci invita a riflettere
a ripensare a quell’Uomo sulla croce e a vedere il lui tutti i nostri fratelli che ogni giorno, senza più far caso, inchiodiamo sulla stessa croce.


Pasqua, festa dei macigni rotolati
(Tonino Bello, Pietre di Scarto)

Vorrei che potessimo liberarci dai macigni che ci opprimono, ogni giorno: Pasqua è la festa dei macigni rotolati.
La mattina di Pasqua le donne, giunte nell'orto, videro il macigno rimosso dal sepolcro.
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme messa all'imboccatura dell'anima che non lascia filtrare l'ossigeno,
che opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l'altro.
E' il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell'odio,
della disperazione del peccato.
Siamo tombe alienate. Ognuno con il suo sigillo di morte.
Pasqua allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l'inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo.

Trova il tempo
Trova il tempo di pensare
Trova il tempo di pregare
Trova il tempo di ridere
È la fonte del potere
È il più grande potere sulla Terra
È la musica dell'anima.
Trova il tempo per giocare
Trova il tempo per amare ed essere amato
Trova il tempo di dare
È il segreto dell'eterna giovinezza
È il privilegio dato da Dio
La giornata è troppo corta per essere egoisti.
Trova il tempo di leggere
Trova il tempo di essere amico
Trova il tempo di lavorare
E' la fonte della saggezza
E' la strada della felicità
E' il prezzo del successo.
Trova il tempo di fare la carità
E' la chiave del Paradiso.

(Iscrizione trovata sul muro
della Casa dei Bambini di Calcutta)

Madre Teresa di Calcutta


N.B. La foto "americana" di Gilda con la sua famiglia, giunta subito dopo Pasqua, è stata una piacevolissima sorpresa. Non sono bellissimi?!?
E il suo pancione??... saliranno a cinque marmocchietti. Mi dice nella mail che a volte le pare le manchi il tempo per tante cose, però i suoi figli la ripagano oltremisura.