venerdì 16 novembre 2012

La Gran Sabana e Canaima (15-25 ottobre 2012)

Il fiume Orinoco
Guanare – S. Elena de Uairén (15-16 ottobre 2012)
Un mese e mezzo fa i frati di Barinas mi hanno proposto di andare con loro a un “paseo” comunitario al Parque Nacional de Canaima, Stato Bolívar, zona amazzonica. Credo che l’invito si debba anche alla mia lunga permanenza in quella comunità durante l’operazione di fray Edisson. Naturalmente ho subito accettato. Non so se mi si ripresenterà una occasione simile. 
Così, alle 4 del mattino del 15 ottobre, i tre frati di Barinas (fray José Luís, fray Edisson y fray Javier) mi raccolgono a Guanare e partiamo diretti a Ciudad Bolívar, a più di 800 chilometri di distanza. Viaggiamo in una “camioneta” (= pick up), caricata con i nostri bagagli, ben chiusi in buste di plastica, per ripararli da eventuali piogge, e varie vettovaglie, per risparmiare tempo e denaro. Dopo S. Carlos la strada è molto danneggiata, pessima per lunghi tratti. È sì asfaltata, però con molte buche, per tanti, troppi chilometri, e si trata dell’arteria principale che collega la parte andina e llanera all’oriente del paese.
Arriviamo a Ciudad Bolívar intorno alle 5 di sera. Per entrare si attraversa il Ponte Angostura, sull’Orinoco. Sognavo di poter vedere questo grande fiume che divide in due il Venezuela, e la sua visione mi emoziona. In città ci ospitano i frati cappuccini, in maniera semplice e cordiale. Essendo già tardi, bypassiamo in macchina il centro storico e il lungofiume, entrambi belli e ben tenuti.

Puerto Ordaz; Parque de la llovizna
Il 16 ottobre, dopo una doverosa nottata di riposo, partiamo verso S. Elena de Uairén, nel profondo sud est, ultimo punto abitato prima del Brasile. Ancora 700 chilometri circa di strada, stavolta ben tenuta, a 4 corsie fino a Upata (150 km circa). Prima sosta a Puerto Ordaz, per fare colazione accanto alla camioneta, e visitare brevemente il bellissimo “Parque de la llovizna”. Quindi dritti verso la meta, dove arriviamo alle 5.30 di sera, all’imbrunire, con veloci soste per il pranzo a sacco e per visitare le rapide Kamoirán e la cascata del Salto Kama.
A sud di Upata i centri abitati sono sempre più ridotti, per numero e grandezza. Ci sono piccole comunità indigene, della etnía Pemón, lungo la strada. Chissà quante saranno nascoste nella selva, forse alcune sconosciute del tutto. La strada? Uno scarabocchio nero in mezzo a una enorme macchia verde. Percorriamo circa 400 km in mezzo a una natura non imponente, però maestosa per spazio occupato e frondosità. Dopo El Dorado inizia la zona mineraria, con sempre meno abitanti e natura più selvaggia. Passata la selva di Sierra Lema, con una altura massima sui 1450 mt, si entra d’improvviso nel suggestivo Parque Canaima, La Gran Sabana. Il panorama è sorprendente. Cambia del tutto. Un grande altipiano, tra 800 e 1200 mt di altezza, con una vegetazione non lussureggiante. Gli ultimi 200 km si percorrono tra distese di erba bassa e alberi che segnalano la presenza di acqua. Caratteristica la palma autóctona: il mariche. Il paesaggio è da mozzare il fiato: un continuo saliscendi tra collinette e corsi d’acqua, con sullo sfondo montagne più alte, e, a fare da sentinella, i caratteristici tepuyes.
Arrivare fin qua è stato molto faticoso. Due giorni interi di macchina. Ma sento che è qualcosa da fare per conoscere più a fondo il Venezuela. Le due sere ci hanno visti parecchio stanchi, però contenti di questo avventuroso viaggio, in mezzo a un paesaggio dai mille splendidi volti.

S. Elena de Uairén (16-17 ottobre 2012)
Siamo ospiti della comunità cappuccina, che ha una lunga tradizione di presenza e missione tra i pemones di questo grande territorio. Ieri sera, all’arrivo, abbiamo potuto apprezzare la bellezza del convento, sede anche del postulantado, e della Chiesa cattedrale adiacente, piccola ma preziosa, tutta in pietra. Secondo me un piccolo gioiello, insieme all’annesso palazzo espiscopale, entrambi di aspetto molto francescano, per il calore semplice e il richiamo all’essenzialità della pietra. Dopo cena facciamo una breve passeggiata per il quartiere indigeno, insieme a fray Chervy, giovane padre guardiano di questa comunità. Ci spiega che la vicaria apostolica di S. Elena è ancora senza vescovo, perché non è facile trovarne uno disposto a vivere da queste parti. Ancora meno si trovano sacerdoti diocesani, disposti a spendersi per questo tipo di missione. Infatti, malgrado la bellezza incantevole dei luoghi, la pastorale è dura, senza molte gratificazioni umane. Inoltre, la convivenza tra pemones e “bianchi” non è esente da pregiudizi e conflitti, anche se non violenti. Il quartiere indigeno risente dei problemi propri di molte parti emarginate del Venezuela: violenza, prostituzione, droga e alcolismo, insieme a una crescente indifferenza religiosa dei giovani.
S. Elena de Uairén: Chiesa cattedrale
Mattinata dunque dedicata a questa piccola città, che è però la più grande e importante della savana venezuelana, ai confini con il Brasile. Concelebriamo messa alle 6.00 nella chiesa cattedrale e dopo colazione ci rechiamo, insieme a fray Chervy, a far visita a Sergio e a sua madre, originari della Liguria, ma da quasi 60 anni in Venezuela, di cui 40 a S. Elena. Sergio, ingegnere edile, scelse di venire qui quando il luogo non compariva ancora nelle mappe nazionali, considerato perciò pazzo dai suoi colleghi. Racconta, con amarezza e nostalgia, che non è più il luogo solitario e selvaggio che lo innamorò, convincendo anche sua madre a lasciare Caracas per seguirlo in questa avventura.
Terminata la visita, fray Chervy ci porta al di là del confine. Calpestiamo terra brasiliana. Il paesino è praticamente un insieme di negozi che fanno affari con i turisti e i venezuelani che arrivano a S. Elena o ci vivono. Passeggiamo un attimo per la via principale e assaggiamo due ricche bevande brasiliane: due frati bevono caipirinha, e due guaraná. Tornando ci fermiamo nella casa del cristallo, dove ammiriamo pietre di topazio, estratto dalle tante miniere dei dintorni. Di fatto, questa è zona mineraria, oltre che, o forse ancor più che turística.

La puerta del cielo
Nel pomeriggio fray Chervy, oggi immolato al nostro servizio, ci porta a visitare un luogo fuori dai normali circuito turistici: “La puerta del cielo”. Ci si arriva attraverso uno stretto e scosceso sentiero. Giunti in fondo, si segue il corso di un ruscello, fino a un dirupo di un centinaio di metri di altezza, che forma una cascata. Dall’alto del dirupo si apre una vista spettacolare, che gli ha valso il nome di Porta del cielo. Una ragazza mi scriveva, durante l’avvicinamento a la gran savana, che avrei potuto vedere Dio, seduto su un tepuy, contemplando la bellezza della creazione nella natura sottostante. I tepuyes non sono stati molto visibili; ma in questo posto ho potuto intuire qualcosa di ciò che potrebbe vedere Dio seduto sulla base piatta di uno di essi. Ci siamo soffermati un bel po’ ad ammirare il paesaggio e bagnarci nelle limpide acque del ruscello. Unica nota stonata in tale armonía sono gli insetti, numerosi e micidiali. Occorre premunirsi di un buon repellente.
Per completare la giornata, siamo andati a visitare il Salto Jaspe. Un altro ruscello con cascatelle, caratteristico per il colore rossiccio che sembra assumere l’acqua a causa della roccia su cui scorre (jaspe=diaspro). Interessante anche il minuscolo villaggio della comunità indígena che si deve attraversare per arrivarci. Molti pemones vivono ormai di turismo.
La Gran Sabana: Salto Jaspe
La sera ceniamo insieme ai frati e postulanti della comunità. Dopo il timido imbarazzo iniziale, già ci si sente molto più in famiglia. Peccato che domani ci tocchi riprendere la via di ritorno a Puerto Ordaz e Ciudad Bolívar, da dove, domenica, voleremo a Canaima. Ma questa è altra storia per un altro momento…

Puerto Ordaz - Ciudad Bolívar (18-20 ottobre)
18 ottobre. Celebriamo messa e facciamo colazione con i frati di S. Elena de Uairén. Intorno alle 8.30 riprendiamo la via del ritorno. Destinazione Puerto Ordaz, dove arriviamo alle 17.00 circa. Qui ci riceve Nadim, un amico di fray Javier, i cui genitori erano libanesi. Subito dopo arriva anche sua moglie Nena, insieme ai figli Annabella, di 2 anni, e Maximus, di tre mesi. Saremo loro ospiti questa notte, fino al pranzo di domani. La prima impressione è che la nostra sia quasi una piccola “invasione”. L’appartamento non è grande. Conosco il senso grande di ospitalità dei venezuelani. Di sicuro mi faccio più problemi io per loro, di quanti se ne facciano essi stessi. Ceniamo, chiacchieramo un poco, e poi a nanna, un po’ arrangiati, ma comodi.

19 ottobre. La mattina serve per fare una breve passeggiata in due vicini centri commerciali, tra cui il famoso Orinokia, e per conoscere di più questa famiglia che ci ospita. Condividiamo visioni e riflessioni. Soprattutto Nadim è molto curioso; gli piace chiedere, parlare e raccontare le sue esperienze di vita e di guida turistica. Si vede che ama questi luoghi e che ha vissuto sempre molto il senso dell’avventura. Organizzatore di gite normali e di turismo estremo, ora ama immensamente stare con la sua familia. Perciò ha deciso di vivere una vita meno “pericolosa”, per lanciarsi nell’avventura di essere marito e padre presente, con un entusiasmo genuino. Nena è anch’essa molto piacevole e gentile, però meno espansiva, o forse semplicemente più occupata con il suo bebé. Giochiamo piacevolmente con i bimbi. A pomeriggio inoltrato, quando è già ora di andare, Nadim insiste perché rimaniamo ancora una notte. Ci siamo trovati bene, e l’ospitalità è stata molto bella e generosa. Però ci aspetta Ciudad Bolívar, dove arriviamo alle 18, quando già è buio.

Ciudad Bolívar: centro storico
20 ottobre. Abbiamo occasione di conoscere un po’ di più la fraternità cappuccina che ci ospita. Sono due frati: Miguel e Eduardo, in una struttura piuttosto grande. Purtroppo la crisi vocazionale ha portato a chiudere alcuni conventi e a ridurre presenze. In mattinata ci dedichiamo alla visita del centro storico, che ha ricordi importanti legati alla figura di Simón Bolívar. Questa città è la famosa Angostura, che vide atti fondamentali nella lotta per l’indipendenza e la costituzione della grande patria sognata da Bolívar. Poi “scendiamo” verso il vicino Orinoco e ci fermiamo un’oretta a contemplare questo grande fiume, il cui letto qui si restringe. Da ciò il nome di Angostura (=luogo angusto, stretto). Al pomeriggio, messa in parrocchia, cena e preparazione dei bagagli. Domattina presto ci aspetta il piccolo aereo da turismo che ci porterà a Canaima, dopo un’ora circa di volo.

Canaima (21-25 ottobre 2012)
Diciamolo subito: Canaima non si può raccontare né descrivere. Le parole sono riduttive e non rendono giustizia alla realtà. È uno di quei posti che non si possono “leggere”; si devono vivere, per percepirne la bellezza, fatta di colori e panorami che coinvolgono il cuore oltre che gli occhi. Una natura che più e oltre che vedersi, si “sente”...
Mi sono sentito un privilegiato, per la possibilità di passare alcuni giorni in questo tempio della bellezza creatrice di Dio. Magari è l’entusiasmo del turista, di chi non vive qui, giornalmente a contatto con questi luoghi e panorami.  Però mi chiedo se ci si può abituare alla bellezza; se questo paesaggio possa essere vissuto come semplice routine. Credo che sempre ci sarà qualcosa che sorprenda l’occhio, rinnovando l’emozione. Ci si immerge in una realtà di appena pochi gradini più in basso dell’Eden. Forse solo gli insetti voraci non permettono la parità...

Campamento Ucaima: Belvedere
21 ottobre. Alle 7.00 del mattino siamo già nell’aeroporto turistico di Ciudad Bolívar. L’aereo parte tra le 8.00 e le 9.00. Decolliamo alle 8.30 con il piccolo aereo (18 posti) della compagnia Transmandú. Bel nome esotico... Vi è subito un fuori programma. Facciamo scalo non previsto a Puerto Ordaz per raccogliere circa 10 passeggeri, quasi tutti italiani. Intorno alle 10.00 sorvoliamo Canaima: una splendida radura in mezzo alla foresta, con fiume e laghetto, villaggio pemón e centri turistici. All’aeroporto ci aspettano David, guida del Campamento Ucaima, con la fidanzata Yésica, e Arelis, che sta facendo tirocinio di tre mesi per potersi laureare in turismo. La prima sosta è nella cappella. Celebriamo messa per la comunità e mi tocca presiedere. Lo faccio volentieri, perché oggi i miei celebrano 55 anni di matrimonio. Un luogo inusuale e spettacolare per ricordare, con nostalgia e gratitudine, i miei due vecchi.
Arriviamo in barca al Campamento Ucaima, insieme a tre piloti militari conosciuti durante la messa. L’impressione di bellezza e pace che infonde il posto è indescrittibile. Ci riceve la padrona del luogo, la signora Gabriela. Lasciamo i bagagli nelle camere e ci proiettiamo fuori, attirati dalla placidezza del fiume e dallo spettacolo naturale che si gode dalla riva. È come se volessimo respirare con gli occhi.
Salto Sapo
Nel pomeriggio, escursione alle cascate. Ci si arriva in barca, attraversando il laghetto. Si uniscono a noi una coppia di giovani sposi svizzeri, ospiti anch’essi al campo. Saranno una piacevole compagnia durante tutta la permanenza. Nostra guida in tutti questi giorni sarà Alexander, un giovane del posto. Ci divertiamo un mondo a guardare le cascate del Salto Hacha e del Salto Sapo da fuori e da dentro, passando sotto il getto d’acqua. Ci bagnamo completamente. Anche il ritorno, in barca, è sotto la pioggia. Fradici e contenti.

Canaima: laghetto
22 ottobre. Al mattino ci rechiamo al lago di Canaima per un bagno nelle acque rossicce del fiume Carrao. Altro momento di divertimento e foto. L’acqua come elemento primordiale di vita.
Nel pomeriggio celebriamo messa nel piccolo cimitero di famiglia della signora Gabriela, dove sono sepolti i suoi genitori, che hanno scelto di vivere qui e hanno fatto conoscere questo posto al mondo; e il figlio Juán Gabriel, morto 3 anni fa in un incidente aereo mentre si recava dalla pista di Canaima a quella di famiglia. La signora Gabriela è una donna forte. O, forse, cerca di farsi forza. Si vede però quanto soffra la perdita del figlio. È come se vivesse questi luoghi, pieni di sole e colori, a luci spente. Gli occhi guardano, ma il cuore non riceve. Anche lo spettacolo più bello del mondo può morire dentro, di fronte a una sofferenza grande, assurda, sorda a qualsiasi voce e stimolo di vita. Mi pare che solo la sua nipotina riesca a creare grete nella sua corazza cieca. 

Il massiccio dell'Auyan Tepuy
23 ottobre. Il giorno tanto atteso dell’escursione al Salto Ángel. Oltre alla guida, ci sono i due esperti piloti della barca; Benny e Stella, gli sposini svizzeri; Arelis e suo padre, che l’ha raggiunta da Mucuchíes, visto che il 26 finisce il tirocinio. Ci vogliono tre ore di barca a motore per arrivarci, con venti minuti di cammino su terraferma dopo circa 20 minuti, per permettere di superare, senza il peso dei passeggeri, alcune rapide un po’ più forti sul fiume Carrao. Dopo circa un’ora e mezza, si svolta verso l’affluente Churum, con più rapide rispetto al Carrao, però meno forti. Il viaggio sul fiume è una esperienza nuova per me. Ci si immerge sempre più in una natura selvaggia. Non ci sono abitazioni lungo le rive. Solo alberi e arbusti. Mi bevo il tutto con la vista, e il paesaggio giunge allo stomaco.
Quasi mistico è lo scorgere prima, l’avvicinarsi poi, il costeggiare infine la grande catena, sacra per gli indigeni, del Auyan Tepuy. Un tepuy di 700 chilometri quadrati!! Qui sì ho potuto intuire la presenza di Dio, seduto in cima, contemplando la sua creazione. Si avverte il senso di una imponenza che non schiaccia, ma protegge; di una maestosità che invita ad alzare, fiduciosi, gli occhi, piuttosto che ad abbassarli sottomessi.
Bagno nel fiume Churum
Infine l’emozione dell’avvistamento del Salto Angel, la cascata più alta del mondo. E, poco dopo, l’arrivo al Campamento Ucaima II, proprio di fronte, direi a un chilometro in linea d’aria. Lasciamo i bagagli e andiamo a fare il bagno nelle acque, anche queste rossicce, del Churum, nell’isolotto El Ratón. Mentre si prepara la cena, mi siedo di fronte al Salto. Sono solo. Aspetto che il sole cali poco a poco, e mi godo il momento, immerso sempre più nel buio silenzioso.
La cena è una festa. Il viaggio ha creato una bella unione nel gruppo. Mangiamo un ottimo pollo, arrostito a legna e “affumicato”, e chiacchieriamo come amici.

Il Salto Angel dal campamento Ucaima II
24 ottobre. Mi sveglio presto al mattino. Ho ancora sonno, ma vinco la tentazione di ritornare a dormire per poter vedere i colori dell’alba sul costone del Salto Angel. Quando mi capiterà un’altra occasione per questo?!? Lo spettacolo ripaga ampiamente il piccolo sacrificio. Nel posto di osservazione c’è già e solo un turista di origini orientali, che scatta foto entusiasta e rispettoso del momento quasi magico. È un’ora circa di silenzio e contemplazione. Una preghiera a cielo aperto, con Dio che ti sta osservando e si lascia intravvedere. 
Il Salto Angel dal Mirador
Partiamo dopo colazione diretti al “Mirador” (=belvedere), il posto più vicino al Salto Angel. Si percorre un sentiero tra piante, radici e terra, per circa un’ora e mezza. Si arriva ad alcune rocce, dalle quali il Salto si può quasi toccare, visto che non dista più di tre quattrocento metri. Ci rimaniamo per un paio d’ore, godendo del posto e difendendoci dai numerosi insetti che lo infestano. Al ritorno c’è il tempo per un altro bagno nel fiume e, dopo pranzo, riprendiamo il cammino inverso, diretti a Canaima. Dove arriviamo già al buio, sorpresi da un autentico acquazzone, che ci inzuppa completamente durante l’ultima ora di viaggio. All’arrivo ci attende una cioccolata calda, che da il sapore finale a una esperienza intensa e dolce.


25 ottobre. Il giorno della partenza. Al mattino celebrazione della messa nella cappella di Canaima, con i bambini dell’asilo. Mi tocca di nuovo presiedere, quasi a terminare questi giorni così come li avevo cominciati. È un misto di incontro con l’innocenza e di animo grato a Dio per ciò che mi ha permesso vivere. Subito dopo, ritorno al campamento, pranzo e saluti. Il tempo di una ultima foto sul mirador del Salto Ucaima e via all’aeroporto. Ci attende una bella sorpresa: l’aereo che ci riporterà a Ciudad Bolívar è proprio piccolo, di appena 5 posti, escludendo il pilota. Voliamo perciò bassi, intorno ai 4.000 mt credo, e possiamo goderci tutto lo splendido panorama, sorvolando la parte amazzonica, la diga del Guri, fino all’avvistamento di centri abitati e della città.
Il resto è una corsa in macchina, sulla strada del ritorno a casa, con nel cuore e nella memoria paesaggi e ricordi unici e indimenticabili.

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