Ieri (17 novembre 2016) mi è arrivata questa foto. Si riferisce a una delle squadre
parrocchiali che padre Vittorio Ciaccia metteva insieme, e alla quale mi univo
durante le mie vacanze a Monte, dopo l’anno di studi teologici. Mi ha dato modo
di pensare alla mia passione per il calcio.
Ho cominciato a conoscere di più, amare e praticare questo sport quasi
tardi, quando ero già in prima media. Da allora non mi ha più abbandonato.
Adesso ho appeso le scarpe al chiodo. Meglio, circa 3-4 anni fa si sono appese
da sole. Quando ho rotto irreparabilmente il paio che stavo usando, ho pensato
che potesse essere un segnale e che forse era giunto il momento di smettere con
la pratica attiva. Anche perché, in tutti questi anni, non avevo mai sofferto
alcun tipo di infortunio serio, per cui non mi sentivo di continuare a sfidare
la buona sorte. Guardo con piacere le partite alla televisione, senza essere
tifoso di alcuna squadra. Mi piace godermi il bel gioco di squadra e le azioni
individuali. Se mi prende la voglia di giocare ancora qualche partita?!?
Sempre!!! Ma non ho scarpette adatte... e poi, sono fuori allenamento.
Ricordo con immenso piacere e nostalgia i pomeriggi, soprattutto
primaverili ed estivi, passati a giocare a pallone insieme agli amici del
rione. Avevamo messo su una squadra fortissima, imbattibile per gli altri
coetanei di Monte. Io ero terzino destro. Non sono mai stato un campione.
Piuttosto un giocatore corretto, che ha sopperito con la carica agonistica alla
mancanza di talento. Avevo polmoni per correre sulla fascia, quando appena
avevano cominciato ad affermarsi i difensori che sapessero superare la linea di
centrocampo e appoggiare le azioni di attacco. Stava nascendo il calcio totale
in Olanda... Mi piaceva Marchetti, della Juve, poi Tardelli; oggi mi
identificherei con Florenzi. Intanto si era materializzato un regalo inatteso e
graditissimo: in parrocchia si era riusciti a costruire un piccolo campo di
calcetto e pallavolo, divenuto luogo di ritrovo giornaliero per tutti noi. E
non importa che si fosse rovinata una parte del chiostro antico. A quei tempi
ce ne importava poco e tutto perdeva di valore di fronte a un simile dono. Un
oratorio tutto nostro!!!
Poco a poco, con l’inizio delle superiori, lo stringere nuove amicizie e
la “fuga” dal paese in cerca di lavoro da parte della maggior parte degli amici
d’infanzia portò alla “rottura” naturale e inesorabile di quella splendida
squadra fatta di persone cresciute sotto lo stesso campanile, nella stessa
piazzetta di San Francesco. Continuarono le interminabili sfide a pallavolo e
calcetto (4 contro 4) nell’oratorio, mentre i superstiti iniziammo a
frequentare la scuola calcio del paese, dove arrivammo con l’occorrente nelle
solite buste di plastica e le nostre scarpette rappezzate e resuscitate fino all’inverosimile
da “Ngiulin u scarper”. Passammo a borsoni piú decenti, a due allenamenti
settimanali e la partita la domenica, alcuni già con la prima squadra (io non
ero tra quelli eheh), alla possibilitá-obbligo di fare la doccia dopo ogni
impegno, vera impresa spartana durante i freddi mesi invernali. Inoltre ero
parte della squadra di calcio del Liceo Classico, altra bella esperienza di
amicizia e di vita.
Durante gli anni di studio della teologia, mi sono riciclato
centrocampista, un po’ come... Tardelli. I polmoni erano sempre i soliti, e il
cambio non ha nuociuto sulle prestazioni, anzi... Il poter spaziare e correre
ancor di piú, rinnovó e diede ancor maggior vigore al mio entusiasmo per questo
sport. Continuavo a non essere un campione, naturalmente, peró i miei compagni
mi consideravano un perno fondamentale della squadra. Alcuni anni dopo mi sono
ritrovato in quella splendida canzone di Ligabue “Una vita da mediano”.
Arrivato a Copertino ai 28 anni, e fino a “fine carriera”, ho continuato
a giocare quasi esclusivamente a calcetto, riducendo gli spazi, e passando
dagli scatti lunghi e brevi al moto perpetuo. Un modo diverso di interpretare
il gioco del calcio, ma ugualmente pieno di gioia e divertimento.
Insomma, penso di poter affermare che il calcio é stato per me una buona
scuola di vita. Come tutti gli sports di squadra, mi ha insegnato a
socializzare; a lottare, soffrire, esultare e gioire insieme agli altri; a
mettermi a disposizione del bene comune, apprezzando le differenti
caratteristiche degli altri e armonizzandole con le mie. Mi ha insegnato a
lottare per migliorare limiti tecnici personali (per esempio, imparare a
calciare un po’ anche col sinistro), o a viverli meglio nel gioco di squadra.
Inoltre mi ha aiutato a conoscere persone, soprattutto durante i miei anni di
giovane sacerdote, quando ho potuto avvicinare parecchi giovani e adulti grazie
anche a questo sport. E poi, il calcio mi ha regalato tanto, ma tanto
divertimento!!
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