Ritorno a Conchabamba dopo quattro anni: Settimana Santa del 2007. Il ricordo della volta scorsa è molto piacevole…
Dopo aver lasciato a Socopò i postulanti che hanno viaggiato con me e aver pranzato, mi dirigo al villaggio in compagnia di due ragazzi del posto, ai quali do un passaggio. Un favore reciproco: loro giungono a casa senza aspettare il jeep; io evito il pericolo di sbagliare strada.
Mi accoglie il fascino del “llano”, con le sue distese di prato per l’allevamento di bovini. Lasciata la strada asfaltata, deviamo a sinistra e ci addentriamo in un paesaggio un po’ più selvatico. Ci troviamo nella antica riserva forestale di Socopò. I bananeti, dopo circa 20 minuti di strada sterrata, annunciano che siamo arrivati. Mi affascina questo panorama. Sarà il ricordo della prima volta; saranno i nuvolosi che coprono il cielo e minacciano pioggia, però tutto mi appare sotto una luce nuova e accattivante. La stessa luce che mi accompagnerà camminando dalla casa di Dilcia e Isaac alla cappella, nei momenti che precedono il buio. Luce indefinita e struggente, che trasmette gioia e malinconia a un tempo.
La Messa della sera è infestata da nuvole di insetti, attirati dalla luce dei lampadari (al mattino spazzo la cappella da quelli caduti morti e che formano quasi un tappeto sul presbiterio). Una “piaga” che pare possa essere problema di tutti i giorni, dovuta alla pioggia e all’umidità. Tuttavia, dal giorno dopo si risolve perlomeno il problema degli insetti che volano proprio sulla mia testa, distraendomi dalla celebrazione. Si mantiene spenta la luce diretta sull’altare e leggo con quella di un lampadario della navata. Un vero sollievo…
A differenza della volta scorsa, quando mi fermai ospite di una famiglia, decido di stare nei locali annessi alla cappella. Scelta che si rivela subito felice, perché mi permette la libertà e gioia intima di incontrarmi in solitudine con Dio, all’inizio e alla fine della giornata. È il momento del riposo in Lui, che fa della cappella di questo sperduto villaggio rurale il centro dell’universo, soprattutto del mio mondo e dei miei affetti.
Domenica delle Palme, 17 aprile – Tutto il giorno lo trascorro a Conchabamba. Colazione e pranzo a casa di Dilcia e Isaac, insieme a 4 dei loro 7 figli, che rivedo con piacere cresciuti, alcuni già adulti. Alle tre del pomeriggio, benedizione delle palme presso la croce della missione e processione verso la cappella. L’omelia è sul significato evangelico dell’accoglienza di Gesù e su come prepararci a vivere la Settimana Santa; nonché sul valore simbolico tradizionale che il venezuelano attribuisce alle palme nel giorno odierno. Vado a letto presto, così come farò anche nei giorni successivi. Forse dovuto alla stanchezza, ma anche al bisogno e godimento di un sonno, dono di Dio, scevro da preoccupazioni immediate e di routine. A mezzanotte mi sveglia un tremendo acquazzone. Al risveglio ancora pioggia e problemi di diarrea (che dureranno solo il giorno di oggi). Credo mi faccia male l’acqua del rubinetto. Dovrò bollirla…
Il programma dei prossimi giorni è il seguente: al mattino, confessioni e Messa nei settori circostanti; nel pomeriggio, lo stesso, però a Conchabamba. Ritorno alle esperienze pastorali dei miei inizi in Venezuela, in zone di pianura, lottando con calore e zanzare (qui c’è anche un insetto quasi invisibile, che si chiama “ején”, che punge e brucia ancora di più). Inoltre, sudate abbondanti, accompagnate dal dolce e refrigerante rumore dei ventilatori, che mi accompagna anche di notte, sia per il fresco, che per tenere lontane le zanzare e permettermi di dormire.
Lunedì Santo, 18 aprile – Faccio colazione in casa di José e Juanita, in compagnia del figlioletto José Emanuel, un bimbo di un paio d’anni, biondino y sveglio: riso, banane cotte e pesce fritto. José viene a prendermi con una moto presa in prestito, perché la sua giovane famiglia ha solo una bicicletta per muoversi. Alle 9.30 vado in moto a Costa de Conchabamba, distante 15 minuti circa di strada sterrata. Viaggiamo in tre sulla stessa moto: il conducente, un piccolo ministrante e io, con la borsa con l’occorrente per la celebrazione. I tre rigorosamente senza casco!!!. Nei giorni seguenti mi muoverò a volte in moto. Nella campagna è un modo facile ed economico di spostarsi da un luogo all’altro. Il casco praticamente non si usa, ed è normale che la moto si trasformi in mezzo di trasporto multiuso e con più viaggiatori.
Martedì Santo, 19 aprile – Ancora una volta in moto, per 20 minuti, fino a La Embajada. Stavolta andiamo in tre moto. L’inconveniente di questo mezzo sono le buche e la irregolarità della strada sterrata, al di là delle pozzanghere che si formano quando piove. Mi accompagnano due ministranti di 10 anni: Alberto e Jackson. Saranno i miei angeli custodi durante tutti questi giorni, compagnia gradevole e varia: Alberto pacioccone e grassottello, Jackson magro e sveglio.
Mercoledì Santo, 20 aprile – Mi sveglia un forte temporale. Normalmente la pioggia mi pone malinconico; però, qui in campagna, è uno spettacolo affascinante. Mi precipito fuori della cappella, per assaporare il panorama con gli occhi e respirare la pioggia…Oggi mi tocca andare a El Porvenir, a mezz’ora. Vengono a prendermi in camionetta (pick up). Piove durante tutta la mattina. Per questo alla Messa assistono in pochi. Però Dio mi ricompensa con una bellissima escursione attraverso questo territorio di allevamenti e bananeti, alla vista di bovini e gazze bianco rosate, al suono di abbondanti gocce dal cielo, inseguito dall’odore umido della vegetazione e dalla luce tipica dei giorni piovosi.
Giovedì Santo, 21 aprile – Oggi il clima è cambiato completamente. C’è il sole e il cielo è limpido. Vado per El Destierro, a 40 minuti, in pick up. Andata e ritorno tra una natura lussureggiante, malgrado gli interventi dell’uomo. Il verde degli alberi e dei prati risplende alla luce tersa del sole. Ci riceve con la solita cortesia il signor Alirio e la sua famiglia. Anche qui mi aspettano un paio d’ore di confessione e la Messa. Tornando entriamo a far visita a una vecchietta inferma e costretta a letto. Per arrivare alla sua casa si percorre uno stretto sentiero tra banani e vegetazione. La Messa della notte, con il lavatoio dei piedi, nella piccola cappella traboccante di gente, è semplice e solenne a un tempo.
Venerdì Santo, 22 aprile – Tutto il giorno è dedicato a Conchabamba. Al mattino l’incontro con il dolore degli uomini, nella visita agli ammalati della comunità. Le condizioni igienico sanitarie di un paio di loro sono impressionanti. Al pomeriggio mi scontro con il dolore dell’Uomo-Dio: Via Crucis intorno al villaggio fino alla cappella, dalle 14.30 alle 16.30; Adorazione della Croce e Sermone delle 7 parole di Gesù in croce, dalle 17.00 alle 19.00. Poi… solo in cappella!! Chiamo un momento a una persona amica, perché l’incontro con il dolore sconcerta e si sente il bisogno di una voce. Infine mi fermo a riflettere, davanti alla Croce, nella cappella vuota, sul giorno trascorso, impegnativo e bello. Il silenzio di quest’ora è la giusta compagnia alle celebrazioni umane e liturgiche di oggi.
Sabato Santo, 23 aprile – 45 minuti circa per giungere al Cinco, settore dove è prevista la Messa questa mattina. Ho provato a spiegare agli organizzatori che non ci sono Messe il Sabato santo; però mi hanno detto che ormai non si può cambiare il programma, deludendo una comunità preparata a questo e che mi aspetta. Cosicché celebro la resurrezione di Nostro Signore alle 11.00 del mattino!!! La gente apprezza e gradisce… La Veglia Pasquale a Conchabamba, alle 19.00, è molto partecipata. Tutto si svolge ordinatamente, benché ci sia un poco di chiasso da parte dei 5 bambini che si battezzano e dei loro familiari. Al termine di tutto, una signora chiede di parlarmi. Alle 23.00 finalmente vado a letto.
Domenica di Pasqua, 24 aprile – Mi alzo alle 6.00 e preparo il bagagliaio. Terminata la colazione, alle 7.15 parto per il Seminario, insieme ad Aura Beatriz, figlia di Dilcia ed Isaac, che studia a Michelena. Lascio Beatriz nel terminal di S. Cristobal e attraverso il portone del seminario alle 12.30 circa. È stata una settimana molto bella di lavoro pastorale, grazie soprattutto alla gente, ai luoghi e all’aver avuto l’opportunità di momenti miei da solo con Dio nella cappella.