mercoledì 17 febbraio 2010

Maracaibo… dopo

Ci sono poi stato a Maracaibo, dalla mattina del 10 alla sera del 14 febbraio. Quattro giorni pieni, caratterizzati dall’incontro coi lebbrosi, insieme ai novizi, e le lezioni di storia francescana a questi ultimi nel pomeriggio. Non stavamo esattamente in città, ma in una zona periferica, quasi fuori città: Palito Blanco. Di Maracaibo ho potuto visitare la sola stazione di autobus, all’arrivo e alla partenza.

Ospiti del signor Alfonso, uno che ti porta a esclamare che i santi e gli angeli tuttavia calpestano le nostre strade. Professore di inglese, single, il cui vero interesse sono i lebbrosi, ai quali dedica tutto il suo amore. Possiede una casa bella e grande; ma con esigenze di riparazioni varie, non possibili – mi è parso di capire – perché non ha i fondi per farlo. Guadagna per vivere, e, se occorre, parte dei guadagni sono per le esigenze dei suoi amici lebbrosi. Non l’ho visto mai arrabbiato o scoraggiato, almeno nei miei quattro giorni (i novizi nemmeno, nelle loro due settimane). Sempre disponibile. L’ho visto abbracciare i malati di lebbra e sedersi sui letti di alcuni di loro per consolarli in momenti di depressione. L’ho visto prendere per mano una, lebbrosa e fuori di testa, sedersi sul materasso senza lenzuola, in una stanza fetida di urina, abbracciarla e dirle con dolcezza che ora c’era lui e che non sarebbe caduta dal letto, come gridava fuori di sé. Io non ci sarei riuscito. Un frate mi diceva che finirà per contagiarsi anche lui, visto che tratta i suoi amici come amici per davvero, capace anche di farsi vomitare addosso per star loro vicino. In verità sono anni che vive così e, grazie anche a minime norme igieniche, non si è contagiato. Certo, sarebbe la immedesimazione piena e non credo si pentirebbe di quanto fatto. Cristo non si è fatto lebbroso, reietto con e per noi? E che dire di Francesco d’Assisi?!?

Il sig. Alfonso (col n. 44)

Lo aiutano altri due angeli: suor Maria Teresa e suor Cruz Maria, Francescane dell’Immacolata. Vivono in una casa vicina all’ospedale e da quando hanno conosciuto quella situazione, da vere francescane, non si sono date pace, insieme alla loro congregazione, finché non sono riuscite ad aprire una presenza nel luogo. Esse curano l’attenzione ai lebbrosi, ma anche alle istituzioni e al personale, realtà spesso assenti o poco attente. Coadiuvate ora da un direttore, un medico di origini italiane, Oscar Loncano Novelli, catecumeno, il quale si trova a lottare con anni di incuria e abusi. E, per questo, minacciato anche.

I lebbrosi presenti sono 26, tutti avanti negli anni. Prima di trasferirsi in questa struttura, vivevano tutti nell’isolotto de “La Providencia”, nel lago di Maracaibo. Essi raccontano con nostalgia di quegli anni, forse sia perché erano più giovani, sia perché erano molto più rispettati. Potevano svolgere attività agricole e allevamento di animali; si sentivano persone e il tempo non era un ricorrersi di ore tra una medicina e un pasto. Nell’isola erano trecento circa e si sentivano protetti dal mare circostante. Ora sono molto ridotti di numero e in balia degli eventi. Raccontano che all’arrivo in questa nuova struttura – più di vent’anni fa - le cose funzionavano bene. Le stanze erano pulite e potevano continuare nelle loro attività. Poi, poco a poco, le cose sono andate sempre peggiorando, fino alla situazione attuale: furti in continuazione, di cose anche di poco conto, come vestiti; situazione igienico sanitaria da far spavento; medicine scarseggianti; lavanderia senza lenzuola per i ricoverati; mancanza di un refettorio o di una sala dove riunirsi; cibo distribuito in ore assurde (colazione alle 9.30; pranzo alle 11.30 e cena alle 16.30. Mi diceva con ironia uno di loro: siamo quelli della mezza ora).

Ho l’impressione che le istituzioni aspettino solo che muoiano per togliersi un peso di dosso, potendo finalmente asserire che è stata debellata la lebbra in Venezuela. Una suora mi diceva che non c’è niente di più falso. Il maggior esperto di lebbra venezuelano afferma che i casi sono in constante e preoccupante aumento, e che le autorità sanitarie, nazionali e locali, non vogliono ammetterlo, per non affrontare siffatta emergenza. Storie che si ripetono in tutte le latitudini, sulla pelle dei poveracci.

Ho potuto incontrare persone che ammiro, per la voglia di combattere per la vita, in situazioni francamente non favorevoli. Machin, leader tranquillo, e Juanita, cieca grata alla vita; Francisca e Pedro, coppia che hanno cresciuto alcuni figli non loro e hanno nipotini che vanno a trovarli; Bernardino, quasi sordo e cieco, senza mani né sensibilità se non nella lingua, che canta sempre e sorride (mi hanno riferito i novizi che ha detto loro di salutare il suo amico Matteo: mi ha commosso); Albano e Clemencia, fratelli (quest’ultima non lebbrosa, ma vive lì lavando la roba di molti di loro); Morales, elegante e fino nei modi; José, che è ritornato dopo alcuni mesi in famiglia; e altri. Esseri umani, di una umanità fina e allegra, che hanno il gusto del raccontarsi e di stare in amicizia. Tra loro, gente preparata e intelligente. Naturalmente anche casi limite da un punto di vista materiale e mentale, come Jairo.

Con loro ho parlato, chiacchierato. In effetti, non è difficile che si aprano, raccontandosi. Durante la mia presenza, i novizi si sono dedicati a lavare le sedie a rotella che quasi tutti usano, per debolezza o mancanza degli arti inferiori. È superfluo dire che probabilmente erano mesi che non si faceva tale lavoro, semplice e utile allo stesso tempo. Inoltre abbiamo condiviso, il giorno 11, Giornata mondiale del malato, un’interessante esposizione di due religiosi dell’ospedale “S. Giovanni di Dio”, per il personale prima (hanno assistito solo tre assistenti sociali, oltre al nostro gruppo), e per i malati poi, i quali hanno fatto interventi pertinenti e ben articolati. Alla fine mi hanno cantato il Feliz Cumpleaños. Un compleanno particolare e forte allo stesso tempo. Il giorno dopo abbiamo celebrato la Messa, dando loro l’unzione degli infermi. Mi sono parsi grati per questo dono insperato, e hanno cantato con gioia e battimani. Io ho letto il vangelo e fatto l’omelia.

I novizi hanno voluto celebrare il mio compleanno anche nella casa. In assenza di una torta, hanno aperto “artisticamente” un’anguria, ponendovi sopra una candela. Semplice, ingegnoso e… gustoso!!! Con il caldo afoso di Maracaibo, mitigato la sera da una soave brezza, l’anguria, dolce e acquosa, è risultata meglio che la torta.