Scorci di Venegara
Puntuale l’appuntamento per parlare dei giorni natalizi. Magari il tema potrebbe essere un po’ noioso o ripetitivo nel mio blog, però ogni esperienza è unica. Difficile da mettere su carta. Ti resta scritta nel cuore e nella mente, memoria e affetto. La unicità la cogli quasi solo tu, perchè fatta di luoghi, persone, storie, stati di vita differenti. Non importa se il servizio pastorale si “riduce” alle solite cose (confessioni, celebrazioni, visite agli ammalati...); è quanto detto prima che rende il tutto nuovo, sorprendente e arricchente.
Quest’anno mi è toccato andare a Venegara, un villaggio rurale del Táchira (stato in cui si trova il seminario), a circa due ore e mezza di distanza, cioè vicinissimo. La prima volta che non vado a “missionare” in pianura. Trovandosi in montagna la popolazione è fatta, per la stragrande maggioranza, di agricoltori: lattuga, cavoli, cipolle, porri... i prodotti principali. Le poche mucche sono per la produzione e consumo interno di latte e formaggio. Il clima fresco di montagna, e il carattere andino, favoriscono la laboriosità della gente, che gode generalmente di una buona economia. La collaborazione per i giorni di servizio è stata davvero generosa.
Venegara è un insieme di case ai due lati della strada principale, lunga poco più di un chilometro, rigorosamente in salita (mbé, in discesa se si percorre nell’altro senso...). La bellezza del paesaggio si commenta da solo attraverso le foto. Ci sono stato da solo e con gli abitanti, almeno con quelli che frequentavano la chiesa (grande per il luogo, ma questo è motivo di orgoglio per la popolazione), si è instaurato un ottimo rapporto, tanto che mi sono ripromesso di tornarci, possibilmente una volta al mese, anche perché sarebbero felici di rifornirci di verdura.
La logistica è stata ottima. Dormivo al piano superiore della casa di Ilda e Juan in completa solitudine e indipendenza. I pasti – quasi sempre – erano da Manuel e Casilda. La sera si poteva quasi “soffrire” il freddo e c’era bisogno di un giubbotto.
Il mio impegno pastorale si svolgeva quasi esclusivamente di sera, con la celebrazione dell’Eucaristia alle 19.00, preceduta, e a volte seguita, dalle confessioni. Normalmente il resto della giornata, durante le “missioni” dei Natale e Settimana Santa, si impiega nella visita e animazione delle famiglie, o nella organizzazione di incontri con fanciulli e giovani. Questo quando si è accompagnati da un seminarista o quando la stessa gente ha già un programma organizzato. Nel mio caso, essendo sacerdote, solo e senza programma (come si può notare non sono riuscito a cambiare) c’è stata una richiesta forte di servizio sacerdotale dai villaggi vicini, assistiti da seminaristi.
Così sono stato due mattine intere a confessare nella chiesa principale della parrocchia, costituita da cinque villaggi, a Sabana Grande, invitato dal parroco padre Melquiades. Due volte sono andato a S. Domingo, sempre per confessare, e celebrare messa il 24 alle 18.30 (alle 21.00 ho celebrato a Venegara). Due mezze giornate le ho dedicate agli infermi del mio villaggio. Quasi tutti i giorni ho fatto visita a Yordani, un sedicenne affetto di tumore a un ginocchio e che sta facendo chemio. Una mezza giornata sono stato a El Cocal, sempre per confessare e celebrare Messa. Quasi un giorno intero (messa alle 6.00 del mattino, confessioni fino alle 10.30 e visita agli ammalati fino alle 14.30) sono stato a Babuquena, villaggio a circa una ora da dove stavo. Un paio di volte sono stato a celebrare nell’ospizio de La Grita, la città principale, assistito da religiose, che così hanno potuto avere una messa della novena e quella del 25.
Insomma, dieci giorni abbastanza impegnativi, ma belli belli. Forse esercitare un servizio pastorale differente da quello del seminario rende queste semplici esperienze molto più arricchenti. Può darsi. Mi fa riflettere il fatto che alla fine tutti ti ringraziano per quanto hai dato, e non credono che è molto di più quanto si è ricevuto. Davvero ringrazio Dio per la sua generosità nel ripagare la tua povera disponibilità, e la sua sapienza nel riuscire a trasmettere gioia o consolazione attraverso la tua povera persona. Non è che la gente non abbia problemi a livello personale o familiare (forse il più grande è il consumo di alcool, che causa il 90% dei problemi nelle zone rurali) o che pensi che tutto si risolva con una pastorale dicembrina; però è una piccola goccia utile a calmare un po’ la sete di assoluto in te e negli altri. E io mi sento sempre più inserito nel mondo venezuelano, legato a persone vecchie e nuove che entrano nella mia storia.
Quest’anno mi è toccato andare a Venegara, un villaggio rurale del Táchira (stato in cui si trova il seminario), a circa due ore e mezza di distanza, cioè vicinissimo. La prima volta che non vado a “missionare” in pianura. Trovandosi in montagna la popolazione è fatta, per la stragrande maggioranza, di agricoltori: lattuga, cavoli, cipolle, porri... i prodotti principali. Le poche mucche sono per la produzione e consumo interno di latte e formaggio. Il clima fresco di montagna, e il carattere andino, favoriscono la laboriosità della gente, che gode generalmente di una buona economia. La collaborazione per i giorni di servizio è stata davvero generosa.
Venegara è un insieme di case ai due lati della strada principale, lunga poco più di un chilometro, rigorosamente in salita (mbé, in discesa se si percorre nell’altro senso...). La bellezza del paesaggio si commenta da solo attraverso le foto. Ci sono stato da solo e con gli abitanti, almeno con quelli che frequentavano la chiesa (grande per il luogo, ma questo è motivo di orgoglio per la popolazione), si è instaurato un ottimo rapporto, tanto che mi sono ripromesso di tornarci, possibilmente una volta al mese, anche perché sarebbero felici di rifornirci di verdura.
La logistica è stata ottima. Dormivo al piano superiore della casa di Ilda e Juan in completa solitudine e indipendenza. I pasti – quasi sempre – erano da Manuel e Casilda. La sera si poteva quasi “soffrire” il freddo e c’era bisogno di un giubbotto.
Il mio impegno pastorale si svolgeva quasi esclusivamente di sera, con la celebrazione dell’Eucaristia alle 19.00, preceduta, e a volte seguita, dalle confessioni. Normalmente il resto della giornata, durante le “missioni” dei Natale e Settimana Santa, si impiega nella visita e animazione delle famiglie, o nella organizzazione di incontri con fanciulli e giovani. Questo quando si è accompagnati da un seminarista o quando la stessa gente ha già un programma organizzato. Nel mio caso, essendo sacerdote, solo e senza programma (come si può notare non sono riuscito a cambiare) c’è stata una richiesta forte di servizio sacerdotale dai villaggi vicini, assistiti da seminaristi.
Così sono stato due mattine intere a confessare nella chiesa principale della parrocchia, costituita da cinque villaggi, a Sabana Grande, invitato dal parroco padre Melquiades. Due volte sono andato a S. Domingo, sempre per confessare, e celebrare messa il 24 alle 18.30 (alle 21.00 ho celebrato a Venegara). Due mezze giornate le ho dedicate agli infermi del mio villaggio. Quasi tutti i giorni ho fatto visita a Yordani, un sedicenne affetto di tumore a un ginocchio e che sta facendo chemio. Una mezza giornata sono stato a El Cocal, sempre per confessare e celebrare Messa. Quasi un giorno intero (messa alle 6.00 del mattino, confessioni fino alle 10.30 e visita agli ammalati fino alle 14.30) sono stato a Babuquena, villaggio a circa una ora da dove stavo. Un paio di volte sono stato a celebrare nell’ospizio de La Grita, la città principale, assistito da religiose, che così hanno potuto avere una messa della novena e quella del 25.
Insomma, dieci giorni abbastanza impegnativi, ma belli belli. Forse esercitare un servizio pastorale differente da quello del seminario rende queste semplici esperienze molto più arricchenti. Può darsi. Mi fa riflettere il fatto che alla fine tutti ti ringraziano per quanto hai dato, e non credono che è molto di più quanto si è ricevuto. Davvero ringrazio Dio per la sua generosità nel ripagare la tua povera disponibilità, e la sua sapienza nel riuscire a trasmettere gioia o consolazione attraverso la tua povera persona. Non è che la gente non abbia problemi a livello personale o familiare (forse il più grande è il consumo di alcool, che causa il 90% dei problemi nelle zone rurali) o che pensi che tutto si risolva con una pastorale dicembrina; però è una piccola goccia utile a calmare un po’ la sete di assoluto in te e negli altri. E io mi sento sempre più inserito nel mondo venezuelano, legato a persone vecchie e nuove che entrano nella mia storia.
Chiesa di Venegara
Chiesa di Sabana Grande Yordani e sua madre
Il resto delle foto si può vedere nell'album su Picasa al seguente link: http://picasaweb.google.com/framatteo/NataleAVenegara?feat=directlink
2 commenti:
Caro amico "venezuelano"...dobbiamo definirti così visto che chiudi questo tuo ultimo reportage natalizio definendoti sempre più integrato con la gente venezuelana??
Ci fa tanto piacere saperti ben inserito, ma.....
..................................(il silenzio rende più di una frase detta).
Un abbraccio da tutti noi.
Nicola, Tonia, Francesca, Antonello e Yuri
ciao padre matteo...da qnt tempo!qst è l'unico modo x contattarti e salutarti...un grosso bacione da Leonardo Pina Valentina Peppe Digiesi!!!
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