giovedì 24 marzo 2016

Il mio saluto a La Habana

Calle Cuba
La mia permanenza di due mesi a La Habana è ormai agli sgoccioli. Tra poche ore sarò di nuovo in Venezuela. Ci sono arrivato il 7 gennaio e ritorno l’11 marzo. Sono venuto per sopperire all’assenza di fra Silvano Castelli, in Italia per operarsi. Sono stato il suo sostituto in tutto ciò che concerne l’aspetto formativo con i postulanti e professi semplici, e il lavoro pastorale nella parrocchia di Santa Clara, quartiere popolare di Lawton. Chi mi conosce sa quanto mi costano le partenze, gli addii. Mi adatto e affeziono facilmente alle situazioni umane e geografiche, per questo mi pesa andar via, soprattutto quando so che forse non avrò mai più occasione di rivedere persone e luoghi. Per di più è stato facile affezionarsi a La Habana e alla sua gente, quasi fino a innamorarmene, o almeno a prendermi una cotta. Specie se si ha il privilegio di vivere in Calle Cuba, nel centro di Habana Vieja, nel cuore della città, con le sue contraddizioni, che impari ad amare, apprendendo presto a convivere con esse: turisti con dollari ed euro, e povertà che si barcamena tra moneda nacional y moneda dolarizada; palazzi splendidamente restaurati e autentiche catapecchie decrepite; odori di leccornie dai ristoranti e trattorie, e fetori per le vie; marmo negli hoteles e manto stradale dissestato; varie proposte culturali in auditori e chiese, e proposte ai turisti di compere e di puro divertimento, spesso di tutt’altro genere (in genere cucina e sesso). Mi mancherà La Habana. Mi mancheranno le cose delle quali ho potuto godere in questi due mesi.

Frati e formandi del convento de La Habana
Prima di tutto, mi mancheranno le persone che ho conosciuto e con le quali ho condiviso tempo e relazioni. Quattro anni fa, quando venni per un incontro latinoamericano dei frati conventuali responsabili delle nostre presenze nel continente, l’esperienza fu ugualmente bellissima. Ma si trattò piuttosto di una conoscenza “geografica”, condita con pezzetti di vita cubana. Questa volta la geografia è fatta di volti, relazioni, vita, storie e storia. Cuba non è più solo una bella isola, ma tutto un insieme di facce. Difficile raccontare tutto il vissuto e ascoltato, a volte davvero di gran impatto.
Mi porto nel cuore i miei confratelli frati, specie padre Fernando, mio vecchio maestro di noviziato; i giovani in formazione (fray Danisandro, fray José Manuel, fray Riduán, Sandy, Kenier e Ernesto); le due collaboratrici familiari Mirta e Mirna; la bella gente della parrocchia: i collaboratori nei vari settori (María Eugenia, Isabel, Cilita, Marlene, Adriana, Rosa, Yurek, Papito...), gli accoliti (Chino, Leo, Mario), i bambini (Leisis, Vanesa, ecc.) e adolescenti (Shakira e compagnia) del sabato con i loro rispettivi catechisti (Saudit, Elianet, ecc.), i fedeli della domenica, il gruppo del corso di catecumenato; le suore brigidine, alle quali ho celebrato qualche volta messa e ho predicato due ritiri mensili, che sempre tanto bene mi hanno accolto, con familiarità e allegria. Tutti si sono presi un pezzo di cuore e in questo hanno occupato uno spazio sacro.
Frati partecipanti agli esercizi spirituali
Molto bella anche l’esperienza, per me nuova, della predica degli esercizi spirituali ai francescani dell’isola. 22 partecipanti in tutto, compresi i giovani in formazione; ne mancavano proprio pochi. Tema: la Misericordia nelle parabole di Luca. Ho cominciato con timore e ansia, ho terminato rilassato, per l’accoglienza semplice dei partecipanti; con gioia, per l’opportunità di vivere preziosi momenti di fraternità. Le suore salesiane di Peñalver, che ci hanno ospitato, sono state un vero amore.

Mi mancherà la possibilità delle passeggiate in giro per la città, quasi sempre in piano, potendo scegliere di cambiare percorso e, con esso, approccio visivo-emotivo alla realtà. Ho camminato parecchio, spessissimo lungo il lungo lungomare (“malecón” in spagnolo), tra turisti, pescatori e alcuni pellicani di casa. Ho cercato il mare, come elemento della mia formazione. L’ho visto calmo e notevolmente agitato, con onde piuttosto alte. Nella mia vita il mare è stato sempre un orizzonte possibile, o l’ho considerato tale. Credo che esso, per noi montanari del Gargano, sia un elemento degli occhi e dell’anima, ancorché e prima che geografico. Ho voluto, perciò, riempirmene la vista, anche perché mi è stato comodo farlo; la “bahía” infatti dista pochi metri dal convento. Non ho fatto nemmeno un bagno, sia perché le spiagge non sono proprio a portata di mano, sia perché non si è creata l’occasione, sia perché non ne ho sentito il bisogno.
Malecón
Ricordo con piacere le passeggiate in gruppo alla basilica della “Virgen de Regla”, all’altro lato della baia; alla chiesa di “Cristo Rey” dei passionisti, dopo aver percorso quartieri popolari; alle chiese dei cappuccini e dei minori a Miramar, quartiere esclusivo, passando per la signorile Quinta Avenida e un lungo tratto del lungomare. Ma anche le passeggiate in solitario mi hanno regalato emozioni, colori, odori, contatto con la realtà fuori del convento e dei circuiti turistici. I turisti hanno costituito la allegra e colorita alternativa nei luoghi adiacenti al convento, soprattutto nei giorni dell’arrivo delle navi da crociera. Negli altri, il centro assume una dimensione più dimessa, tranquilla. Poche volte sono uscito la sera, come invece mi sarebbe piaciuto fare, visto che le luci conferiscono un colore differente, magico, a strade, monumenti e cose, soprattutto di un centro storico.

Plaza Catedral, di sera
Mi mancheranno le iniziative culturali, delle quali ho sentito la mancanza in Venezuela e che qui sono numerose, specie nel centro storico. Ho assistito soprattutto a concerti di musica classica e sacra. Me li sono goduti. Spesso sono gratis o a prezzi popolari. Non è che ci sia però molta partecipazione di pubblico. Come invece per il concerto di musica tecno (credo si definisca così) nella spaziosissima Piazza Antimperialista “José Martí”, sul malecón, di fronte all’ambasciata americana, scenario degli eventi di massa del governo. Ci sono passato per caso e ho visto i giovani accorrere a migliaia. Una cultura che pare aliena all’ideologia del partito al potere, che potrebbe e dovrebbe fare i conti con una generalizzata indolenza e indifferenza, frutto di anni di decisioni imposte più che condivise.

Bici taxi
Mi mancherà la tranquillità dell’isola, soprattutto se confrontata con la situazione sociale del Venezuela. Qui, nel centro storico della capitale, come scrivevo sopra, si può uscire addirittura... di sera!! Il turista, almeno finora, è sacro, per il contributo determinante che da all’economia. L’Avana è una città a dimensione d’uomo. Non si può vivere in essa senza il permesso del governo, il che ha impedito il fenomeno della migrazione urbana e la crescita indiscriminata della popolazione. Inoltre, il parco macchine che circolano in città è notevolmente ridotto rispetto alle nostre capitali, per cui si può camminare senza dover schivare continuamente mezzi di trasporto. Per il cubano medio, infatti, è quasi un miraggio pensare di possedere un’auto. A volte il sogno “proibito e impossibile” è rappresentato da... una Lada vecchio modello!! Circolano come taxi, in buon numero e bellissime, macchine degli anni ’50, delle quali le più luccicanti e ben messe sono a servizio di costosi giri turistici in città. Il mezzo più economico e popolare per spostarsi è costituito dai caratteristici “taxi-risciò” a pedale.

Disegno-Ricordo realizzato da Leisis 
Avrei molte altre immagini da mettere per iscritto, ma non vorrei tediare chi legge. Inoltre, non sarei capace di rendere tutto il vissuto, dentro e fuori di me. Ringrazio Dio per aver avuto questa inattesa, piacevole e arricchente opportunità di risiedere per due mesi a La Habana (fuori di questa città, sono stato solo in due occasioni a Matanzas). Non so se salutare la città e la sua gente con un arrivederci o un addio. Dio saprà, e la vita si incaricherà di rivelarmelo.

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