domenica 15 marzo 2020

2) Diario personale, dal convento in epoca, di coronavirus

Venerdì, 13 marzo 2020

Una delle prime cose che faccio al mattino è ascoltare il giornale radio delle 6.30, per poi scendere ad aprire la chiesa. Nella trasmissione in cui è inserito, viene proposto ogni giorno un tema e tre canzoni che ne fanno riferimento; gli ascoltatori sono invitati ad eleggere la migliore. Naturalmente in questi giorni i temi proposti sono attinenti alla epidemia da coronavirus. Il tema di oggi era la fiducia, ed ha vinto “Mi fido di te”, di Jovanotti. Mi è sempre piaciuto parecchio il ritornello: “La vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare. Mi fido di te... cosa sei disposto a perdere?”. Di questi tempi è ancor più indispensabile potersi fidare degli altri, dei loro atteggiamenti e comportamenti corretti. E far sì che gli altri si fidino di noi.
Nel radiogiornale la notizia delle dichiarazioni shock (poi corrette in giornata da altri organismi della UE) della Lagarde, presidente della BCE, che hanno letteralmente fatto crollare la borsa italiana e quelle europee. Mi sono chiesto in che Europa viviamo, quali sono i cardini di questa unione. Se prima ero del parere che bisogna rivedere o attuare meglio le leggi dell’unione, oggi ne sono fermamente convinto. In questo modo non ci  si può meravigliare se cresce un sentimento antieuropeista. Non basta solo combattere le derivazioni sovraniste; occorre trasmettere la gioia di appartenere a una Europa unita, attraverso politiche comuni di solidarietà, mettendo al centro l’uomo e il progresso dei popoli tutti, senza preferitismi e mezze misure. Spero che il Covid 19 ci insegni almeno ad essere uniti. Ora lo siamo nella diffusione del virus, che ha toccato ormai ogni paese europeo; speriamo in seguito di esserlo nella stima e promozione reciproche... dopo aver combattuto e battuto insieme questo nemico insidioso.
Termino questo diario con un accenno al flashmob convocato per le 18.00. Ero in terrazza e stavo leggendo finalmente il primo capitolo de “I promessi sposi”, quando ho sentito voci dalla terrazza vicina di Silvano e Francesca, che insieme ai loro due figli stavano preparando un altoparlante per trasmettere l’Inno di Mameli all’ora stabilita. Come è avvenuto. L’inno è risuonato nella piazzetta quasi deserta di San Giuseppe, ma è stato un bel momento. Alla fine si sono levati gli applausi delle 6-7 persone presenti all’evento... a debita distanza. Si ha bisogno di farsi sentire, di rompere un silenzio assordante, di far sapere che siamo vivi e vogliamo continuare ad esserlo, pur nel rispetto di tutte le regole del caso. Aver ascoltato il proprio inno nazionale, in questo momento di “guerra” contro un nemico subdolo perché invisibile, è un bel modo per commuoversi e rinnovare la voglia e l’impegno a combattere. Anche per me, che amo poco gli inni nazionali, pur commuovendomi quando ascolto quello italiano e il venezuelano.


Vangelo di oggi, sabato 14: Lc 15,11-32 (parabola del padre misericordioso)
Tre protagonisti e una casa. In epoca di coronavirus: un figlio che resta a casa; uno che va via senza una certificazione corretta; un padre nel mezzo. La parabola è un invito a scoprire il vero volto di Dio come padre, e l’altro come fratello. Nonché la gioia di avere una casa “condivisa” (famiglia, paese, nazione, mondo).
Quando tutta questa esperienza sarà finita, avremo percorso un tratto in più di questo cammino? Ci sarà servito, o ci sarà rabbia tra coloro che sono rimasti in casa e gli incoscienti che non lo hanno fatto come avrebbero dovuto? Avremo voglia di sentire il nostro paese come casa comune, dove vivere la gioia della familiarità umana e della solidarietà mutua? Il condividere maggiormente gli spazi della casa, anche in modo forzato, sarà servito ad accrescere la conoscenza, il dialogo e l’amore? Speriamolo!!

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