Il Vangelo da
dentro
Erano stati giorni intensi. Predicazione nei vari paesi della Galilea; guarigioni del corpo e dello spirito; controversie con le autorità religiose sul digiuno e l’osservanza del sabato. La sua fama andava aumentando a dismisura e la gente accorreva numerosissima, per ascoltarlo o per assistere a qualche miracolo. A volte non si riusciva neanche a mangiare. Ma Gesù trovava sempre il tempo per isolarsi in luoghi appartati, ad ore della notte, ed entrare in dialogo con suo Padre attraverso la preghiera. Dalla quale ritornava tra noi luminoso e incoraggiante. Comunque, sempre la preghiera precedeva decisioni importanti da prendere.
Quella volta parve averci letto nel pensiero, quando decise che si andasse
tutti insieme su una altura, noi e lui soli, lontani dal frastuono e dalle
attività. Sentivamo il bisogno di staccare un po’ la spina, di riposare. Una
santa allegria ci aveva invasi mentre salivamo con lui. Ci sembrava di
ascendere verso l’altura di Sion, verso il Tempio in Gerusalemme, tanto era
forte percepire la presenza del divino quando eravamo con lui. L’ascesa è stata
accompagnata dalla recita e dal canto dei salmi di ascensione, che riempiono le
labbra e il cuore dei pellegrini mentre sono in prossimità di Gerusalemme. La
sera, come suo solito, si appartò in preghiera, e vi rimase tutta la notte.
Al mattino ci convocò a sé. Aveva evidentemente qualcosa di importante da
comunicarci, frutto del suo dialogo notturno con il Padre. Ci emozionò,
dicendoci che eravamo per lui la sua nuova famiglia, che non avrebbe potuto
sperare fratelli migliori e più numerosi di quelli che il Padre gli aveva dato;
ma che era giunto il momento di nominare alcuni che gli stessero più da vicino
e portassero avanti il suo annuncio di salvezza, qualora a lui non fosse più
stato possibile. Aveva pensato a dodici di noi, che rappresentassero le dodici
tribù del nuovo Israele, per noi e per tanti altri, popolo della nuova alleanza.
Essi avrebbero avuto il compito di avviare il cammino, di formare e animare le
comunità, di vegliare su possibili deviazioni dottrinali o morali. Almeno fino
alla loro morte. Poi si sarebbe proseguito, forti del loro annuncio e
testimonianza, saldi e fedeli, solidali e gioiosi, fino al giorno del ritorno
di lui nella gloria.
Confesso di aver sentito un certo vuoto e amarezza al constatare che il mio
nome non era nella lista dei dodici apostoli. Ci avevo sperato. Umanamente è
normale; penso che possiate capirmi. Ero rimasto “discepolo”. In seguito, l’esperienza
con Gesù, il suo insegnamento e il suo esempio di vita mi hanno fatto capire
che nelle nostre comunità ogni “chiamata” è finalizzata a un “invio”, e ciò che
agli occhi degli uomini può sembrare “ascesa” o “potere”, ha come fine
l’attenzione amorosa verso gli ultimi e il servizio verso tutti.
Discesi dal monte, abbiamo trovato una grande moltitudine ad attenderci, da
tutte le parti di Israele e delle terre confinanti. Il Maestro ha preso la
parola e ci ha illustrato la via, le condizioni per essere felici. Le sue
parole, le sue “beatitudini” ci hanno scioccato. Il contrario di quello che noi
e tutti ci saremmo aspettato. Tuttavia, vi era un “voi” che ci identificava
come “beati”. Noi, poveri, che avevamo lasciato tutto per seguire lui,
fidandoci di lui. Noi, affamati, che ci saziavamo delle sue parole e della
comunione con lui, dimenticando anche di mangiare quel poco che avevamo. Noi,
afflitti, incapaci di rimanere indifferenti davanti al dolore altrui, mossi
invece a sentire viscere di compassione verso i bisognosi, proprio come lui ci
aveva insegnato e mostrato. Alla fine della sua vicenda terrena, avremmo compreso
anche la beatitudine della derisione e persecuzione a causa del suo nome, che
però al momento ci rimase oscura.
Insomma, ci fece capire che la vera beatitudine consisteva nel vivere in comunione con lui e come lui, nell’amore di Dio e del prossimo. Ed era vero. Lo sperimentavamo giorno per giorno. Ancora una volta aveva ragione lui.
fra Matteo
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