Non temo di essere smentito se dico che mio padre ha vissuto una bella vita, non scevra da difficoltà e sofferenze varie, ma fondamentalmente bella. È stato un uomo buono, e da giovane anche parecchio bello. Di animo nobile, gentile nei modi, intelligente, amante della lettura (da pensionato ha divorato caterve di libri) e dei films (soprattutto western), gran camminatore, appassionato di ciclismo, poco incline a occupare primi posti, incapace di mettersi in mostra, con punte di timidezza senza essere introverso, sincero e disinteressato nelle relazioni umane, romantico e sensibile nel cuore e nelle espressioni (specie da anziano, quando alcuni filtri gli erano caduti e non provava vergogna nel fare complimenti ed esprimere gratitudine), dotato di un fine senso dell’umorismo, incline al buonumore e al sorriso (la risata sguaiata non gli apparteneva, e credo che noi figli abbiamo preso da lui e mia madre in questo), riconoscente verso le persone amiche, empatico nei rapporti umani, generoso nelle necessità altrui, grato verso la vita. Sapeva voler bene, ed era facile e spontaneo volergliene. Naturalmente, papà aveva anche i suoi limiti e debolezze, come tutti, ma senza nessuna cattiveria o furbizia. Non era santo già fatto, da nicchia; tuttavia, aveva quelle caratteristiche di santità quotidiana, della porta accanto, di cui parla il Papa e che si esprimono attraverso una umanità ricca, calorosa e accogliente.
Caratteristiche testimoniate da tante persone che hanno scritto e
parlato di lui, arricchendo la mia conoscenza. Ho appreso circostanze ed
episodi, di lui e di mia madre, che mi hanno commosso. Al suo funerale erano in
tanti, molti si sono fatti vivi e presenti, e penso di poter affermare con
sicurezza che non lo hanno fatto per amicizia verso noi figli, ma per
riconoscenza e stima verso di lui. Negli ultimi anni di vita, vissuti in casa
di riposo, era riuscito a farsi accettare e voler bene da tutti per la sua
gentilezza e amabilità; tutto il personale era sinceramente dispiaciuto per la
sua morte e commosso al momento di darci le condoglianze.
Papà era poi grandemente, follemente ed eternamente innamorato di mia madre, la cui bellezza è riuscito a contemplare fino agli ultimi giorni di vita. Senza ombra di piaggeria e nella più assoluta convinzione ci ripeteva spesso e fino alla fine: “Guardate come è bella vostra madre”. Ai suoi occhi la bellezza di mia madre non è stata mai intaccata dal trascorrere del tempo. È stato il grande amore della sua vita. Le arrabbiature più vere e forti le aveva se qualcuno si permetteva di offendere sua moglie. Non erano reazioni violente, perché la violenza fisica o verbale non gli apparteneva (da lui non ho mai ricevuto uno schiaffo, pur avendone meritato a volte); ma metteva in chiaro il suo pensiero, disposto a difendere mia madre ad ogni costo. Nessuno la conosceva, stimava e amava quanto lui. C’erano a volte incomprensioni tra loro, come in ogni relazione umana, ma i loro litigi finivano subito e ritornava spontanea la complicità di una vita (si conoscevano da 82 anni, sposati da 67).
Da qualche mese la salute di mio padre era andata deteriorandosi. Non
era più riuscito a rimettersi in piedi ed era spesso stanco, desideroso di
rimanere a letto. Ultimamente le sue quasi uniche parole erano: “Dio mio, per
favore”. Tuttavia, ogni volta che gli si chiedeva come stesse, rispondeva
sempre: “Bene!!”. L’invocazione a Dio penso gli scaturisse dalla sua fede
semplice, non bigotta. Da pensionati, sia lui che mamma, si sono potuti
dedicare maggiormente a una pratica religiosa: messa quotidiana, rosario, lodi
e vespri. Poi lui, mattiniero, recitava le sue preghiere del mattino, ad alta
voce, in cucina, al piano di sotto. Non ha voluto mai appartenere a un gruppo;
però aiutava mia madre in tutto ciò che si riferiva all’OFS, da preparato
simpatizzante. Tutti i vicini poi ricordano la sua opera samaritana per portare
in chiesa alcune anziane bisognose di accompagnamento, dopo aver lasciato mia madre,
e a volte in condizioni di disagio per pioggia o neve.
Pertanto, abituato a un padre brillante e affabulatore, ho avuto
difficoltà a riconciliarmi con le fragilità del suo stato presente. Aveva ormai
smesso di leggere, forse perché faceva fatica a ricordare la trama di un
racconto o di un articolo. Benché, avendolo spinto a farlo pochi giorni prima
di morire, sono rimasto sorpreso dalla sua capacità di leggere correttamente e
fluidamente, pur avendo difficoltà a coglierne senso e significato.
Avvisato il 25 settembre da mio fratello e mia sorella sulle sue
condizioni peggiorate, il 26 mattina sono partito da Copertino alla volta di
Monte. Il pomeriggio siamo stati tutti e tre nella stanza, accanto a lui ormai
agonizzante, alternandoci nella compagnia a mamma, ignara della gravità della
situazione. Dopo cena eravamo tutti attorno al suo letto. Io ero sulla sua
sinistra; Lina gli teneva la destra. Ogni tanto alzava il braccio sinistro e io
gli prendevo la mano, pensando che cercasse un contatto fisico in un momento
tanto forte; ma appena gliela prendevo lui abbassava il braccio, per poi
tornare ad alzarlo. Questo si è ripetuto finché siamo dovuti venir via, intorno
alle 21.00; Lina insisteva per rimanere, ma non era consentito. A mezzanotte ci
hanno chiamati per dire che era spirato. Secondo i nostri calcoli dovrebbe essere
morto tra le 22.30 e le 23.00.
Il giorno dopo è stato un viavai di persone commosse, grate per la sua
esistenza terrena. La loro presenza e le tantissime testimonianze di affetto e
stima sono state un balsamo per il nostro dolore. Lina si rimproverava del
fatto che papà fosse morto solo, senza la nostra presenza. Carmen, da buona
venezuelana, mi ha fatto leggere il gesto di alzare il braccio da parte di papà
in un modo molto latinoamericano, frutto di una fede semplice, che mi ha dato
certa consolazione. Secondo lei, e ne condivido l’interpretazione, in quei
momenti la stanza di mio padre si è riempita di spiriti di persone defunte a
lui care, per cui non è morto solo, ma in grande compagnia, accompagnato e
consolato da quelle anime buone. E poi certamente era presente Gesù con sua madre.
E allora mi piace pensare che ci fossero i suoi cari genitori: mia
nonna Maria, donna volitiva e determinata, dolce e generosa; mio nonno Matteo, persona
mite e di umore fine, come mio padre; i nonni materni Pasquale e Caterina, che
lo hanno accolto in famiglia da adolescente, in qualità di apprendista sarto, quasi
come un altro figlio; la sorella unica di papà, zia Libera Maria, morta
giovanissima di setticemia, della quale egli non parlava, credo per non
riaprire una ferita mai chiusa, lasciando orfano mio cugino Franco, “adottato”
dai nonni e considerato come figlio da mio padre, con un affetto ricambiato; i
due cognati Michele: quello di Roma, per lui un fratello amato e atteso durante
i giorni delle vacanze a Monte per la leggerezza che gli trasmetteva con le sue
iniziative e il suo umore, e zio Michelino, considerato un fratello minore, la
cui morte ha fatto soffrire tanto lui e mamma; zia Enza, di due anni più
piccola di mamma, e perciò da sempre nella sua geografia affettiva; e poi tanti
amici e parenti con i quali si sono voluti molto bene. Insomma, quella stanza,
la sera del 26 settembre, credo che fosse piena all’inverosimile di belle e
buone presenze. Mio padre non è morto solo, decisamente.
Il giorno del funerale ho ringraziato tutti i presenti, e i tanti
assenti, per il bene voluto a mio padre, certamente meritato. Papà ha da sempre
desiderato essere seppellito nella tomba insieme a sua madre, e ha chiesto che
la lapide fosse semplice, senza luce e portafiori, naturalmente per non
arrecare il benché minimo fastidio a noi figli, come sempre si è premurato di
fare. Queste indicazioni le abbiamo rispettate. Non siamo riusciti ad adempiere
le altre due richieste: quella di non piangere, e quella di andare, dopo il
funerale, a bere un caffè al bar; ma penso che ci avrà perdonati.
Lapide provvisoria |
Oggi mi sarebbe piaciuto andare a fare una visita alla tomba di mio padre, ma non mi è stato possibile. Lina però c’era, a rappresentare me e Pasquale. Mi sono ricordato della frase che mio padre ripeteva spesso: “Venitemi a trovare ora che sono vivo, perché da morto non serve”. Noi figli abbiamo condiviso con i nostri genitori il tempo che gli impegni ci hanno permesso; Lina più di tutti per i mesi che trascorrevano da lei dopo la pensione, e finché hanno potuto viaggiare. È vero però che serve relativamente andare a trovarlo al cimitero – anche se non smetteremo mai di farlo ogni volta che ne avremo la possibilità – perché ora è lui che viene a trovare noi, anzi ci accompagna dovunque siamo. Tanto è vero che poco fa Lina, in visita a Monte, essendo andata alla casa di riposo a trovare mamma, non riusciamo ancora a capire quanto consapevole del fatto di papà, mi ha raccontato che avendola portata nella stanza delle visite, come si è soliti fare, lei le ha chiesto dove fosse mio padre e perché non portasse anche lui, visto che le era stato accanto tutto il pomeriggio. La cosa non ha spiegazioni logiche o razionali. Abbiamo concluso che in questo giorno particolare lui abbia voluto farle compagnia. D’altronde si sono così tanto amati, che neanche la morte riuscirà a separarli; sarà impossibile staccarli, finché non si ricongiungeranno ancora, per l’eternità.