venerdì 10 febbraio 2017

How we were


Ieri (17 novembre 2016) mi è arrivata questa foto. Si riferisce a una delle squadre parrocchiali che padre Vittorio Ciaccia metteva insieme, e alla quale mi univo durante le mie vacanze a Monte, dopo l’anno di studi teologici. Mi ha dato modo di pensare alla mia passione per il calcio.
Ho cominciato a conoscere di più, amare e praticare questo sport quasi tardi, quando ero già in prima media. Da allora non mi ha più abbandonato. Adesso ho appeso le scarpe al chiodo. Meglio, circa 3-4 anni fa si sono appese da sole. Quando ho rotto irreparabilmente il paio che stavo usando, ho pensato che potesse essere un segnale e che forse era giunto il momento di smettere con la pratica attiva. Anche perché, in tutti questi anni, non avevo mai sofferto alcun tipo di infortunio serio, per cui non mi sentivo di continuare a sfidare la buona sorte. Guardo con piacere le partite alla televisione, senza essere tifoso di alcuna squadra. Mi piace godermi il bel gioco di squadra e le azioni individuali. Se mi prende la voglia di giocare ancora qualche partita?!? Sempre!!! Ma non ho scarpette adatte... e poi, sono fuori allenamento.

Ricordo con immenso piacere e nostalgia i pomeriggi, soprattutto primaverili ed estivi, passati a giocare a pallone insieme agli amici del rione. Avevamo messo su una squadra fortissima, imbattibile per gli altri coetanei di Monte. Io ero terzino destro. Non sono mai stato un campione. Piuttosto un giocatore corretto, che ha sopperito con la carica agonistica alla mancanza di talento. Avevo polmoni per correre sulla fascia, quando appena avevano cominciato ad affermarsi i difensori che sapessero superare la linea di centrocampo e appoggiare le azioni di attacco. Stava nascendo il calcio totale in Olanda... Mi piaceva Marchetti, della Juve, poi Tardelli; oggi mi identificherei con Florenzi. Intanto si era materializzato un regalo inatteso e graditissimo: in parrocchia si era riusciti a costruire un piccolo campo di calcetto e pallavolo, divenuto luogo di ritrovo giornaliero per tutti noi. E non importa che si fosse rovinata una parte del chiostro antico. A quei tempi ce ne importava poco e tutto perdeva di valore di fronte a un simile dono. Un oratorio tutto nostro!!!

Poco a poco, con l’inizio delle superiori, lo stringere nuove amicizie e la “fuga” dal paese in cerca di lavoro da parte della maggior parte degli amici d’infanzia portò alla “rottura” naturale e inesorabile di quella splendida squadra fatta di persone cresciute sotto lo stesso campanile, nella stessa piazzetta di San Francesco. Continuarono le interminabili sfide a pallavolo e calcetto (4 contro 4) nell’oratorio, mentre i superstiti iniziammo a frequentare la scuola calcio del paese, dove arrivammo con l’occorrente nelle solite buste di plastica e le nostre scarpette rappezzate e resuscitate fino all’inverosimile da “Ngiulin u scarper”. Passammo a borsoni piú decenti, a due allenamenti settimanali e la partita la domenica, alcuni già con la prima squadra (io non ero tra quelli eheh), alla possibilitá-obbligo di fare la doccia dopo ogni impegno, vera impresa spartana durante i freddi mesi invernali. Inoltre ero parte della squadra di calcio del Liceo Classico, altra bella esperienza di amicizia e di vita.

Durante gli anni di studio della teologia, mi sono riciclato centrocampista, un po’ come... Tardelli. I polmoni erano sempre i soliti, e il cambio non ha nuociuto sulle prestazioni, anzi... Il poter spaziare e correre ancor di piú, rinnovó e diede ancor maggior vigore al mio entusiasmo per questo sport. Continuavo a non essere un campione, naturalmente, peró i miei compagni mi consideravano un perno fondamentale della squadra. Alcuni anni dopo mi sono ritrovato in quella splendida canzone di Ligabue “Una vita da mediano”.
Arrivato a Copertino ai 28 anni, e fino a “fine carriera”, ho continuato a giocare quasi esclusivamente a calcetto, riducendo gli spazi, e passando dagli scatti lunghi e brevi al moto perpetuo. Un modo diverso di interpretare il gioco del calcio, ma ugualmente pieno di gioia e divertimento.

Insomma, penso di poter affermare che il calcio é stato per me una buona scuola di vita. Come tutti gli sports di squadra, mi ha insegnato a socializzare; a lottare, soffrire, esultare e gioire insieme agli altri; a mettermi a disposizione del bene comune, apprezzando le differenti caratteristiche degli altri e armonizzandole con le mie. Mi ha insegnato a lottare per migliorare limiti tecnici personali (per esempio, imparare a calciare un po’ anche col sinistro), o a viverli meglio nel gioco di squadra. Inoltre mi ha aiutato a conoscere persone, soprattutto durante i miei anni di giovane sacerdote, quando ho potuto avvicinare parecchi giovani e adulti grazie anche a questo sport. E poi, il calcio mi ha regalato tanto, ma tanto divertimento!!

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