È passato poco più di un mese dal mio compleanno, ma sembra davvero che
abbia compiuto gli anni in un’altra epoca, quella di quando il contagio da
coronavirus era lontano da noi, quando ci sembrava pessimistica e catastrofica
la sola l’ipotesi che potesse attecchire e diffondersi nel nostro paese,
tutt’intorno a noi e dentro di noi, come poi è accaduto e sta accadendo. Per
cui il mio tradizionale scritto sul compleanno allora avrebbe avuto toni
differenti da quelli di oggi. I toni di una banalità, di una quotidianità e
leggerezza di cui abbiamo oggi tutti tanta nostalgia. A quei toni vorrei però,
in certo qual modo, attenermi, non per superficialità, ma per rispetto a uno
stile di vita che tornerà ad appartenerci, speriamo arricchito da questa
esperienza, accolto come dono non scontato nei suoi “banali” risvolti
quotidiani, con gratitudine (proprio mentre scrivo questo, la mia playing list
di Youtube sta passando “Wish you were here”, suonata con chitarra acustica da
David Gilmour e gruppo. Un gioiello).
Fai rumore – Ogni anno cerco sempre di fare riferimento a una o più canzoni che
caratterizzino il mio compleanno. Spesso l’ho fatto con una di Sanremo, vista
la vicinanza dei due eventi: festival e compleanno. Quest’anno, l’11 febbraio,
chiamandomi per farmi gli auguri, G., alla quale piace lanciarmi sfide e
rimproveri, spinta da un bene grande e spontaneo, fuori da ostacoli e filtri,
nato quando l’ho conosciuta bambina, vivo ancora ora che è giovane, mi ha
sfidato appunto a mettere la canzone vincente di Sanremo (Fai rumore, di Diodato) in questo mio post del compleanno, e a
giustificarne la presenza.
“Fai rumore qui, e non lo so se
mi fa bene, se il tuo rumore mi conviene. Ma fai rumore sì, che non lo posso
sopportare questo silenzio innaturale...”. Il contrasto tra “rumore” e “silenzio”
rispecchia però più la situazione italiana che si è venuta sviluppando dopo il
mio compleanno, a causa del coronavirus. Intorno a noi vi è molto “silenzio
innaturale”, forzato. Strade vuote e paura di contagio, che ci svuotano a volte
di energie, rischiano di limitare gli orizzonti della speranza, ci costringono
a silenzi che fanno molto rumore dentro. Allora c’è bisogno di “rumore”, di
reagire, non con il chiasso e il disordine, di rompere l’assedio, l’alito
mortifero di questo “silenzio”. Magari fare di questo rumore armonia e musica. È
l’invito rivolto da autorità e amici, dalla nostra stessa fede in Dio e/o nella
vita. Ma non è facile!! È una lotta!! Però c’è anche tanta solidarietà e voglia
di lottare insieme. Papa Francesco esorta a fare rumore, a non rimanere
silenziosi, passivi di fronte al male del mondo, a costruire una umanità nuova.
Ci auguriamo di uscire al più presto da questa epidemia, magari avendone
imparato alcune importanti lezioni di vita (“... e non ne voglio fare a meno oramai, di quel bellissimo rumore che
fai”).
Gli anni più belli – I primi di febbraio ci hanno ammorbati con la data palindroma del
02/02/2020. Allora ho pensato di leggere al rovescio gli anni compiuti: 61
diventano 16. Spinto anche dal fatto che il 24 dicembre scorso è nato un gruppo
di WhatsApp di tutti gli amici e amiche di infanzia e adolescenza del rione di
Sant’Oronzo (il “Santronz Amarcord”),
prima che la vita ci portasse su strade differenti. Questo ha creato la voglia
di raccontarci, nei limiti di un gruppo; di rivederci magari in agosto, quando
la maggior parte facciamo tappa al paesello; di rimpiangere un po’ quei tempi
belli, senza piangere su quelli successivi... Per questo la canzone di Claudio
Baglioni, uscita in prossimità del mio compleanno.
16 anni... 1975. A luglio del ’75, Anno Santo, sono tornato a casa dopo
la esperienza in seminario a Bari. Esperienza bella per gli amici che la hanno
condivisa con me e per i rettori che ci hanno accompagnato; traumatica per la
solitudine del luogo appartato e il senso di silenzio vuoto sperimentato, dopo
la pienezza di vita del quartiere e del paese.
A ottobre inizio il liceo, ritrovando gli amici del IV ginnasio e tutti
gli altri. È però anche l’anno in cui mi accorgo che alcuni amici del rione
sono costretti a lasciare il paese per cercare lavoro, ed altri si stanno
preparando. Una adolescenza matura che porta a intraprendere cammini a volte
differenti e lontani, ad allargare il cerchio delle amicizie e degli interessi,
ad aprirsi al mondo del lavoro e dell’impegno politico. La cosa bella è che
quella amicizia nata, vissuta, cresciuta, consolidata nella chiesa e oratorio
di San Francesco, nei pomeriggi di interminabili partite a pallone, nelle
serate di racconti sul “muridd d Nannin” o sulle scale della chiesa, negli
sfottò tra ragazzi e ragazze... non è poi mai venuta meno. E ogni incontro è
stato e continua ad essere una gioia disinteressata e grata per quanto ci è
stato donato di vivere, pur in situazioni di una certa “sobrietà imposta” e a
volte di precarietà economica. Ma le pezze ai vestiti o alle scarpe non ci
hanno tolto la voglia di vivere e camminare.
La canzone di Baglioni è bella. La chitarra, strumento principe della
nostra adolescenza e giovinezza, ti entra nello stomaco ed attraversa il cuore.
Alcune parole potrebbero invitare a riflettere in modo poetico sulla situazione
passata e presente, con immagini efficaci (Volevamo
fare nostro il mondo... Ma il destino aspetta dietro un muro, e vivere è il
prezzo del futuro... Passeggeri persi nel passato...). Io però faccio
piuttosto mie e del gruppo queste parole:
“E quel tempo è un film di mille
scene, non si sa come è la fine. Se le cose che ci fanno stare bene sono qui,
proprio qui, forse no, forse sì...”.
Forse sì. Quelle cose sono qui. Ce le siamo portate dietro, sempre. E sono quelle che ci fanno ancora stare bene.
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