Calle Cuba |
La mia permanenza di due mesi a La Habana
è ormai agli sgoccioli. Tra poche ore sarò di nuovo in Venezuela. Ci sono
arrivato il 7 gennaio e ritorno l’11 marzo. Sono venuto per sopperire all’assenza
di fra Silvano Castelli, in Italia per operarsi. Sono stato il suo sostituto in
tutto ciò che concerne l’aspetto formativo con i postulanti e professi semplici,
e il lavoro pastorale nella parrocchia di Santa Clara, quartiere popolare di
Lawton. Chi mi conosce sa quanto mi costano le partenze, gli addii. Mi adatto e
affeziono facilmente alle situazioni umane e geografiche, per questo mi pesa
andar via, soprattutto quando so che forse non avrò mai più occasione di
rivedere persone e luoghi. Per di più è stato facile affezionarsi a La Habana e
alla sua gente, quasi fino a innamorarmene, o almeno a prendermi una cotta. Specie
se si ha il privilegio di vivere in Calle Cuba, nel centro di Habana Vieja, nel
cuore della città, con le sue contraddizioni, che impari ad amare, apprendendo
presto a convivere con esse: turisti con dollari ed euro, e povertà che si
barcamena tra moneda nacional y moneda dolarizada; palazzi splendidamente
restaurati e autentiche catapecchie decrepite; odori di leccornie dai
ristoranti e trattorie, e fetori per le vie; marmo negli hoteles e manto
stradale dissestato; varie proposte culturali in auditori e chiese, e proposte ai
turisti di compere e di puro divertimento, spesso di tutt’altro genere (in
genere cucina e sesso). Mi mancherà La Habana. Mi mancheranno le cose delle
quali ho potuto godere in questi due mesi.
Frati e formandi del convento de La Habana |
Prima di tutto, mi mancheranno le persone che ho conosciuto e con le
quali ho condiviso tempo e relazioni. Quattro anni fa, quando venni per un
incontro latinoamericano dei frati conventuali responsabili delle nostre
presenze nel continente, l’esperienza fu ugualmente bellissima. Ma si trattò
piuttosto di una conoscenza “geografica”, condita con pezzetti di vita cubana.
Questa volta la geografia è fatta di volti, relazioni, vita, storie e storia.
Cuba non è più solo una bella isola, ma tutto un insieme di facce. Difficile raccontare
tutto il vissuto e ascoltato, a volte davvero di gran impatto.
Mi porto nel cuore i miei confratelli
frati, specie padre Fernando, mio vecchio maestro di noviziato; i giovani in
formazione (fray Danisandro, fray José Manuel, fray Riduán, Sandy, Kenier e
Ernesto); le due collaboratrici familiari Mirta e Mirna; la bella gente della
parrocchia: i collaboratori nei vari settori (María Eugenia, Isabel, Cilita,
Marlene, Adriana, Rosa, Yurek, Papito...), gli accoliti (Chino, Leo, Mario), i
bambini (Leisis, Vanesa, ecc.) e adolescenti (Shakira e compagnia) del sabato
con i loro rispettivi catechisti (Saudit, Elianet, ecc.), i fedeli della
domenica, il gruppo del corso di catecumenato; le suore brigidine, alle quali ho
celebrato qualche volta messa e ho predicato due ritiri mensili, che sempre
tanto bene mi hanno accolto, con familiarità e allegria. Tutti si sono presi un
pezzo di cuore e in questo hanno occupato uno spazio sacro.
Frati partecipanti agli esercizi spirituali |
Molto bella anche l’esperienza, per me nuova,
della predica degli esercizi spirituali ai francescani dell’isola. 22
partecipanti in tutto, compresi i giovani in formazione; ne mancavano proprio
pochi. Tema: la Misericordia nelle parabole di Luca. Ho cominciato con timore e
ansia, ho terminato rilassato, per l’accoglienza semplice dei partecipanti; con
gioia, per l’opportunità di vivere preziosi momenti di fraternità. Le suore
salesiane di Peñalver, che ci hanno ospitato, sono state un vero amore.
Mi mancherà la possibilità delle passeggiate in giro per la città, quasi
sempre in piano, potendo scegliere di cambiare percorso e, con esso, approccio
visivo-emotivo alla realtà. Ho camminato parecchio, spessissimo lungo il lungo
lungomare (“malecón” in spagnolo), tra turisti, pescatori e alcuni pellicani di
casa. Ho cercato il mare, come elemento della mia formazione. L’ho visto calmo
e notevolmente agitato, con onde piuttosto alte. Nella mia vita il mare è stato
sempre un orizzonte possibile, o l’ho considerato tale. Credo che esso, per noi
montanari del Gargano, sia un elemento degli occhi e dell’anima, ancorché e prima
che geografico. Ho voluto, perciò, riempirmene la vista, anche perché mi è
stato comodo farlo; la “bahía” infatti dista pochi metri dal convento. Non ho
fatto nemmeno un bagno, sia perché le spiagge non sono proprio a portata di
mano, sia perché non si è creata l’occasione, sia perché non ne ho sentito il
bisogno.
Malecón |
Ricordo con piacere le passeggiate in
gruppo alla basilica della “Virgen de Regla”, all’altro lato della baia; alla
chiesa di “Cristo Rey” dei passionisti, dopo aver percorso quartieri popolari;
alle chiese dei cappuccini e dei minori a Miramar, quartiere esclusivo,
passando per la signorile Quinta Avenida e un lungo tratto del lungomare. Ma
anche le passeggiate in solitario mi hanno regalato emozioni, colori, odori,
contatto con la realtà fuori del convento e dei circuiti turistici. I turisti
hanno costituito la allegra e colorita alternativa nei luoghi adiacenti al
convento, soprattutto nei giorni dell’arrivo delle navi da crociera. Negli
altri, il centro assume una dimensione più dimessa, tranquilla. Poche volte
sono uscito la sera, come invece mi sarebbe piaciuto fare, visto che le luci
conferiscono un colore differente, magico, a strade, monumenti e cose,
soprattutto di un centro storico.
Plaza Catedral, di sera |
Mi mancheranno le iniziative culturali, delle quali ho sentito la mancanza in
Venezuela e che qui sono numerose, specie nel centro storico. Ho assistito
soprattutto a concerti di musica classica e sacra. Me li sono goduti. Spesso
sono gratis o a prezzi popolari. Non è che ci sia però molta partecipazione di
pubblico. Come invece per il concerto di musica tecno (credo si definisca così)
nella spaziosissima Piazza Antimperialista “José Martí”, sul malecón, di fronte
all’ambasciata americana, scenario degli eventi di massa del governo. Ci sono
passato per caso e ho visto i giovani accorrere a migliaia. Una cultura che
pare aliena all’ideologia del partito al potere, che potrebbe e dovrebbe fare i
conti con una generalizzata indolenza e indifferenza, frutto di anni di
decisioni imposte più che condivise.
Bici taxi |
Mi mancherà la tranquillità dell’isola, soprattutto se confrontata con la
situazione sociale del Venezuela. Qui, nel centro storico della capitale, come
scrivevo sopra, si può uscire addirittura... di sera!! Il turista, almeno
finora, è sacro, per il contributo determinante che da all’economia. L’Avana è
una città a dimensione d’uomo. Non si può vivere in essa senza il permesso del
governo, il che ha impedito il fenomeno della migrazione urbana e la crescita
indiscriminata della popolazione. Inoltre, il parco macchine che circolano in
città è notevolmente ridotto rispetto alle nostre capitali, per cui si può
camminare senza dover schivare continuamente mezzi di trasporto. Per il cubano
medio, infatti, è quasi un miraggio pensare di possedere un’auto. A volte il
sogno “proibito e impossibile” è rappresentato da... una Lada vecchio modello!!
Circolano come taxi, in buon numero e bellissime, macchine degli anni ’50,
delle quali le più luccicanti e ben messe sono a servizio di costosi giri
turistici in città. Il mezzo più economico e popolare per spostarsi è
costituito dai caratteristici “taxi-risciò” a pedale.
Disegno-Ricordo realizzato da Leisis |
Avrei molte altre immagini da mettere per
iscritto, ma non vorrei tediare chi legge. Inoltre, non sarei capace di rendere
tutto il vissuto, dentro e fuori di me. Ringrazio Dio per aver avuto questa inattesa,
piacevole e arricchente opportunità di risiedere per due mesi a La Habana (fuori
di questa città, sono stato solo in due occasioni a Matanzas). Non so se
salutare la città e la sua gente con un arrivederci o un addio. Dio saprà, e la
vita si incaricherà di rivelarmelo.