Il Vangelo da dentro
Il suo arrivo a casa mi ha colto di sorpresa. Sapevo
che sarebbe tornato a farmi visita. Me lo aveva promesso, quando ha lasciato la
bottega di suo padre e il lavoro di falegname per seguire una voce interiore,
una intuizione del cuore, che lo ha portato a intraprendere il cammino di
predicatore itinerante. L'eco del suo successo è giunta a Nazareth. Si dice che
parla con una autorità e un fascino differenti da tutti gli altri maestri, che
le sue parole profumano di coerenza e novità, che compie guarigioni di corpi e
anime. Si è costituito intorno a lui e al suo annuncio un gruppo di discepoli che
pendono dalle sue labbra. In ogni città o villaggio dove entra riceve una
accoglienza entusiasta, suscitando però anche qualche contrasto con le autorità
religiose, che si sentono minacciate nel loro ruolo e potere, da lui che non ha
i titoli per essere maestro e avere dei discepoli al suo seguito.
Il suo arrivo mi ha riempito di gioia, certo. Non
ci vedevamo da qualche tempo, dai fatti di Cana, da quelle nozze nelle quali lo
avevo quasi obbligato ad anticipare quella che Lui chiama la "sua ora".
Eppure si è fatto spazio in me anche una certa preoccupazione, come un
retrogusto amaro che non riesco a spiegarmi del tutto. Perché si è presentato
da solo, senza i suoi discepoli? Che pure lo avevano seguito a Cana e lo
accompagnano ovunque. Una assenza che ho colto come un presagio di qualcosa di
negativo che potesse o stava per accadere, e dal quale aveva voluto risparmiare
i suoi discepoli, la sua nuova famiglia. Non ho avuto il coraggio di esporgli
questo mio sentimento, né di fargli domande al riguardo. Volevo godermi mio
figlio. Ho conservato tutto nel mio cuore, come spesso mi accade quando si
tratta di lui.
Il sabato ci siamo recati alla sinagoga. La sua presenza
nel villaggio aveva fatto sorgere grandi e numerose aspettative. Come di frequente
avveniva finché è vissuto qua, e riconoscendo la sua particolare preparazione
biblica, gli fu dato il rotolo della Scrittura per quel giorno, una profezia di
Isaia riguardo i tempi e le azioni salvifiche del Messia promesso. Lo lesse con
la sua bella voce e sedette. Gli oc
chi di tutti lo scrutavano ansiosi,
desiderosi di ascoltare un suo commento. Il suo silenzio riempì di pathos l'ambiente.
Con il capo chino e gli occhi chiusi, sembrava stesse cercando le parole adatte
per quello che voleva dire.
Poi le sue parole risuonarono nette e distinte.
Una deflagrazione che sconcertò i presenti: il figlio del falegname arrogava a
sé la realizzazione di quella profezia. La sua parola, la sua presenza, la sua
opera era tutto ciò che l'uomo potesse sperare per essere felice. Annuncio
bellissimo!! Notizia stupenda!! Ma non quello che tutti si aspettavano di
udire. Anzi, non erano venuti per ascoltare, ma per vedere, e cose eccezionali.
D'altronde non erano loro i suoi concittadini e familiari? Non avevano più
diritto degli altri di essere spettatori e destinatari di azioni spettacolari e
guarigioni miracolose?
A me è parso di capire quale grande considerazione
avesse Gesù di loro, con quali aspettative era tornato a Nazareth. Però loro
no. Gli esempi di azioni miracolistiche compiute da Dio in favore di stranieri,
avrebbero dovuto far capire che mio figlio riteneva che loro non ne avessero
bisogno. Certe cose sono per convincere e convertire i lontani, per coloro che
non hanno la nostra fede, per chi non ha conosciuto il Dio dei padri, il Dio
Padre e il suo amore verso il suo popolo. Noi abbiamo la sua Parola, le sue Promesse,
la sua Presenza. Ci dovrebbe bastare. Sarebbe dovuto bastare ai nazaretani per riconoscere
ed accogliere in Gesù la Parola fatta carne, l'Amore resosi visibile.
A un certo punto la perplessità ha generato
indignazione, e la disillusione è degenerata in rabbia. Hanno portato il mio
Gesù fin sul ciglio del burrone, con intenzioni omicide. Ma egli ha girato lo
sguardo verso di loro. I suoi occhi denotavano incredulità e delusione per la
loro durezza di cuore, misericordia e compassione per la loro chiusa ignoranza
di fronte alla salvezza annunciata. E con una autorevolezza inaspettata e
incontrastabile si è aperto cammino in mezzo a loro, inesorabilmente, come una
fiaccola nelle tenebre, come la Parola di Dio in noi, spada a doppio taglio che
arriva fino alla nostra più intima e buia interiorità. Si è trattato forse della
vera azione eccezionale compiuta da lui quel giorno.
Dopo di allora, Gesù è tornato a Cafarnao e lì ha
stabilito la sua patria. Io l'ho seguito. A Nazareth ero ormai una presenza
scomoda, e per di più sentivo che dovevo rimanergli vicino, come madre e
discepola. Avevamo bisogno entrambi di questa rinnovata comunione. Al contempo,
mi sono ritrovata madre di una nuova famiglia, quella dei suoi seguaci, in un
vincolo che non sarebbe più venuto meno.
Alla fine della sua storia terrena, avrei ancora
una volta assistito a una vicenda simile: il mio Gesù trasportato verso una
altura, tra spintoni e insulti, da una folla che pochi giorni prima lo aveva
acclamato, per essere ucciso appeso a una croce. Anche là avrei incrociato di
nuovo i suoi occhi increduli di fronte a tanta chiusura e malvagità, e risplendenti
di misericordia verso tale ignoranza circa la sua persona. Le sue ultime parole
furono di perdono. La sua ultima azione, più che eccezionale, l'essersi aperto
cammino attraverso il buio della morte, inesorabilmente, con la luce della sua
risurrezione. E aver spalancato definitivamente le porte alla vita in Dio,
eterna, per tutti noi.
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