lunedì 31 gennaio 2011

Don Chucho (in italiano)

Il suo nome è: Jesús Duque, ma tutti lo conoscono come don Chucho Duque. Due amici di una televisione del Táchira vorrebbero registrare un programma su di lui, nella serie “Eroi Anonimi”. Don Chucho non è poi così anonimo. Anzi, è piuttosto conosciuto nello stato del Táchira e varie persone si fermano a salutarlo. Una parete della casa è quasi colma di targhe di riconoscimento per le sue attività in favore della salvaguardia del creato.

Attenzione però. Non stiamo parlando di un professionista, di un professore universitario o di un membro importante di una associazione ecologista. Don Chucho è un contadino di Ahuyamala, nella via che porta al Zumbador, avanzato in età. Contadino verace, che mastica e sputa tabacco, allo stesso modo di come rumina aneddoti e esperienze di vita, per poi esprimerli con sapienza e convinzione. Non si separa dal suo cappello di altri tempi. Il volto solcato dalle rughe, frutto dell’età e dell’esposizione a sole e intemperie. Il suo non è un sorriso patinato, però sincero e trasparente.

Non lo conosco da molto. Solo 15 giorni. Ci siamo incontrati a Potrero de las Casas, dove egli era l’invitato speciale per alcuni incontri sulla valorizzazione del territorio, mentre io partecipante estemporaneo, per la mia scarsa conoscenza di tutto ciò che tenga a che vedere con piante e natura. In tutti i modi, come francescano, mi affascina lo spettacolo della natura, malgrado la mia ignoranza crassa circa nomi e caratteristiche. E come francescano mi è parso giusto appoggiare l’iniziativa con la mia presenza.

Ho avuto l’occasione di condividere con don Chucho a livello personale e pubblico. A lui, uomo di fede profonda e semplice, non sembrava vero che un sacerdote francescano fosse presente all’evento. Inoltre, sono stato professore di un suo nipote prossimo al sacerdozio. Mi è piaciuto il suo modo di relazionarsi con il medio ambiente, in particolare con gli alberi. Alcuni anni fa ha cominciato a interessarsi delle specie autoctone. Racconta che sentì come una chiamata (oserei parlare di vocazione, quasi di un mandato divino). Interpellò professori universitari per capire meglio, però tutti li trovò molto preparati teoricamente, inesperti nella pratica. Per questo iniziò un percorso personale che lo ha portato a diventare un vero maestro in materia.

Perché parlo di “chiamata” e “vocazione”? Perché egli vive un rispetto verso la natura che è molto cristiano: Dio ha creato il mondo buono e dobbiamo prenderci cura della creazione, affidata alla diligenza dell’uomo. Su questi monti si sono tagliati alberi per la coltivazione; però soprattutto si sono importate e piantate piante estranee al luogo (pini, eucalipti, ecc.), le quali hanno danneggiato il terreno, in quanto solo si nutrono di acqua, senza ritenerla, seccando così le sorgenti. Allora don Chucho decise di dedicarsi a un vivaio di piante autoctone, i cui nomi suggestivi già ho dimenticato. Esse rispettano la natura, secondo il disegno di Dio. In pratica, il messaggio è il seguente: Dio ha fatto le cose meravigliosamente bene; l’uomo spesso è intervenuto in maniera barbara. Che si può fare?!? Tornare a piantare le specie volute da Dio per questo territorio, riforestare la zona, in modo da rispettare il piano del Creatore, fare della natura una amica e alleata, approfittare delle acque delle numerose sorgenti, che le specie di piante aliene al territorio lasciano secche. Non è un piano ecologico serio, applicato al territorio, efficace e praticabile?!?

Per portare avanti questo progetto-chiamata, don Chucho tiene un suo piccolo vivaio. Ha rinunciato a coltivazioni più redditizie. Non tutti possono comprendere, in una società dove conta il capitale e il guadagno, più che i valori e l’armonia. Una scelta profetica, spesso scomoda per lui e non capita da parte di molti: annunciare che si può, si deve vivere rispettando la creazione, prima che sia troppo tardi. Perció insiste nell’educazione dei piccoli e accetta di partecipare a iniziative come quella di Potrero, pur di dare il suo contributo alla causa ambientalista e ai piani di Dio con la natura e gli uomini. Il suo rifiuto per le specie non autoctone non è xenofobia. Lo leggo come il rifiuto profetico verso gli idoli stranieri, che ci separano da Dio e dai suoi progetti. Le piante “straniere” non sono demonizzate. Esse hanno un ambiente proprio dove Dio le ha poste per esercitare una funzione positiva in quel territorio specifico (per favore, intendete che sto parlando di piante, e che le applicazioni umane abbisognano di alcuni distinguo).

Sabato scorso, viaggiando a La Grita, sono voluto passare dalla casa di don Chucho, al lato della strada principale. L’ho trovato un po’ stanco, quasi scoraggiato. Naturalmente è stato gentile, nobile come sempre. Mi ha mostrato il vivaio e ho potuto percepire il suo affetto per le piante. Tuttavia, aveva qualcosa del profeta non ascoltato nella sua missione e annuncio. Era come se si rendesse conto di essere arrivato all’anzianità senza riuscire a trasmettere alle prossime generazioni il suo amore e rispetto per la natura.Mi ha detto, con un velo di tristezza, che sono pochi coloro che si interessano delle sue piante, o che le richiedono per piantarle nei propri terreni e giardini. Non si trattava di desiderio di guadagnare, bensí di senso per la sua vita e missione. Cosí l’ho percepito io…

Ho pensato a lui... Mi sono ricordato di Keyla, una ragazza di Potrero, la quale mi raccontava del senso di disgusto nel vedere il quartiere di Petare in Caracas e vivere lì alcuni giorni. Si augurava che Dio le conceda vivere sempre a contatto con la natura, nella sua terra, dove Egli l’ha fatta nascere e l’ha posta. Le metropoli sono una aberrazione rispetto all’ordine naturale. Riportare le piante al loro luogo proprio è un modo di ristabilire quell’ordine, che l’uomo molto spesso non ha e continua a non rispettare. Per di più, è una opportunità di ricreare un ambiente favorevole alla vita e occasione di lavoro “naturale”, senza cadere nella tentazione di inmigrare. Compito immane. Don Chucho ci insegna a iniziare dal quotidiano a portata di mano.

Ho pensato a me... Io sono una “specie non autoctona”, trapiantata qui nel Táchira. Mi pare che Dio mi stia aiutando ad essere un inserto piuttosto che un “estraneo”, che possa nutrirsi della linfa di questa gente, senza solo “succhiare” fino ad esaurire, producendo anzi frutti utili per la fame, gradevoli al palato, e che diano senso a questa mia presenza e gioia ai miei giorni.

Al ritorno ho voluto di nuovo visitare don Chucho. Era molto animato, perché gli alunni di un liceo, in piccoli gruppi, lo stavano visitando per ascoltare e apprendere. Mi ha offerto una tazza di caffé. Gli ho lasciato una mela, tre pere e due grappoli d’uva. Non esattamente frutta locale, piuttosto propria dell’Italia, il cui sapore, se non si vuole imporre a tutti i costi, può risultare arricchente per la bocca e il cuore.

Ci siamo salutati come due veri venezuelani. Io gli ho chiesto la benedizione, ed egli me l’ha data. Egli l’ha chiesta a me, e io, con piacere e un certo rossore, gliel’ho data. Dio ti benedica, don Chucho!!

1 commento:

Nicola Lagreca ha detto...

caro fray Matteo come scriveva Massimo nel precedente racconto da te pubblicato, il nostro silenzio non è indifferenza. Lo sai che ti vogliamo tanto bene ma soprattutto SEMPRE tanto bene.
Mi ha turbato e non poco il tuo "stare come in una bolla di sapone".
A volte i bimbi (anzi quasi sempre) non aspettano che le bolle si scoppino da sole ma col loro ditino...puff!... e la bolla non c'è più. Io penso che loro vedano il mondo con occhi veri, senza veli, senza filtri e quindi le bolle davanti ai loro occhi disturbano la visione del cielo azzurro, del sole, del volto degli amichetti. Quanto ci possono insegnare i piccoli! E allora che si facciano avanti tanti "bambini" che col loro dito scoppino la "tua bolla" e liberino la creatività, la fraternità, l'umiltà, l'amore che tu incarni nel nome di Gesù e possano così riportare in un grande volo il "prigioniero" fra i suoi cari, fra la sua gente dove potrà evangelizzare con maggiore slancio e generosità. Chi ci dà una mano a rompere la bolla?
Un grande affettuoso abbraccio.
NICOLA L. e TONIA V.

p.s.
Sono certo che anche se non vuoi farlo, ma alla fine pubblicherai questo commento.